Imbrigliare l’energia. Intervista a Shay Frisch
Fino al 25 marzo alla Galleria San Fedele di Milano è in corso la mostra di Shay Frisch “Connessioni Luminose 37586_B/N”, a cura di Andrea Dall’Asta SJ, direttore della Galleria San Fedele, e Dorothee Mack, pastora della Chiesa metodista di Milano. Tutti i dettagli in questa chiacchierata con l’artista israeliano.
Shay Frisch, classe 1963, modella e manipola l’energia attraverso la costruzione di campi elettrici. Assemblaggi sequenziali composti di adattatori di uso comune, conduttori di corrente elettrica che danno “forma” all’energia, luce per rivelare l’invisibile. Coinvolgendo lo spettatore in maniera attiva ed emotiva.
Come nasce l’idea di utilizzare componenti elettrici?
Il mio lavoro ha come elemento fondante l’energia. Volevo darle forma, modellarla e manipolarla. In sostanza si tratta di assemblaggi di componenti elettrici, per la precisione sono degli adattatori sempre dello stesso tipo e solo bianchi o neri, vengono inseriti uno con l’altro, creano così dei costrutti che hanno come peculiarità il fatto di condurre elettricità, perché è la loro natura intrinseca. L’elettricità scorre in tutto il costrutto e prende forma. È una modulazione di componenti che richiede un lavoro di montaggio e smontaggio con tempi molto lunghi. Ogni opera ha una scheda tecnica con tutte le istruzioni per la modulazione e il montaggio. Ogni volta è come cucirla e scucirla dalla parete,
È come imbrigliare l’energia?
Sì perché il passaggio dell’elettricità, attraverso tutti questi corpi, genera un campo elettromagnetico nello spazio. Sono generatori di energia che rilasciano campi magnetici che si imprimono nello spazio. Lo spazio elettromagnetico che creo lavora sullo spazio-contenitore e quindi sulle persone, ed è questo il fine del mio operare.
E la luce che significato ha?
Nel mio lavoro è fondamentale l’energia più che la luce. La luce mi serve nei tagli delle composizioni per indicare che all’interno di questi corpi di materia inerte, che sono monocromi e statici, c’è un movimento, qualcosa che brucia, grazie proprio all’elettricità che vi corre dentro a grandissima velocità. È come rivelare un aspetto ardente, interiore e primordiale.
Come possiamo definirle, opere o installazioni?
Non lo so, io non sono molto bravo nelle distinzioni, in verità a volte sono ambienti, opere molto grandi, dove l’energia, naturalmente, ha una maggiore potenza rispetto a contesti di piccole dimensioni, che avvolgono lo spettatore L’uso di questo materiale e della luce mi aiuta a lavorare con l’aspetto immateriale, cioè l’energia. Considero questi costrutti il mezzo per creare il mio lavoro perché io cerco di mettere l’accento sul fatto che non devi per forza vedere la materia per sentire.
Quando e come hai iniziato?
Io nasco come industrial designer, ho fatto un master alla Domus Accademy di Milano nel 1990. Il mio incontro con il mondo dell’arte è avvenuto grazie al gallerista Plinio De Martiis della Galleria La Tartaruga di Roma. Mi invitò a partecipare a una mostra collettiva con oggetti di progettazione che facevo a quei tempi, secondo lui avevano un valore aggiunto rispetto ai parametri normali del design. Da quella esperienza ho iniziato a pensare a una dimensione più artistica.
“Connessioni luminose” è il titolo della mostra alla Galleria San Fedele: 37586 elementi modulari, connessi tra loro, per creare la luce. Esiste una componente spirituale nella tua opera?
Il tema della mostra è l’ecumenismo, ossia cercare di trovare una radice comune per le diverse religioni. Le mie opere si rapportano con il tema della mostra per il loro simbolismo arcaico e primario. Lavoro con l’energia, con il fuoco, con forme astratte e, in quanto energia, le opere assumono un aspetto spirituale, che può essere distruttivo e/o curativo.
Perché tutte le opere si intitolano “Campo” cui segue un valore numerico?
È un titolo tecnico, perché sono tutti campi elettrici, ogni opera è un singolo campo, mentre il numero si riferisce al numero di componenti di cui l’opera è composta, e la N o B indicano se bianca o nera.
I campi magnetici interagiscono con lo spazio, esplicitando una dichiarata volontà di coinvolgere il visitatore in un’esperienza immersiva, un rapporto diretto tra opera e fruitore. Pensi che il senso del tuo lavoro sia compreso dallo spettatore?
L’esperienza mi dice che ogni spettatore ha pensieri e coinvolgimenti diversi di fronte alle mie opere. Non nego che mi faccia piacere quando il visitatore vive e comprende l’aspetto energetico del mio lavoro. Spero in un coinvolgimento emotivo, persone che siano sensibili a questo tipo di linguaggio, a questo tipo di racconto.
Programmi per il futuro?
Sono impegnato per tutto il 2017 prima con una mostra al MAC (Museo Arte Contemporanea) di Santiago del Cile, poi al Museo di Arte Contemporanea di Lima in Perù, all’Oscar Niemeyer Museum di Curitiba in Brasile, insieme a Davide Boriani, e poi a Palermo con due mostre: una allo ZAC – Zisa Zona Arti Contemporanee e l’altra al Museo Riso.
– Susanne Capolongo
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