Guerre – Manu Brabo

Informazioni Evento

Luogo
MUDIMA LAB
via Alessandro Tadino 20 , Milano, Italia
(Clicca qui per la mappa)
Date
Dal al

dal martedì al sabato, 15:00 – 19:00 Possibilità di visite su appuntamento

Vernissage
16/05/2017

ore 18

Biglietti

ingresso libero

Artisti
Manu Brabo
Generi
fotografia, personale

Mudima Lab inaugura la seconda mostra nell’ambito del progetto GUERRE, dal titolo Libia. Illusione di libertà, attraverso gli scatti del fotoreporter Manu Brabo.

Comunicato stampa

Il 16 maggio 2017 Mudima Lab inaugura la seconda mostra nell’ambito del progetto GUERRE, dal titolo
Libia. Illusione di libertà, attraverso gli scatti del fotoreporter Manu Brabo.

GUERRE è il titolo del progetto per il primo ciclo di mostre ideato e curato da Mudima Lab, e prevede sei mostre personali della durata di circa due mesi ciascuna.

Il progetto GUERRE nasce dalla volontà di dare visibilità ai fotoreporter di guerra che spesso non hanno istituzioni alle spalle e rischiano la vita nelle aree di conflitto contemporanee: il fil rouge delle sei mostre è proprio l’intersecarsi delle guerre e delle conseguenti migrazioni di popoli all’interno del bacino del Mediterraneo
e del Medio Oriente, il tentativo di raccontare attraverso gli occhi dei fotografi cause ed effetti di guerre a noi vicine ma troppo spesso considerate un argomento distante, da un mondo occidentale indifferente, se non per le problematiche economiche che ne possano derivare.
Un ringraziamento particolare va a MeMo di Torino per aver creduto nell’idea, e per aver facilitato il contatto e il rapporto con i fotografi coinvolti nel progetto.

Il progetto prevede la presenza di sei fotografi, i primi tre nomi sono quelli di Fabio Bucciarelli (Premio
Robert Capa 2012, World Press Photo 2013) in mostra presso Mudima Lab dal 7 marzo al 29 aprile 2017, Manu Brabo (Premio Pulitzer 2013 per il fotogiornalismo) e Diego Ibarra Sànchez . I tre oltre ad essere fotoreporter freelance sono anche fondatori di MeMo Coop a Torino, memo-mag.com. La realtà di MeMo rappresenta un network, un punto di ritrovo per fotoreporter freelance di tutto il mondo che vogliano sentirsi parte di una comunità e che necessitino di essere tutelati nel loro lavoro, una professione che prevede molti rischi e che non sempre viene supportata economicamente in modo adeguato.

La nostra idea, vista l’esperienza pluridecennale all’interno del mondo della cultura della Fondazione Mudima, è proprio quella di portare il fotogiornalismo di guerra in un ambito parallelo ma diverso da quello consueto delle testate giornalistiche, con l’obiettivo di coinvolgere un pubblico sempre più ampio nella comprensione
di alcuni temi di certo dolorosi, non semplici, ma che inevitabilmente ci riguardano da vicino e nei confronti dei quali non possiamo rimanere estranei.
Il ciclo delle sei mostre durerà un anno circa, al termine del quale realizzeremo un libro, edito da Fondazione Mudima, che conterrà l’intera esperienza, attraverso testi critici e foto degli autori.

Irene Di Maggio e Fabio Mantegna

Manu Brabo – Libia. Illusione di libertà
Inaugurazione martedì 16 maggio 2017, ore 18:00
Date: 17 maggio – 1 luglio 2017
Orari: dal martedì al sabato, 15:00 – 19:00
Ingresso libero
Possibilità di visite su appuntamento

Libia. Illusione di libertà

L’autore Manu Brabo, attraverso i suoi reportage in Libia dal 2011 a oggi, ci restituisce un Paese che va al di là dei conflitti presenti, una terra sconvolta dalla guerra civile, un Paese che dopo la morte
di Gheddafi, avvenuta il 20 ottobre del 2011, ha perso ogni direzione.
Scorrendo le foto dell’autore dalla battaglia di Sirte del 2011 alla guerra all’Isis degli ultimi anni, nello specifico nella parte di lavoro che Manu Brabo chiama Dougma – War against IS in Sirte (autunno 2016), si evince facilmente come il conflitto in Libia non si sia mai concluso nè risolto e nè tantomeno vedrà una soluzione a breve; troppi gli interessi dall’esterno che spingono da una parte e dall’altra nel tentativo di ristabilire rapporti economici che, nella maggior parte dei casi, favoriscono esclusivamente pochi Paesi, per lo più occidentali.
Manu Brabo si spinge sempre in prima linea nei conflitti che documenta, e alcuni degli scatti in mostra presso Mudima Lab testimoniano proprio i combattimenti fra le forze lealiste di Gheddafi e i ribelli, la distruzione, la desolazione lasciata da anni di vuoto di potere dopo la morte del colonnello e il conseguente arrivo dello Stato Islamico in alcune zone della Libia.
Nell’aprile del 2011 l’autore viene catturato dalle forze lealiste dell’esercito di Gheddafi e tenuto prigioniero per quarantacinque giorni, la metà di questi in solitudine. Verrà poi rilasciato e tornerà in Spagna. A distanza di due mesi dalla sua liberazione, nell’agosto del 2011, Manu Brabo ripartirà per la Libia andando in cerca proprio dei luoghi dove era stato detenuto, e visitando anche le altre prigioni libiche, nella volontà da un lato, di superare un trauma personale che lo ha colpito profondamente e che ha cambiato il suo approccio nei confronti della sua professione, dall’altro nella convinzione di voler testimoniare come effettivamente il “trattamento” dei prigionieri da parte di una o dell’altra fazione non sia poi così diverso. Tornato in Libia, i suoi carcerieri, come in un terribile gioco delle parti, erano diventati i prigionieri, e l’autore racconta le torture subite anche da questi uomini. La guerra, come sempre accade, trascina l’uomo verso il basso e gli “consente” di far emergere il suo lato oscuro.

“Questo progetto è un tentativo personale di creare una narrazione della condizione di tutti quelli che, ironicamente, hanno perso la loro libertà a causa di una guerra scoppiata proprio per ‘portare questa libertà’.
La storia è principalmente motivata da due esperienze strettamente correlate fra loro. Una riguarda la mia cattura da parte delle truppe lealiste di Gheddafi e la mia conseguente prigionia. L’altra è la conferma, non troppo tempo dopo essere stato rilasciato, del brutale trattamento che i ribelli stavano usando con
i prigionieri lealisti al regime di Gheddafi.
Di conseguenza, oltre a cercare di descrivere la situazione dei prigionieri, il tentativo con questo lavoro è quello di raccontare la rabbia, la furia, gli abusi e le torture... ma, soprattutto, l’auto-annientamento dovuto alla mutilazione del più grande dei nostri desideri come esseri umani, la libertà.
Quindi, offrendo la mia personale esperienza, posso raccontare la situazione dei prigionieri e renderla più vicina, più comprensibile... così come le immagini dei prigionieri possono fare luce sulla mia esperienza.”
Manu Brabo – War Prisoner (Libya)

Gli scatti di War Prisoner, presentati in mostra, documentano la condizione dei prigionieri nelle carceri libiche, raccontando la vita di chi si trova rinchiuso in cella. Manu Brabo decide di intervenire con la scrittura sulle foto stampate, riportando le testimonianze delle persone con le quali è riuscito ad entrare in contatto, unite a pensieri e considerazioni personali, esprimendo così anche a parole il dolore e la sofferenza causata da guerre infinite, spesso nella vana ricerca di una finta libertà.

Manu Brabo Bio

Manu Brabo (Spagna, 1981) è un fotoreporter freelance che vive fra Madrid e Torino.
Il suo lavoro si concentra principalmente sui conflitti sociali nel mondo, a partire dal 2007 si è occupato dei paesi colpiti duramente da disastri naturali, dei cambiamenti politici, delle insurrezioni, delle rivoluzioni e delle guerre in Paesi come l’Honduras, El Salvador, Haiti, Bolivia, Libia, Egitto, Siria, Ucraina e altri ancora.
Nel corso degli ultimi anni Manu Brabo ha collaborato con diverse Organizzazioni Non Governative (NGO) e agenzie internazionali di informazione quali The Associated Press, e i suoi scatti sono stati pubblicati sulle più importanti riviste e sui maggiori quotidiani.
Manu Brabo è anche membro effettivo di MeMo e co-fondatore della rivista della cooperativa.
Ha vinto numerosi premi, fra questi: POYi “Award of excellence” 2017, Premio Reporteros El Mundo 2016, Press Awards UK 2016 “Photographer of the year 2015”, Giornalisti del Mediterraneo, Italia 2014, Premio Pulitzer, Breaking News Photography 2013, POYi 1st place, Spot News, 2013.

GUERRE

Guerre.
Un termine al plurale, un significato plurale, un’unica conseguenza.
Lo scenario di guerra che circonda il Mediterraneo oggi e che comprende anche il Medio Oriente è variegato
e quanto più complicato, nel suo divenire e nel suo evolversi continuo fra antiche lacerazioni riaffiorate e nuovi interessi economici globali che, da lontano, controllano la scacchiera internazionale.
Equilibri spezzati e spinte bilaterali fra Occidente e Oriente muovono masse di persone come fossero onde che fluttuano da una parte all’altra e, così come le onde si infrangono a riva, allo stesso modo le persone vengono sospinte verso altre rive, le nostre, nella speranza della vita.
Tutto questo accade quotidianamente, sia che vogliamo o meno soffermarci sulla realtà, essa continua ad accadere anche senza la nostra attenzione.
Si tratta di vite umane, come sempre nelle guerre, ma a noi che stiamo dall’“altra parte” troppo spesso sfugge il concetto di vita o di morte, per una tutela psicologica tendiamo ad abituarci ai numeri che ci vengono forniti fra chi perde la vita oggi o chi vincerà domani continuando ad uccidere.
Siamo di fronte a catastrofi umanitarie alle quali non si può restare indifferenti.
Un piccolo passo che possiamo fare è proprio quello di dedicare un momento della nostra vita ad approfondire ciò che sta davvero accadendo non lontano da noi, ampliando la nostra conoscenza.
I fotoreporter di guerra riportano dai loro viaggi realtà e conoscenza dei fatti, dalla prima linea della guerra
o da dietro le quinte, documentando con instancabile precisione la vita e la morte durante i conflitti, e rendendoci testimoni degli scenari politico-economici che si avvicendano.
Questi fotografi ci restituiscono le conseguenze sulle persone e sui popoli, e disegnano con la fotografia una mappa dei cambiamenti storici prima che questi vengano “formalizzati” dalla politica e dall’economia internazionale.

Irene Di Maggio

Dalla parte di chi scatta

La dinamica entro la quale si realizza uno scatto è variabile.
Molto dipende dalla situazione che ci spinge a fotografare, certo è che dal momento in cui mettiamo il nostro occhio a contatto con il “mirino”, non vediamo più nulla intorno a noi: la scena si consuma e vive all’interno
di quel riquadro sul quale siamo concentrati. E’ un po’ come stare sott’acqua, tutto quello che accade sopra il livello del mare lo si percepisce come ovattato, mentre con gli occhi cerchiamo di avere ben chiaro quello che riusciamo
a scorgere attraverso la maschera.
Gli eventi si moltiplicano, il fotografo deve saper osservare e allo stesso tempo ascoltare, perchè tutto si evolve veloce anche alle sue spalle.
La concentrazione è fondamentale e tutto quello che riuscirà a percepire ascoltando gli sarà d’aiuto per prevedere quello che potrebbe susseguirsi di lì a breve.
Tutto ciò vale ancora di più, e allo stesso tempo è determinante, per chi ha scelto di fotografare in zone di conflitto. Un automatismo non semplice, difficile da unire ad una sensibilità personale, talvolta artistica, che chiamiamo comunemente dote naturale.
Da fotografo, sono convinto che la consapevolezza di tutto questo sia fondamentale per poter leggere una foto
e darne quindi un giudizio critico.

Fabio Mantegna