Fratture, abbandoni e cicatrici. Tre mostre a San Gimignano
Galleria Continua, San Gimignano – fino al 23 aprile 2017. A pochi mesi dalla sua partecipazione alla Biennale di Venezia, Attia presenta una nuova indagine sul concetto di “repair”, mentre i ritratti dei migranti in fuga raccontano l'animo della Alaoui a un anno dalla morte e Solakov insegue la scia del colore.
Torna al colore, Nedko Solakov (Bulgaria, 1967), con una nuova serie di disegni ad acquarello, tratti decisi dalla poetica quasi infantile, che si incasellano, uno dietro l’altro, nello spazio espositivo della Galleria Continua a San Gimignano. Sono queste Stories in Colour il fulcro dell’esposizione, un rincorrersi di immagini e personaggi, paesaggi e piccoli messaggi tracciati sulla carta spessa. C’è il senso della scoperta e dell’osservazione che spinge a concentrarsi sui dettagli andando oltre la visione d’insieme. C’è un umorismo sottile ma malinconico in quelle storie che lo stesso Solakov definisce “ancora un po’ tristi e forse non così ottimistiche” e che si rispecchiano, poi, nella piccola scultura in oro 24 carati, la rappresentazione “ristretta” della nostra identità, il nostro Shrunken Ego.
LEILA ALAOUI E IL PERDONO
È un mondo completamente altro, invece, quello che si apre con le due esposizioni allestite negli spazi principali dell’Hotel Leon Bianco e dell’ex cinema. La leggerezza perfino spensierata degli acquarelli a tinte tenui cede il posto all’oggi e alla brutalità della frattura, dell’abbandono, della fuga.
Je te pardonne è il testo che apre la mostra di Leila Alaoui (Parigi, 1982 – Burkina Faso, 2016) e che le dà il titolo. È scritto da Yasmina, sorella della giovane fotografa e video-artista franco-marocchina uccisa da un attacco terroristico in Burkina Faso, durante una missione per conto di Amnesty International; è una lettera immaginaria, in cui Yasmina prova a mettere nero su bianco le parole che Leila avrebbe potuto scrivere al suo assassino. È, paradossalmente, la parte più vera dell’esposizione che ripercorre la breve carriera della Alaoui: un itinerario fatto di volti, abiti ed espressioni, un percorso che attraversa l’Africa, dal Marocco al Libano fino alla Siria. Sono le storie dei migranti che fuggono, che abbandonano una terra per cercarne un’altra, che s’incagliano alle porte dell’Europa. Sono ritratti in bianco e nero o in vivo colore (come quelli della serie Les Marocains, realizzati con uno studio mobile), in cui l’abilità di ritrattista emerge in ogni dettaglio, seppur in una scelta poetica e stilistica che si confonde con il fotoreportage fino ad annacquare, in un certo senso, la propria originalità.
KADER ATTIA E LA MEMORIA
Storie di fratture, cicatrici e abbandoni tornano, infine, nei lavori di Kader Attia (Seine-Saint-Denis, 1970), di nuovo protagonista alla Galleria Continua a pochi mesi dalla partecipazione alla Biennale di Venezia. In Reflecting Memory esplode senza mezzi termini quel concetto, caro all’artista, di repair, una riparazione dopo la rottura che però non mira a ripristinare la condizione originaria, a cancellare il trauma, ma anzi ne mette in evidenza la cicatrice, la traccia. Intorno all’opera che dà il titolo alla mostra – Reflecting Memory è un documentario sulla sindrome dell’arto fantasma – ruota una seria di nuove opere che proseguono e allargano la riflessione sulla memoria. Sulla riparazione come forma di riappropriazione ma anche di resistenza (dove però l’eco dei maestri diventa più forte di un omaggio o una citazione).
– Giulia Maestrini
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati