Vi piaceva più il Mart della Belli o vi piace più il Mart della Collu? Un’intervista a Repubblica svela la visione del nuovo direttore di Rovereto

“Un museo non può essere solo un luogo dove si fanno mostre. Mi piace l’idea di un posto che somigli più a un laboratorio, a un’officina viva”. Se voleva mettere in chiaro fin da subito che non intende sedersi sulla poltrona più alta del Mart a fare l’interprete del “gabriellabellismo”, Cristiana Collu, parole più efficaci […]

Un museo non può essere solo un luogo dove si fanno mostre. Mi piace l’idea di un posto che somigli più a un laboratorio, a un’officina viva”. Se voleva mettere in chiaro fin da subito che non intende sedersi sulla poltrona più alta del Mart a fare l’interprete del “gabriellabellismo”, Cristiana Collu, parole più efficaci e dirette non le poteva scegliere. Parole che – per usare un refrain amato dal nostro ex premier – in sostanza preannunciano una “rivoluzione copernicana” nella vocazione del primo museo italiano d’arte contemporanea, che ha appena ufficializzato la nomina alla direzione dell’ex guida del Man di Nuoro.
Rivoluzione copernicana, quella raccontata a Dario Pappalardo nell’intervista pubblicata oggi da Repubblica. Perché se c’è un museo in Italia che si allontana dal cliché dell’”officina”, dello spazio votato primariamente alla ricerca, quello è il Mart, che al contrario finora ha trovato la sua identità presentandosi come istituzione capace di proporre mostre di studio, approfondite e filologiche monografiche, di riscoprire e valorizzare personaggi nell’ombra: l’unico in Italia – assieme ad un certo Castello di Rivoli – in grado in questo di competere con musei come il Centre Pompidou, o la Tate Modern.
Quindi? “Non voglio fare il curatore – rivela ancora nell’intervista -, ma mantenere una posizione di equidistanza come ho fatto al Man. Credo che in Italia manchi la figura di direttore di museo tout court. Si confonde sempre con quella degli storici e dei critici d’arte che poi arrivano a dirigere i musei. Ho molte curatrici e conservatrici da coinvolgere: vorrei costruire uno staff di persone il più possibile felici, se non è una parola tabù”. L’atmosfera si va definendo, anche se si resta sulle generali. Come deve essere una buona mostra? “Una mostra di indagine. Deve cercare di far diventare il museo un luogo dove le cose vengono messe in crisi. […]Mi interessa l’opera come processo, esperienza, mi piacerebbe che il museo diventasse uno strumento suonato dagli artisti. Non mi piacciono le mostre che non sono audaci, che sono solo storiche o troppo didascaliche. Quelle che sono traduzioni di cataloghi”.
Ora il concept è abbastanza chiaro, restiamo in impaziente attesa. Le premesse sono quelle che annunciano un cambio di stile del museo, evidentemente percepito come necessario dal Cda nel momento di scegliere la nuova direttrice. Ma davvero il Mart old style lo richiedeva?

Il testo integrale dell’intervista

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