Nouveau Réalisme e nostalgia. Arman ritorna a Roma
La mostra “Arman 1954-2005” riconferma il ruolo catalizzatore della Fondazione Terzo Pilastro per la promozione dell’arte contemporanea a Roma. Un percorso sfavillante ma innocuo, che fa rimpiangere il fermento del secolo trascorso.
Sorti uno di fronte all’altro tra il ‘500 e l’800, Palazzo Sciarra e Palazzo Cipolla in via del Corso sono negli anni diventati i “pilastri” dell’impegno della Fondazione Roma sul territorio. Il Palazzo progettato nella seconda metà del XIX secolo da Antonio Cipolla è oggi il museo della Fondazione Terzo Pilastro – Italia e Mediterraneo, nuovo strumento istituzionale creato dalla Fondazione Roma nel 2007 che durante il 2016 amplia l’attività culturale già svolta da Musarte (Fondazione Roma – Arte – Musei). Su tutto presiede Emmanuele F.M. Emanuele: presidente delle due fondazioni, accumulatore – siamo in argomento – di innumerevoli incarichi istituzionali nella cultura (per esempio Civita, Palaexpo, La Biennale) e ideatore di Arman 1954 – 2005, allestita fino al 23 luglio a Palazzo Cipolla.
UN TEAM DA MANUALE
A dodici anni dalla sua scomparsa e a più di quindici dall’ultima antologica a Roma, le opere di Arman (Nizza, 1928 – New York, 2005), nizzardo naturalizzato americano, ritornano nella Capitale. Nessuna sorpresa per l’incarico curatoriale, affidato al sempiterno Germano Celant. Con lui e la Fondazione Roma /Terzo Pilastro hanno collaborato all’organizzazione del progetto Civita, l’Arman Marital Trust e il Corice Arman Trustee. Non poteva mancare poi la gallerista che ha seguito Arman per un intero ventennio, Marisa Del Re, attiva nella movimentata New York Pop e New Dada dalla fine degli Anni ’60. Una squadra da manuali di storia dell’arte, che ispira riverenza ma che fa un po’ fatica oggi a tramandare quei decenni così provocatori e pieni di sperimentazione.
NOSTALGIA DEL PASSATO
La cultura di massa con i suoi paradossi e le sue storture, che Arman ha sezionato e assimilato durante un’appassionata ricerca sull’oggetto iniziata negli Anni ’50 (a fianco di Yves Klein), è qualcosa di cui siamo ormai sufficientemente coscienti e che abbiamo in certi casi superato. L’artefatto quotidiano e lo scarto industriale hanno dato tutto quello che dovevano dare in termini di provocazione artistica un sessantennio fa. A questa impressione contribuisce sicuramente il taglio estetizzante dell’allestimento: gli assemblaggi, le poubelles, perfino le colères sono perfettamente disposti, lucidati, ordinati. Naturalmente l’intento oggi è un altro, celebrare l’artista e la sua memoria, non certo raccontare la storia delle cose, degli “inutilizzati”, che Arman ha salvato, accumulato, fatto deflagrare in Europa e negli USA. Tanto il suo pieno, quanto il vuoto dell’amico Klein, sono oggi spazi difficili da attraversare senza una certa nostalgia del loro primo stupore.
– Francesca Coccolo
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