Francesco Vezzoli racconta la Rai. A Milano
Fondazione Prada, Milano – fino al 24 settembre 2017. Per raccontare la proiezione nel futuro dell’immaginario umano, la Fondazione Prada affida a Francesco Vezzoli gli spazi della galleria Nord, del Podium e della galleria Sud. Il percorso assume le forme di un corpo televisivo che non segue ordine, logica o ratio, se non nell’inconscia disposizione di opere d’arte, da Pistoletto a Pettena, da Suzanne Santoro a Tomaso Binga.
A qualche settimana dall’inaugurazione, Francesco Vezzoli (Brescia, 1971) aveva annunciato, durante una lunga e gremitissima conferenza stampa, che la sua mostra avrebbe preso avvio da una requisizione soggettiva svolta all’interno degli archivi Rai, una ricerca avvenuta su preciso materiale filmico degli Anni Settanta. Periodo che, rimarcava più volte Vezzoli, aveva formato l’immaginario narrativo, iconografico, emotivo ed estetico della sua generazione. Nessuno, però, si sarebbe mai aspettato – anche grazie al supporto curatoriale di Cristiana Perrella – uno sguardo di Vezzoli sulla Rai (istituito e suggellato anche dal titolo TV 70: Francesco Vezzoli guarda la Rai) di questa portata.
UNA MOSTRA ESPANSA
La mostra si espande con la stessa rarefazione di un gas esilarante, occupando tutti gli spazi liberi tra la galleria Nord, il Podium, la galleria Sud e poi, ovviamente, il Cinema, all’interno del quale gli applausi di Gianni Pettena accolgono l’ultimo lavoro di Vezzoli, Trilogia della Rai (2017), un montaggio dal ritmo anamorfico, onirico e intrasoggettivo di distillati televisivi.
I livelli di lettura del percorso sono molteplici, come numerosa è la galassia di interpretazioni dei corpi rappresentati che, da Cicciolina a Patti Pravo, da Binga a Baruchello a Schifano – passando attraverso i telegiornali Rai, compresi fra il 1969 e il 1980, selezionati e montati da Massimo Bernardini – rendono le sezioni imposte dalla curatela un margine confondibile, trasformando il reale varcato dai piedi in un apparato scenografico in continuo, assente confronto con la rappresentazione di un’epoca mai più presente.
LA RAI E I SUOI ANNI SETTANTA
A questo proposito, ci si imbatte nella sezione più oscura e, a tratti, redentrice dell’imbizzarrita e, allo stesso tempo, posata mostra di Vezzoli alla Fondazione Prada, quasi per caso, attraversando il piano superiore del Podium. In una caverna apparentemente illuminata dalla sola luce delle proiezioni, due opere danno il benvenuto e l’addio al visitatore, a partire dai due accessi, l’uno esterno e l’altro interno, che la mettono in contatto con le altre sezioni della rassegna. Si tratta di Non capiterà mai più (1969–72) di Nanni Balestrini (collage su carta di 12 elementi) e di Le Mani (1973) di Ketty La Rocca, adattamento televisivo di Appendice per una supplica (1972), in Nuovi Alfabeti (programma televisivo scritto da Fulvio Rocco diretto da Gabriele Palmieri e andato in onda su Programma Nazionale; 19 giugno 1973).
Tra questi due lavori, le vicende della Rai abbandonano definitivamente la veste intrattenitiva e la dimensione “classica”, assumendo la forma dell’ombra degli Anni Settanta, tra i servizi televisivi, la Strage di Piazza Fontana, l’attentato terroristico palestinese all’aeroporto di Fiumicino, la morte di Pier Paolo Pasolini e il rapimento e l’uccisione di Aldo Moro.
– Ginevra Bria
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