Bea Schlingelhoff – Auftrag: no offence
Bea Schlingelhoff lavora col linguaggio, ponendo domande a cui non è possibile rispondere.
Comunicato stampa
Invitare Bea Schlingelhoff a presentare il suo progetto all’Istituto Svizzero a Milano significa dare a questa artista impegnata, insegnante alla ZHdK e all'ECAL, l’opportunità di mostrare come la posizione dell’artista nel mondo riveli i campi di forza che strutturano la nostra società contemporanea.
Samuel Gross, head curator ISR
“Delle regole della Guardia Svizzera Pontificia fa parte un sistema di punizioni.
Chi infrange le regole deve tagliare uniformi dismesse.”
“Soldiers of the Pope”, Felice Zenoni, 2006
Il termine “Auftrag” in tedesco significa “incarico”, “ordine”, ma anche “applicazione”. Può essere usato tanto per indicare la stesura del colore che per indicare l’incarico di svolgere un servizio o produrre qualcosa. Il Papa Giulio II, fondatore della Guardia Svizzera Pontificia nel 1506, oltre che a due canonici pittori maschi, diede incarico a pittrici rinascimentali donne e clandestine di applicare strati di pittura alle pareti degli edifici in Vaticano.
La Guardia Svizzera, un corpo di mercenari, dunque non soggetti all’obbligo di vestire l’uniforme tipica della loro appartenenza nazionale, è vestita dei colori del capitale secolare e del potere: l’azzurro carico, il rosso e il giallo dello stemma dei Medici.
C’è un legame tra l’incarico a un’artista, quello a un soldato e quello a una donna che lavora. Che si agisca per un mercato dell’arte, uno stato nazionale o nel contesto del patriarcato, le condizioni dello scontro sono definite e affermate vigorosamente dall’esterno.
Fino all'abolizione del patriarcato, il lavoro delle donne deve essere considerato pure lavoro mercenario?
Burke/Tuazon/Schlingelhoff
Testo di Oscar Tuazon *
Bea Schlingelhoff lavora col linguaggio, ponendo domande a cui non è possibile rispondere. Le domande, talvolta di carattere intrinsecamente triviale, chiedono l’impossibile, mettendo in moto un processo di interrogazione del luogo, delle condizioni di produzione e dei limiti dell’opera artistica. Un’opera d’arte è in grado di creare le proprie condizioni di esposizione e di scambio? Su una maglietta? Come tatuaggio? Una galleria d’arte commerciale può essere trasformata in un garage? Cosa vale il lavoro di un mercante d’arte? Quando a Los Angeles avevo una galleria mi chiese: questo spazio può essere riempito d’acqua? Possiamo dipingere di rosso la terra?
Se Gesù Cristo bada al Papa, che cosa sta facendo la Guardia Svizzera Pontificia?
L’uniforme della Guardia Svizzera Pontificia, anche detta Guardia Svizzera, è un costume speciale di lana impermeabile, relitto consapevole della moda rinascimentale nei colori azzurro carico, rosso e giallo – una bandiera da indossare. La Guardia Pontificia, che ha dispensa di operare come corpo religioso mercenario e quindi non è tenuta a portare i colori di un’appartenenza nazionale, veste se stessa, sfoggia la propria bandiera, ossia i colori simbolici del capitale: la divisa camaleontica dei sovranazionali soldati di fortuna, i colori dello stemma dei Medici.
Come mai il Papa ha bisogno di un esercito? Per mantenere l’ordine, benché l’uniforme teatrale di questo piccolo corpo militare indichi che è destinato a svolgere manovre difensive di routine di un ordine simbolico, schierato in quella che oggi appare come una guerra esclusivamente estetica. Il lusso stravagante e la visibilità dell’uniforme vestita dalla Guardia Pontificia la caratterizzano come uniforme-vestito, e non delle meno appariscenti, imparentata con quelle fantasie militaresche che hanno ispirato i sogni culturali pop di un regime militare di pace con a capo Michael Jackson o Sgt. Pepper, un’immaginaria NATO dell’amore, un’armata europea post-bellica dell’intrattenimento militarizzato. Soldati della moda, le guardie del corpo del Papa sono anche scelte in base alla loro statura al servizio dei colori della divisa, a loro volta prove viventi del fatto che il corpo è sostituibile, mentre l’uniforme è eterna. Qual è la guerra che questi soldati di fortuna sono chiamati a combattere?
Almeno la metà delle tasse che le donne pagano negli Stati Uniti è versata ad un esercito sempre più fascista dominato da uomini. Ogni arma da fuoco, ogni nave da guerra, ogni bomba è un furto alle donne, intese come classe sessuale. I soldi sono più che sufficienti per l’istruzione pubblica, la sanità, i servizi pubblici alla famiglia, le case popolari, le energie sostenibili, l’alimentazione e altre necessità; i soldi sono più che sufficienti per proteggere le madri single con i loro figli da forme mortali di povertà e di esclusione sociale. I soldi sono più che sufficienti.
L’austerità è la propaganda del nuovo fascismo, che contro i suoi stessi cittadini mette in campo violenti tagli di bilancio nel momento stesso in cui potenzia la diseguaglianza globale e continua a dotarsi di armi di distruzione di massa. Abigail Bray, Misogyny Reloaded, 2013, Spinifex
Lo sfruttamento imperialista delle donne, l’eterna guerra intestina della chiesa: eserciti ovunque, ogni città occupata da un esercito permanente, uomini armati che ci circondano – nonostante la militarizzazione della vita quotidiana, nessuno di noi è al sicuro. Quali domande può porre un’opera d’arte in un contesto come questo? Solo possibili risposte che richiedono una demilitarizzazione e demercenarizzazione militanti. In un’epoca di perenne guerra globale alimentata dal capitalismo autoritario, perché non esiste un esercito femminista? Un esercito mercenario è femminista?
* Oscar Tuazon (1975, Seattle) vive e lavora a Los Angeles.
Bea Schlingelhoff (1971, Waiblingen) si è diplomata alla Hochschule für Künste di Bremen, e grazie ad una borsa di studio DAAD ha ottenuto nel 2000 un Master in Fine Arts al California Institute of the Arts (CalArts) di Los Angeles.
Nel 2001/02 ha partecipato al Whitney Independent Study Program a New York e dal 2002 al 2010 ha gestito il progetto Curatorial Studies alla Satellite Academy High School di Manhattan, New York.
Il suo lavoro è stato mostrato, tra altri, a Manifesta 9 a Genk, Belgio; New Jerseyy, Basilea; Honor Fraser, Los Angeles; Museum Villa Stuck, Monaco; Armand Hammer Museum, Los Angeles; MOCA Miami, Miami; Galerie für Gegenwartskunst, Barbara Claassen-Schmal, Bremen e al Centro de Arte Dos de Mayo, Madrid.
Grazie a: Harry Burke (testi), Francesco Cagnin (traduzioni), Sara Cavicchioli (traduzioni), Max Ehrengruber (design), Gabriele Garavaglia (traduzioni), Chantal Kaufmann (video-edit), Gabriele Spalluto (traduzioni), Oscar Tuazon (testi).