Oltre che agli sguardi posati sui dipinti, sono altrettanto sensibile agli sguardi colti dai pittori nei loro dipinti. Il più delle volte, quando ricordo una tela, sono gli sguardi a tornarmi in mente per primi. Per esempio, l’impressione di orrore che mi ha lasciato il Giudizio di Cambise ha a che fare non tanto con il supplizio in sé (lo scorticamento di Sisamne non è dopotutto che una lezione di anatomia fra le tante) quanto con l’espressione del condannato al momento dell’arresto: Sisamne non guarda più niente! Questa è la cosa da cui non riesco a liberarmi: lo sguardo vuoto del condannato. E quelli dei diciassette uomini che gli si affollano intorno e non lo guardano. Come se lui già non esistesse più. Neanche lo sgherro che lo afferra per il braccio guarda il condannato a morte. Proprio questa assenza generale di sguardo, questo unanime abbandono dell’accusato alla sua fissità attonita, è la cosa che mi ha reso indimenticabile il dittico di Gérard David, visto un mattino di autunno nel museo di Bruges.
Ed è anche la cosa che mi colpisce nei coniugi Arnolfini: non si guardano.
Come Jean-Philippe Postel, anch’io conosco gli Arnolfini. Meno intimamente di lui, certo, ma li conosco. Li ho incontrati un pomeriggio di giugno alla National Gallery. Da allora non mi hanno più lasciato. Quando penso a loro è questa assenza di sguardo che s’impone all’istante. Nel mio ricordo, tutta la tela si organizza attorno a questi sguardi che non s’incrociano. E quindi, cosa vedono queste due solitudini? A cosa pensano? E noi, in piedi da soli davanti ai coniugi Arnolfini, cosa vediamo?
Forse non mi sarei posto queste domande se non mi fossi sentito a mia volta osservato mentre guardavo gli Arnolfini. Il loro vicino di parete – se così posso esprimermi – è l’Uomo con turbante rosso, con ogni probabilità Jan van Eyck in persona. Il volto impenetrabile, la bocca senza labbra, gli occhi severi e scrutatori, quest’uomo posa su ogni visitatore piazzato davanti ai coniugi Arnolfini uno sguardo che pare domandare: Allora, cosa vede? Palesemente, non nutre alcuna illusione sulla pertinenza delle risposte. Ora, dal 1434 in poi, le risposte sono state innumerevoli. Non si contano più le conferenze, gli opuscoli, i monologhi, le chiacchiere mondane e i sussurri a proposito di questa coppia di sposi. Niente sembra soddisfare l’uomo dal turbante rosso. È il solo a sapere cosa succede in questa camera, fra quest’uomo e questa donna. Immortalatosi dentro la propria cornice, van Eyck si diverte – molto intimamente – delle interpretazioni che devono subire i due personaggi. La donna incinta, il marito distante, le mani che si sfiorano, lo specchio (se ne sarà parlato, eh?, delle cose che si vedono in questo specchio!)… Van Eyck ha sentito tutto, tranne…
Tranne ciò che si leggerà in questo libro.
E che io stesso ho letto in un treno ad alta velocità, inchiodato dalla suspense, con la curiosità e il fiato sospeso con cui si legge un romanzo poliziesco, sul serio!
Queste pagine, che voltavo con gran fretta, mi dimostravano chiaramente che non avevo visto ciò che avevo visto, che non avevo visto niente di ciò che c’era da vedere! La passione con cui ho letto il libro di Jean-Philippe Postel non è legata alla descrizione del dipinto di van Eyck (credevo di conoscerlo bene) ma all’analisi minuziosa e spietata di tutte le illusioni ottiche che chiamavo il mio “ricordo” di questo dipinto.
Al termine della lettura mi sono riproposto di tornare al più presto alla National Gallery. Per ritrovarvi i coniugi Arnolfini, sicuro, ma soprattutto per cercare sul viso dell’uomo dal turbante rosso il segno che ha sentito, finalmente, ciò che voleva sentire sul dipinto nel quale aveva racchiuso tanti segreti.
– Daniel Pennac
Jean-Philippe Postel – Il mistero Arnolfini. Indagine su un dipinto di Van Eyck
Skira, Milano 2017
Pagg. 128, € 16
ISBN 9788857234410
www.skira.net
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