Alberta Pane inaugura a Venezia. Parola alla gallerista
Da 10 anni ha una galleria a Parigi, però Alberta Pane è originaria di Venezia. E ora torna nella sua città natale con un nuovo progetto, che va ad aggiungersi alla sede francese. In una ex falegnameria a Dorsoduro, che riapre proprio nei giorni di preview della Biennale d’Arte.
Com’è nata l’idea di aprire questa nuova galleria? Da quali esigenze, da quali istanze, da quali punti di partenza?
Dopo aver cambiato vari spazi a Parigi fino all’attuale situato nel Marais, l’idea di aprire una nuova sede in un altro Paese è stata una scelta forte e motivata. Sentivo il bisogno di continuare a realizzare progetti ambiziosi e di permettere agli artisti il confronto con volumi maggiori e più dinamici. Penso che evolvere e innovarsi sia fondamentale per una galleria: gli artisti hanno sempre bisogno di confrontarsi con nuove realtà e nuovi luoghi per nuove sfide. Venezia mi è sembrata il posto ideale.
Descrivici in tre righe il tuo nuovo progetto.
Un progetto importante, che spero mi porterà ad ampliare gli orizzonti della galleria: lavorare con più artisti, l’inizio delle Edizioni Alberta Pane in collaborazione con Multiplo di Padova, un nuovo ritmo di vita e con un pubblico di visitatori, amici e collezionisti fedeli. Un progetto che mi riempie di entusiasmo e che cercherò di portare avanti con l’aiuto degli artisti e di tutti quelli che mi sostengono.
Ci racconti invece la tua storia galleristica?
In salita, impegnativa, appassionante per continuare a costruire. Il mestiere di gallerista, come quello dell’artista, si realizza durante tutto il corso di una vita. C’è ancora talmente tanto da fare, da dire. La vita della galleria e dei galleristi è movimentata, sempre in mutazione: è un mestiere poliedrico e non ci si annoia mai!
A livello di staff come siete organizzati? Avete collaboratori interni? Vi avvalete della collaborazione di curatori esterni?
Ho una bella équipe sia a Parigi che a Venezia; mi auguro di crescere sempre di più, mi piace molto l’idea di avere un team. Da soli non si fa niente; sono sicura che la ricetta vincente sia il lavoro di squadra, le collaborazioni, gli scambi e l’internazionalità. Ho lavorato con vari curatori, tra cui Daniele Capra, Marie Frampier, Léa Bismuth, Chiara Ianeselli, e continuerò a farlo; mi piace l’idea che gli artisti della galleria e quelli invitati si confrontino anche con sguardi diversi dal mio.
Quali mostre ricordi in particolare?
NON curata da Daniele Capra con gli artisti Ivan Moudov e Nemanja Cvijanović: è stata memorabile per me. Ivan aveva fatto in modo di “intrappolare” il pubblico in galleria trafficando con la maniglia della porta, mentre Nemanja li attirava con una scultura costruita con barriere di metallo. Ricordo, poi, la mostra curata da Marie Frampier di Luciana Lamothe: la galleria era invasa da non so quanti chili di cemento e l’artista invitava tutti quelli che entravano a sputare sul pavimento. Anche in quell’occasione ci siamo molto divertiti!
Su quale tipologia di pubblico (e di clientela ovviamente) punti?
Il pubblico e la clientela vorrei fossero composti da persone che amano veramente l’arte o che, comunque, siano attratte da quest’ultima. Come ho già detto, mi piacerebbe avere tanti visitatori, curiosi, che guardino veramente le opere senza fare mille foto, che magari leggano pure il comunicato e che soprattutto si emozionino, nel bene o nel male, guardando i lavori degli artisti. Che escano dalle porte della galleria contenti, perplessi, stupiti e ponendosi un qualsivoglia interrogativo. Spero anche che i collezionisti e gli amatori d’arte comprino. Una galleria è una proposta culturale, ma anche mercato: necessario per la vita e continuità della stessa.
E su quale rapporto con il territorio e la città?
Venezia… Auspico che i veneziani vengano, ma ovviamente punto anche su un pubblico internazionale. La presenza della Biennale; anzi, delle Biennali, penso che siano fondamentali.
Un cenno agli spazi espositivi. Come sono, come li avete impostati e cosa c’era prima?
Lo spazio era una falegnameria che apparteneva a Umberto Pensa, il quale aveva collaborato con vari artisti, aveva anche realizzato il mobilio per il padiglione francese della Biennale tanti anni fa. Lo spazio è bellissimo, ha molto carattere, al momento è in pieno restauro, un cantiere, finiremo giusti giusti per l’apertura. Le finiture le faremo più avanti, apriamo con uno spazio work in progress… essenziali sono solo le opere in mostra.
Ora qualche anticipazione. Cosa proporrete dopo le mostre inaugurali?
Dopo le due mostre inaugurali in maggio [Le Désir inaugura il 12 maggio, N.d.R.] e in settembre, la programmazione prevede due solo show di nuovi artisti. Vorrei anche organizzare un colloquio sull’arte contemporanea, invitando amici galleristi internazionali a esporre nel mio spazio, creando così un circolo virtuoso.
– Massimiliano Tonelli
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #37
Abbonati ad Artribune Magazine
Acquista la tua inserzione sul prossimo Artribune
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati