Blow up
Il Ponte Contemporanea è lieta di presentare la mostra fotografica BLOW – UP curata da Giuliano Matricardi.
Comunicato stampa
Il Ponte Contemporanea è lieta di presentare la mostra fotografica BLOW – UP curata da Giuliano Matricardi.
La mostra trae spunto dall’omonimo film di Michelangelo Antonioni che, partendo da un mistery in cui un fotografo crede di aver catturato involontariamente un omicidio con la sua macchina fotografica, mette in scena una fascinosa meditazione sul divario fra realtà e immaginazione.
Le opere presentate raccontano il lungo percorso di ricerca intrapreso dalla galleria dagli anni ‘90 a oggi e focalizzato sulla fotografia contemporanea.
Nella Gallery 1 verrà presentata una serie di lavori di John McRae dal titolo Spot the Arab che esplora gli stereotipi e i pregiudizi che ruotano intorno al significato di essere arabi oggi. La personale dell’artista sarà accompagnata da un testo critico di Jonathan Turner. Uno dei ritratti della serie è stato selezionato come finalista nel 2017 nell’ambito del Photographic Portrait Prize, indetto dalla National Portrait Gallery di Canberra.
L’intenzione dell’artista è quella di forzare l’osservatore ad interrogarsi su preconcetti ovvi e scontati. Nel clima attuale nel quale siamo costretti a vivere, McRae cerca di puntare l’attenzione su come la paura venga imposta o trasmessa attraverso l’esibizione di un semplice abbigliamento o di una acconciatura e su come la società e i media hanno la tendenza a distorcerne il significato.
Nelle altre sale verranno esposti i lavori di Wilhelm von Gloeden di fine ‘800, passando dalle iconiche fotografie in bianco e nero di Erwin Blumenfeld, ad una serie di foto vintage di Dino Pedriali di personaggi con i quali ha collaborato quali Pierpaolo Pasolini, Andy Warhol, George Segal, Rudolf Nureyev, svelando attraverso il sapiente uso di luci e ombre la parte più recondita dell’animo umano.
Erwin Olaf e Inez van Lamsweerde reinterpretano e modificano il concetto dell’immagine come realtà utilizzando fotografie e stampa quali ingredienti per manipolare l’informazione, confondere lo spettatore e giocare con il senso logico. Inez van Lamsweerde contribuisce a sovvertire la facile opulenza e la sessualità esplicita impregnando il tutto di un surrealismo reso possibile proprio dall'avvento della tecnologia. L’artista dà vita a figure vive, pulsanti, caratterizzate da un’ironia che si riscontra nell’opera del fotografo giapponese Nobuyoshi Araki.
Guidato da una grande passione per la vita, Araki crea sempre una tensione emotiva tra opposti: bene e male, ironia e mistero, desiderio erotico ed espressione ludica.
Katharina Sieverding e Tracey Moffatt utilizzano come punto di partenza l’autoritratto declinando tutti i linguaggi della nostalgia. Nelle loro opere i temi ricorrenti sono la distorsione, la vanità e la manipolazione emozionale. Analogamente, le fotografie stilizzate dell’olandese Fritz Kok rivelano uno spiccato senso di disorientamento.
Nell’opera in mostra, Melati Suryodarmo immortala se stessa in un paesaggio innevato, candido che evoca la condizione dell’artista di perenne disagio data dalla condizione di sentirsi straniero e dall’incapacità di adattarsi.
Le opere di Myriam Laplante si interrogano sull'alienazione, sul rifiuto di adattarsi alle logiche della società e sulle difficoltà di comunicazione che portano l’artista a vivere in una costante condizione di dubbio.
Il lavoro di Sylvie Fleury si propone come analisi delle problematiche del consumismo e come momento di riflessione sul fenomeno dello shopping con l'intento di creare un’interfaccia tra il campo della moda e l’arte. L’artista sceglie di mostrare oggetti che nella società contemporanea sono investiti di un preciso valore estetico e ai quali si legano particolari allusioni di stampo sessuale e feticista.
Francesca Martì affronta il tema della migrazione attraverso fotografie stampate su pannelli di metallo accartocciati che ritraggono individui in differenti metropoli visitate dall’artista. Due opere in mostra fanno parte della serie Tears dove parti del corpo in movimento emergono dagli squarci della tela e vanno a confondere l’osservatore su ciò che è reale e ciò che è invece dipinto.
Matteo Basilé incentra il suo lavoro sulla ricerca tra arte e nuova tecnologia. La sua è una rilettura della realtà esistente manipolata graficamente al computer. L’artista afferma:“…faccio la radiografia di ognuno per ricercare non la bellezza del corpo, bensì il codice interiore di un’anima già catalogata, presa d’assalto dai media, da milioni di informazioni che la devastano. Vado costruendo degli archivi dell’anima dove ognuno può riconoscere una parte di se stesso.”
L'opera in mostra di David Byrne fa parte della serie Strange ritual e nasce dal tentativo dell'artista di riconoscere varie tipologie di riti, superstizioni che popolano il mondo contemporaneo. I suoi lavori, contribuiscono, a creare una foresta artificiale di segni oscillando tra i confini della fotografia di viaggio e quelli delle composizioni formalmente ordinate.
Thomas Glassford è un artista che ha lavorato soprattutto nel campo della scultura e delle installazioni sulla scia della pop art, dell'arte concettuale e minimalista. I suoi lavori sono degli assemblaggi di forme e affronta temi quali l'ecologia, la sessualità e i riti.
Negli anni '90 la ricerca di Matthias Herrmann si incentrava sul suo corpo e attraverso il mezzo fotografico, costringeva l’osservatore ad interrogarsi sulla sessualità e la definizione di identità di genere. L’artista ha contribuito, così, a sfocare il confine tra soggetto e fotografo, arte e pornografia.
Maria Pizzi utilizza realtà fotografate come supporto alle riprese video. La dimensione fotografica permette una contrazione dello spazio prospettico e di entrare in una realtà che altrimenti sarebbe troppo grande e distante da riprendere. Le foto, inoltre, annullano la differenza tra la vita e la morte poiché, come sostiene l’artista: “La fotografia non fa distinzione tra la vita e la morte, in fotografia tutti fanno la stessa bella figura”.
Le opere di Nan Goldin che ritraggono se stessa, amici o amanti, hanno una funzione diaristica e combinano uno scatto spontaneo con il ritratto sociale tipico del fotografo ungherese George Brassai (1899 – 1984) e della fotografa americana Diane Arbus (1923 – 71). Nan Goldin osserva la parte trasgressiva e nascosta della vita della città con un approccio intimo e personale. Il suo stile diventa un'icona della sua generazione ed esso assume un'ulteriore svolta dopo la diffusione dell'AIDS che mette in discussione la sua fiducia nel potere delle immagini. La Goldin intende le foto che documentavano la vita quotidiana dei suoi amici sieropositivi in funzione di valenza sociale e politica, e come attivista di Act Up organizzò la prima grande mostra sull'AIDS a New York nell'89.