Coreografare il tempo. In memoria di Trisha Brown
Icona della Post Modern Dance, coreografa dello spazio e del gesto, Trisha Brown ha donato al mondo, con la sua ricerca e pratica artistica, un profondo lascito.
La sua scomparsa è avvenuta il 18 marzo, dopo un percorso doloroso nella malattia, a pochi mesi dalla perdita del suo compagno di vita, l’artista Burt Barr.
Trisha Brown, nata nel 1936, è stata una delle grandi innovatrici della danza contemporanea, contribuendo con la sua ricerca alla creazione di un nuovo pensiero coreografico che attraversa il Minimalismo e segna la ricerca attuale.
È stata protagonista della singolare stagione del Judson Memorial Church, il celebre spazio dell’allora underground Greenwich Village di New York che, dal 1962 al 1964, diventò fucina dei nuovi linguaggi, luogo di sperimentazione e condivisione di pratiche artistiche. Qui si sono incontrati i percorsi di Steve Paxton, Yvonne Rainer, Carolee Schneeman, Robert Dunn e sono nate collaborazioni che hanno scritto la storia dell’arte e della coreografia contemporanea.
SPAZIO, TEMPO E INTENSITÀ
Il lavoro di Trisha, che debutta con Trillium nel 1962, si caratterizza da subito per la grande raffinatezza dello stile compositivo, per il suo vocabolario gestuale, articolato secondo accumulazioni, rapporti matematici, variazioni, dove unità minime di gesto si dispongono per poi deflagrare nel tempo e nello spazio in improvvise collisioni.
Attraverso un esercizio consapevole e costante di “pienezza della presenza”, l’astrazione diventa poetica e raggiunge il territorio di una profonda emozione, priva di retorica, dove entità di movimento sono ingabbiate, trattenute in un’instabile struttura molecolare fino a liberarsi in una partitura coreografica di ampiezza spaziale, quasi architettonica.
Interrogata sulla natura della danza, Trisha Brown rispondeva definendola come un rapporto tra spazio, tempo e intensità, che la coreografa statunitense ha declinato con forme e metodologie sempre inedite, in ognuna delle oltre cento produzioni che hanno segnato la sua prolifica carriera.
UNA DANZA PIONIERISTICA
Attraverso un percorso di collaborazioni artistiche, tra tutte quelle con Robert Rauschenberg, Alvin Curran, Laurie Anderson, Babette Mangolte (filmmaker che ha immortalato il folgorante Water Motor), Trisha Brown ha portato, pioneristicamente, la danza negli spazi museali, sulle pareti dei grattacieli, nelle gallerie, nei parchi, aprendola alla dimensione urbana, profondamente pubblica, coreografando lo spazio, il tempo, l’architettura.
Memorabile è uno dei suoi lavori meno replicati: Walking Down on the Side of a Building, presentato per la prima volta nel 1970, all’interno della serie Equipment Pieces (1968-1971). Allestita, in un periodo di recessione economica, all’interno di un’area abbandonata della città di New York, sulla superficie di un palazzo di sette piani dove risiedeva una delle prime Fluxhouse cooperatives di George Maciunas, la performance rappresentava una sfida alla gravità. Trisha, sospesa nel vuoto, a 90 gradi rispetto alla verticalità della parete, simulava l’atto del camminare affidando il peso a corde tenute da collaboratori situati sul tetto. Un lavoro sul limite, fisico e percettivo, in cui il corpo del performer e lo sguardo dello spettatore venivano sottoposti, con grande semplicità e purezza, a una condizione estrema.
TRA ARTE VISIVA E COREOGRAFIA
Insieme a Line Up, Glacial Decoy, I love my robots, Set and Reset (in collaborazione con Robert Rauschenberg e Laurie Anderson) Walking Down on the Side of a Building rappresenta una tappa importante di un percorso artistico che insiste sulla soglia tra arte visiva e coreografia, intesa come scrittura dello spazio attraverso il movimento, partitura ritmica del frame visivo.
Questo rapporto appare ancora più importante oggi, in un periodo storico di urgenze profonde, quando la danza travalica la porta di studi e teatri per aprirsi al tessuto urbano, dando sfogo alla propria vocazione pubblica, alla propria forza scultorea, alla sua intrinseca necessità relazionale, facendo in modo che il solco tracciato dalla Tersicore in sneakers continui a incidere sul tempo presente.
La libertà e la gioia nella composizione hanno caratterizzato la ricerca di Trisha Brown sino alla fine, anche quando, attraverso il confronto con i compositori classici (Bach, Monteverdi), si è spinta a indagare un territorio inesplorato e a definire una nuova relazione con la partitura musicale e con la Storia, in un percorso a seguito del quale il ritorno all’astrazione non sarebbe più stato possibile.
– Maria Paola Zedda
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