Impegno mantenuto. Da Pisapia a Sala unico iter per restituire la Casa degli Artisti ai milanesi
Buone nuove da Milano. La Casa degli Artisti, vecchia oltre un secolo, risorge dalle macerie e dal degrado. La sfida della giunta Pisapia, raccolta e portata a termine dalla giunta Sala, diventa esempio virtuoso. Manca solo l’ultimissimo step.
Gli artisti di Milano (e non solo) da oggi hanno una nuova casa comune. Corso Garibaldi 98, zona Brera: quella che un tempo era la Casa de’ Pittori, oggi è ufficialmente la Casa degli Artisti. Uno di questi posti che l’incuria aveva sottratto alla città, per interminabili anni. Rimasta a marcire per mano di una classe politica incapace di progettare, d’investire, di offrire concretezza all’immaginazione.
Poi succede che le cose cambino, che le poltrone girino, che le giunte si attivino là dove altri avevano fallito, temporeggiato. E così questi 3.300 metri quadrati edificati agli inizi del Novecento dai Fratelli Bogani, due mecenati innamorati dell’arte, oggi rinascono. Ristrutturati a dovere e con un destino ben disegnato, a favore di cittadini, turisti, professionisti.
LA STORIA, TRA DEGRADO E RINASCITA
La morte dei Bogani, negli anni Trenta, segnò l’inizio della fine. Espropriato agli eredi in epoca fascista, destinato a demolizione certa, l’edificio si salvò con lo scoppiare della guerra: progetto urbanistico bloccato e bombardamenti schivati. Da allora fu un destino di decadenza progressiva, tra occupazioni, crolli, cumuli di spazzatura.
Una parentesi felice fu quella inaugurata a fine Anni Settanta da un gruppo di artisti, fra giovani e maestri, che rivitalizzarono lo spazio, prendendosene cura e costruendo un’interessante esperienza culturale, che ebbe un ruolo decisivo nella scena artistica milanese: tra loro Luciano Fabro, Hidetoshi Nagasawa e la critica d’arte Jole De Sanna. Nei locali del pianoterra, a partire dagli Anni Ottanta, si insediò il Centro Sociale Occupato Garibaldi: la convivenza con gli artisti non fu sempre facile. L’immobile, vincolato in quanto bene architettonico e bisognoso di interventi di conservazione, continuava a non destare l’interesse delle amministrazioni.
A svegliarsi per prima fu la giunta Moratti, che nel 2007 – dopo la morte di Fabro – sgomberò i locali, sia gli spazi del CSO, sia gli atelier degli artisti. Indiscriminatamente. Si pensava di recuperare la struttura e trasferirvi la scuola di ballo della Scala, ma non se ne fece nulla. Dopo decenni di fermento, con transiti di pittori, scultori, scenografi, grafici, fotografi, docenti e studenti, con l’Accademia di Brera a fare da fulcro e fucina, e con presenze del calibro di Dino Buzzati, Achille Beltrame, Chet Beker, Dadamaino, passati lì nel corso dei decenni, questo magico posto andò in rovina. Una lunga agonia senza ragione.
Le cose cambiarono con Pisapia, che – non senza scontare le solite polemiche – sgomberò gli ultimi occupanti e mise mano a un bando per il recupero architettonico. La macchina partì e le linee guida furono annunciate a luglio 2015. La Casa sarebbe diventata un atelier low cost: niente affitto per gli artisti (giusto un contributo spese); studi aperti al pubblico; progetti culturali per coinvolgere la città; bando per affidare gli interventi di restauro; bando per individuare un gestore, a cui affidare anche uno spazio servizi a pianterreno; commissione di esperti, incaricata di valutare artisti e proposte. Il tutto da consegnare entro il 2017.
L’impegno, in perfetta continuità, lo confermò a fine campagna elettorale il futuro sindaco Beppe Sala, proprio su Artribune: “Milano avrà finalmente una sua Casa degli Artisti, con atelier, laboratori e spazi espositivi. Il progetto di ristrutturazione dell’edificio è in via di conclusione, ora si tratta di costruire il giusto modello di gestione”. E così è stato.
QUANDO LA POLITICA INDICA LA STRADA
Terminati i lavori in questi giorni di primavera, con la firma degli architetti Aldo Fontana e Tanja Bekjarova, si attende solo la scelta del soggetto che gestirà la Casa, per un canone d’affitto pari a 49.216,50 euro. Il pianoterra, così come stabilito, ospiterà un bar-ristorante con area eventi, affacciato sul piccolo giardino segreto curato dal Wwf. Il tutto sostenuto anche da un adiacente sviluppo urbanistico (un nuovo edificio di 11 piani) e dai relativi oneri di concessione.
Un caso esemplare, che dimostra come si fa a uscire da certi impasse autolesionisti e sostanzialmente ottusi: tra la paura di sgomberare e l’incapacità di recuperare, riprogettare e costruire forme intelligenti di gestione collaborativa, si sono perduti anni, luoghi, idee, occasioni, lasciando che a imporsi fossero l’illegalità e l’abbandono. A Roma, per esempio. Mentre la giunta a Cinque Stelle prende a modello un posto occupato come il MAAM per la futura direzione del Macro, che ne è di luoghi simbolo come il Teatro Valle? Oggi, a distanza di 3 anni dallo sgombero operato da Ignazio Marino, tutto tace. All’interno resti di bivacchi, muffa, oggetti accatastati. Il degrado in scena. Cosa obiettare, allora, a chi dice “meglio un’occupazione virtuosa, ancorché illegale, rispetto al nulla assoluto”? Un fallimento culturale, prima che politico, per qualunque amministrazione.
– Helga Marsala
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