Gabi Ngcobo, a capo della Berlin Biennale, ha scelto i suoi curatori: giovani, eclettici e engagé
Quattro co-curatori affiancheranno la curatrice principale. Definito il team della prossima Biennale di Berlino. E anche le linee teoriche iniziano a definirsi. Appuntamento all’estate 2018.
È un momento felice per l’arte contemporanea africana. Dal punto di vista del mercato, innanzitutto, ma anche della critica e dell’attenzione istituzionale: di recente abbiamo passato in rassegna l’exploit che sta vivendo il settore, tra case d’asta internazionali, nuovo collezionismo, fondi d’investimento specifici, mostre e biennali di rilievo, e una costante affermazione di artistar internazionali che arrivano dal Continente Nero. Del resto, alla guida della Biennale di Venezia del 2015, c’era un super curatore di origini nigeriane come Okwui Enwezor, e nello stesso anno veniva designata la curatrice della decima Biennale di Berlino, attesa dal 9 giugno al 9 settembre del 2018.
Gabi Ngcobo, sudafricana, membro fondatore della piattaforma Center for Historical Reenactments, aveva già collaborato con la Biennale tedesca per dei progetti speciali. Ma lungo e prestigioso è il curriculum della curatrice, che ha all’attivo importanti esperienze con incarichi di peso: tra questi la co-curatela della 32ma Biennale di San Paolo e quella della Biennale Cape07, a Città del Capo.
I CURATORI E L’IMPIANTO TEORICO
Grande attesa dunque per l’importante piattaforma berlinese e per i temi, il taglio, le suggestioni che Ngcobo metterà in campo. Intanto, arriva l’elenco dei colleghi scelti per il team curatoriale che la affiancherà. Tutti profili internazionali, tre con origini africane e uno di nazionalità brasiliana. Si tratta di: Mosè Serubiri, critico e curatore indipendente, nato nel 1989 in Uganda, con base a Kampala; Nomaduma Rosa Masilela, critico, storico dell’arte e artista, dottoranda in storia dell’arte alla Columbia University di New York; Thiago de Paula Souza, curatore di San Paolo del Brasile, educatore presso l’Afro-Brazilian Museum e cofondatore della piattaforma di artisti e pensatori We Cannot Build What We Cannot First Imagine; Yvette Mutumba, nata nel 1981 a Berlino, confondatrice ed editor-in-chief dell’art magazine Contemporary And (C&). Individuato anche il graphic designer che costruirà l’immagine coordinata della Biennale: si chiama Maziar Pahlevan, è iraniano (classe 1983), si è formato alla Royal Academy of Art di The Hague, in Olanda, e attualmente vive a Berlino.
I quattro co-curatori, spiega lo statement ufficiale, “conducono una ricerca in progress, malleabile e aperta, su temi come la politica dell’opacità, le previsioni sul post-apocalisse, i processi organizzativi non convenzionali, e sono interessati a testi ed eventi che si oppongono alle dinamiche del potere insite nella scrittura narrativa”. Una mostra che – dal cuore di un’Europa scissa e irrisolta – pare orientarsi dunque verso tematiche politco-sociali, sintonizzandosi con quello stato d’incertezza, d’inquietudine, di perturbazione che agita il presente a livello globale: “Di fronte all’attuale stato di psicosi collettiva e a partire dalla posizione dell’Europa, della Germania e di Berlino, in quanto città in dialogo con il mondo, il processo curatoriale sarà selettivo, non esaustivo e non fornirà una lettura coerente delle storie o dell’attualità. I punti chiave da cui si muoverà il team di curatori funzioneranno come strategie di autoconservazione, come atti di smantellamento delle strutture dominanti e come pratica costruttiva a partire da una posizione non gerarchica”. Nella speranza che l’impalcatura teorica, al netto di ridondanze verbali, attorcigliamenti intellettualistici e retoriche engagé, conduca a un esito interessante dal punto di vista delle soluzioni linguistiche, estetiche, formali, processuali. In altri termini: le opere e i display. Che è quello che conta davvero.
– Helga Marsala
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