Un’onda di luce. Giacomo Balla a Roma
Galleria Nazionale, Roma – fino al 26 marzo 2017. Un’esposizione che approfondisce il Balla degli affetti, fautore di una dimensione intimista, riabilitando l’ultimo periodo artistico complice di un nostalgico prolungarsi del Ritorno all’Ordine.
Si parte dal precoce interesse per la fotografia, soffermandosi sull’espressività divisionista in sintonia con la poetica di Pellizza da Volpedo, con accostamenti divergenti che nutrono la cromia di una personalissima qualità costruttiva; si passa alla fase FuturBalla con le sperimentazioni cromatiche e le Compenetrazioni iridescenti. Fil rouge del lavoro di Giacomo Balla (Torino, 1871 – Roma, 1958) e delle opere esposte è la fascinazione per la luce, da una parte quale spettro del visibile, colore puro, dall’altra quale fonte luminosa muscolare, matrice di movimento. Come nella Camera Chiara Roland Barthes è alla ricerca del noema della fotografia, Balla sembra voler utilizzare il linguaggio fotografico – il primissimo piano, la frammentazione del fotogramma, l’elemento poetico dell’inquadratura – per arrivare all’essenza dell’immagine.
UN PERCORSO INTENSO
Nel Trittico degli affetti il colore si asciuga, risparmia per non disperdere l’energia dolce del viso di donna e della bambina, come per contemplarne senza impedimenti la soavità del tratto, un olio su tela che regala venature evanescenti da pastello. Un bianco e nero e una perizia chiaroscurale che sembrano riflettere uno studio da camera ottica. Sebbene la mostra sia in verità l’occasione per esporre, per la prima volta insieme, i lavori donati da Elica e Luce Balla nel 1984 e nel 1998 alla Galleria Nazionale, magari rispolverando qualche vecchia reliquia dai ricchissimi depositi, non si perde il suggestivo risultato di poter ripercorrere un breve itinerario dell’opera del maestro del Futurismo.
UN APPROCCIO OLISTICO
Balla postula una palingenesi della realtà grazie a un approccio olistico: l’estetica come forza motrice non tralascia il minimo dettaglio così da risplendere nelle arti applicate, dal teatro all’oggetto di uso quotidiano, dalle stoffe ai paraventi, secondo il principio sincronico e identificativo di arte e vita. Colpisce il fuoco dei ritratti familiari: il ritratto di Luce del 1950, in cui la donna, nella sua veste fiorita, si staglia in un brulichio rigoglioso e verdeggiante, La figlia del pittore del 1939, in cui il verde vitreo e acquoso degli occhi è riecheggiato nel fondale per rinvigorirsi nel motivo a righe della camiciola a contrasto col violaceo, le dita della mano cingono il gomito, accavallandosi in un attimo di trasognata contemplazione. Un’onda di luce si inerpica sul collo e sui pomi del viso in un’esplosione di toni carminio, dalle labbra semichiuse alla camicia di seta, fino a virare sotto lo sbalzo luminoso verso toni arancio.
– Giorgia Basili
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