#presentense (VII). Definizioni di contemporaneo
Quante sfumature ha il contemporaneo? Quanti significati ha l’arte di oggi? Paragonandola a uno spazio, la sua cifra identitaria più profonda è legata a un senso di libertà che si oppone all’idea di vincolo e limite.
Il contemporaneo è il collasso del tempo (: e questo collasso è quasi l’opposto, in realtà, della percezione postmoderna di un archivio sterminato di forme, stili, linguaggi da citare).
(Contemporaneo è l’arcaico – l’arcaico è contemporaneo.)
Il contemporaneo è: stratificazione e attivazione.
Il contemporaneo è: precario, provvisorio, effimero, mobile, mutevole, transitorio, interstiziale, instabile, comunitario, collettivo.
Il contemporaneo è l’altrove, l’intersezione, l’interferenza, il margine, il confine, il bordo, la frontiera – non come linea da attraversare, ma come zona da abitare.
Il contemporaneo per me, oggi, è: immersione; profondità trasparente; connessione; assemblaggio di elementi eterogenei e frammenti incongrui; un cyberpunk luminoso, mediterraneo, vitale, spontaneo; vernacolare fantascientifico; generosità; dono; cura.
Il contemporaneo è lo scarto – ciò che non vuole più (o ancora) nessuno, ciò che la gente butta via rimuove trascura ignora disprezza sotterra.
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4 giugno. Con Franco Menicagli, decidiamo di passare la mattinata a Larderello, al centro della cosiddetta “Valle del Diavolo”.
Attorno al villaggio, un paesaggio pinkfloydiano e unico – tubi che attraversano le colline e si curvano sopra la strada, soffioni boraciferi, vapori – una specie di Islanda in miniatura, che si fonde con la Toscana da cartolina e la proietta in un futuro dolcemente distopico, un futuro Anni Cinquanta – il futuro dei “bei-tempi-andati”.
(Organizzazione del villaggio-fabbrica: modello produttivo, educativo, sociale, economico, adottato in seguito da altri gruppi industriali del Nord Italia. A Larderello nel XIX sec. potevano risiedere solo i dipendenti della società, e le persone il cui ruolo professionale era necessario per l’esistenza del villaggio: il medico, il prete, il farmacista, le maestre, i carabinieri, l’ufficiale di posta, il maestro di musica. Acido boracico. Uso industriale delle acque geotermiche. Produzione di Sali e di borati, utilizzati per: l’industria del vetro; la lavorazione di smalti, vernici, pelle, carta, adesivi, esplosivi; il settore farmaceutico e cosmetico. Insetticidi, disinfettanti, detergenti. Borato di sodio e boro non sono tossici, e sono usati sin dal tempo degli Etruschi.)
La chiesa della Beata Maria Vergine, progettata da Giovanni Michelucci nel 1956 e terminata nel 1958, è un esempio perfetto di questo perduto, e sempre nuovo, futuro dei bei-tempi-andati. Davvero questa struttura al tempo stesso intima e spettacolare realizza un contemporaneo innervato di arcaico, con l’uso sapiente del cemento e dell’alabastro, con il riferimento costante spontaneo organico a un mondo e a una cultura popolare. Appena entrati, veniamo assorbiti dai ritmi creati dalla luce che attraversa le piastrelle di alabastro in differenti colori, e dagli spazi creati dalle strutture in cemento.
La cura di ogni dettaglio e dell’insieme – la cura dei materiali e della loro integrazione – la cura per come un’architettura come questa si inserisce del contesto, la cura con la quale sono messi in dialogo spazio interno e spazio esterno – è il centro e il nucleo che pulsa.
Un’opera del genere ha molto da dire oggi, dal momento che davvero sembra un’emanazione dell’identità profonda del luogo, del territorio invece che un’imposizione a esso – un’emersione delle vocazioni collettive. Manifesta una visione morale dell’architettura, che diventa quindi il riflesso vero e proprio di una forma-di-vita, di un’idea e di una pratica di esistenza collettiva.
Edoardo Persico diceva che questo tipo di questione etica va “oltre l’architettura”, ed è certamente vero: “Nonostante l’infinita varietà, gli spazi possibili appartengono sostanzialmente a due categorie: quella dello spazio che vincola e quella dello spazio che libera”. Lo spazio che vincola è antiumano per definizione, è quello che umilia e degrada l’esistenza quotidiana e il pensiero, è quello che decide di far stare male le persone e di annullare il piacere del pensiero, dell’essere-insieme, del condividere spazio e tempo; lo spazio che libera è “spazio vivente”, realmente democratico.
Lo stesso, in termini praticamente identici, si può dire per l’arte.
– Christian Caliandro
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