Didone – dell’amore dell’inganno dell’esilio e del suicidio

Informazioni Evento

Luogo
GALLERIA DAVIDE GALLO
via Farini 6 , Milano, Italia
(Clicca qui per la mappa)
Date
Dal al

Gli orari di visita sono: dal 29 marzo al 7 aprile, ogni giorno inclusi domenica e lunedì, orario continuato dalle 14 alle 20. Dal 8 aprile al 13 maggio solo su appuntamento.

Vernissage
28/03/2017

ore 18,30

Artisti
Marisa Albanese, Raffaella Mariniello, Mariangela Levita, Rosy Rox
Generi
arte contemporanea, collettiva

Un progetto che vede coinvolte quattro artiste napoletane, con opere inedite e appositamente realizzate per la galleria, intorno al tema mitologico di Didone.

Comunicato stampa

Il giorno martedì 28 marzo, la galleria Davide Gallo, Via Carlo Farini 6 – Milano, ha il piacere di inaugurare la mostra Didone – dell’amore, dell’inganno, dell’esilio e del suicidio, un progetto che vede coinvolte quattro artiste napoletane, con opere inedite e appositamente realizzate per la galleria, intorno al tema mitologico di Didone.
Mariangela Levita, Marisa Albanese, Raffaela Mariniello e Rosy Rox, sono chiamate a interpretare il mito femminile e mediterraneo di Didone, intesa come simbolo di esilio, condizione anche spirituale ed emotiva, oltre che di vagabondaggio geografico. Didone è forza dell’amore femminile, aristocratico distacco dalle illusioni mondane con il gesto del suicidio. Nel suo video, Raffaela Mariniello affronta il tema del viaggio come fuga dalla solitudine e dall’incomunicabilità. La natura è il punto di approdo, la grande madre capace di accogliere e consolare, una natura trattata dall’artista in termini di evocazione mitologica. Ma per la Mariniello il mito non è qualcosa al di sopra della vita, è la vita stessa. La vita comune, nella sua banalità diventa mito. Il gesto semplice, quotidiano, gli oggetti, i più banali della vita di ogni giorno, diventano mito e in questo modo riscattano e sublimano la “malinconia” e la fragilità dell’esistere. Per Rosy Rox, performer e scultrice, l’arte è inganno. L’opera nella sua ambiguità formale e soprattutto nella sua frammentazione, continuamente inganna lo spettatore. Le forme hanno significati molteplici e ambigui. La superfice esterna dell’opera, la sua pelle, assume forme che spesso il significato volutamente tradisce. La coerenza trova validità nello slittamento tra forma e significato. Amore e suicidio, vita e morte si fondono nel lavoro di Mariangela Levita, la cui produzione artistica è da sempre caratterizzata da una forte capacità di astrazione. Partendo da un’immagine classica, l’opera Didone sulla Pira di J.H. Tischbein the Elder, la Levita, nel suo ritratto di Didone, destruttura la composizione affinché lo spettatore, più che avere un’immagine radicale della realtà, secondo le norme dell’astrazione geometrica, abbia una percezione diversa, sintetica ed empatica della realtà stessa. Un lavoro sulla percezione quindi, più che sulla realtà esterna, sicché il dolore dell’eroina Didone, la sua morte, il suo suicidio, diventano oggetto di indagine emotiva e lo spettatore ne è immediatamente coinvolto. L’opera non ha più valore come icona, ma suggerisce un più facile cammino affinché la realtà esterna entri in contatto con la coscienza dello spettatore. Nelle due opere presenti in mostra, Marisa Albanese pone l’attenzione sull’opera intesa come meta-testo. L’artista suggerisce infatti un percorso alternativo, al di sopra dell’opera, che diviene esso stesso opera d’arte. Due vecchie edizioni di opere su Didone: il 4° libro dell’Eneide, e un’edizione ottocentesca della Didone Abbandonata di Metastasio sono il punto di partenza di questo percorso. Nel primo, il libretto è interfacciato con immagini di migrazioni, lì dove Didone è vista come simbolo della migrazione e dello spostamento alla ricerca di una nuova patria e di una nuova identità, simbolo di tutte le migrazioni che anche oggi avvengono sul mare Mediterraneo. Nel secondo libro il percorso è diverso: l’eroina di Metastasio è un’eroina moderna, più reale, e a esplorare il suo variegato mondo spirituale l’artista chiama nove film cult, in cui le protagoniste commettono suicidio per amore, o vivono i sentimenti agiti nel testo di Metastasio. L’opera non è più l’oggetto in sé, ma il meta-testo appunto, il percorso mentale capace di trasformare un semplice libro in opera d’arte.