Musei del futuro. Il National Museum Wales
Parola a Janice Lane, Director of Gallery Development and Visitor Experience, e a Dafydd James, Head of Digital Media del National Museum Wales. L’intervista è parte del report “Museum of the Future” realizzato da Symbola, in collaborazione con Melting Pro, per il progetto europeo Mu.SA.
Dove sta andando il museo del futuro?
Affrontando la questione da un punto di vista più ampio, pensiamo che una delle più grandi sfide del settore sia quella che vede il digitale come un modo integrato di lavorare. In campo museale, sia nelle diverse discipline che nelle aree di lavoro, ci sarà una richiesta per una serie di competenze, digitali e non, date per scontate. Parliamo di un cambiamento mentale e culturale in ambito di pianificazione e visioning, dove l’elemento digitale diventa parte integrante del pensiero sin dall’inizio.
Significa prendere un qualsiasi processo finito e ricostruirlo in modo digitale, letteralmente. Oltre al cambiamento culturale, bisogna affrontare sfide anche in termini di competenze e investimenti. Come possiamo utilizzare oggi, in modo efficace, le somme limitate che abbiamo a disposizione, per sviluppare la presenza del digitale in tutta la nostra organizzazione, e non solo all’interno di un unico dipartimento?
E sul fronte della comunicazione?
Un’altra sfida è il modo in cui comunichiamo digitalmente, come comprendiamo gli sviluppi digitali e, allo stesso tempo, rimaniamo aggiornati. Il digitale è utilizzato dalle persone nella loro vita quotidiana ed è in continua evoluzione. Stiamo ancora cercando di comprendere i modi diversi di comunicare, e come questi cambiano l’interazione tra i musei e le collezioni. Ci sono musei che si muovono più velocemente: questo dipende dagli investimenti, dalle competenze e dall’età del personale. Le competenze e l’interesse del personale (oltre agli investimenti in infrastrutture) stanno influenzando, più di ogni altra cosa, la velocità dei cambiamenti nel digitale, anche senza le risorse per introdurre ulteriori persone “digitali” dedicate.
Cosa può aiutare i musei ad affrontare la sfida digitale?
Pensiamo che occorra fare una distinzione tra la sicurezza, la confidenza digitale e la competenza digitale. Molte persone sono a loro agio nell’uso quotidiano dei propri social media o delle piattaforme digitali, ma si sentono insicuri ad adottarle in un ambiente professionale. Non si tratta solo di competenza, ma di rendere questi mezzi più accessibili attraverso laboratori, formazione, progetti multidisciplinari e interdipartimentali. Quindi dobbiamo porci un obiettivo che non sia necessariamente quello di utilizzare la tecnologia, ma un obiettivo che riguardi l’organizzazione. Ci avviciniamo alla digitalizzazione come gruppo non necessariamente guidato dal digital team, ma che incoraggia i sostenitori del digitale e crea fiducia all’interno dei diversi dipartimenti.
Quali sono le necessità di un museo per affrontare queste sfide indipendentemente dalle dimensioni?
Sono necessità abbastanza standard in tutte le organizzazioni. Ci sono dipartimenti lenti o addirittura che non vogliono adottare alcun tipo di cambiamento culturale. Alcune persone resistono al cambiamento. E questo tipo di persone, così come l’aspetto delle problematiche finanziarie, ci sarà sempre nei musei, siano essi di piccole o grandi dimensioni. Più grande è il museo, più grande è la scala del cambiamento. Le organizzazioni dovrebbero cercare di evolversi da sole e di apprendere da istituzioni di diverse dimensioni. Con un’organizzazione più grande si potrebbe avere maggiore agilità, ma applicare cambiamenti culturali richiede comunque tempo. Forse nelle piccole organizzazioni si può contare su 5-10 persone nello staff in modo da poter attuare un cambiamento culturale molto più velocemente. Questa è probabilmente l’unica differenza.
Quali sono le aree in cui i musei dovrebbero investire?
Tutte le aree sono rilevanti, ovviamente sono le risorse a stabilire le priorità. Non ha senso digitalizzare l’intera collezione a meno che non si sappia il perché e il come verrà utilizzata (raggiungimento e coinvolgimento del pubblico, profilo, generazione di reddito, numero dei visitatori…). Stiamo cercando di costruire il nostro investimento in diverse aree e collegarlo ai nostri valori e risultati fondamentali. Concentrarsi su una sola area non serve a ottenere l’impatto voluto. Bisogna avere molto chiari in mente quelli che sono gli output e i risultati da raggiungere e quindi lavorare sul digitale per ottenerli e poi costruire l’investimento in coerenza con il piano globale, in modo da avere un buon rendimento equamente distribuito.
Abbiamo investito molto tempo nella formazione, non solo nei social media, ma anche nella produzione e nella pianificazione di contenuti digitali, aggiornamenti del sito web e gestione degli shop online. Occorre investire di più nella digitalizzazione strategica delle collezioni, ma nel Regno Unito è molto difficile ottenere finanziamenti per la digitalizzazione delle collezioni o per la gestione degli archivi.
Che competenze (digitali e trasferibili) possono facilitare questi cambiamenti in atto?
La prima cosa che abbiamo esaminato è stata la struttura del team, consapevoli che un team digitale non sarebbe potuto crescere enormemente a causa del clima finanziario. Abbiamo esaminato le competenze che avevamo per facilitare e formare altri nell’apprendimento delle capacità digitali e nell’utilizzo delle piattaforme. Abbiamo investito in coaching, formazione, formazione manageriale e, guardando la gamma di competenze che un team digitale dovrebbe possedere, ad esempio, abbiamo investito nella figura del funzionario digitale, con un background in formazione per mappare i nostri obiettivi d’apprendimento.
Naturalmente abbiamo bisogno di competenze specifiche di pianificazione e gestione per i nostri grandi progetti infrastrutturali, per cui dobbiamo essere lungimiranti e pensare a una pianificazione strategica. In quest’ottica coaching e formazione diventano fondamentali per un team digitale e per l’organizzazione stessa. I requisiti necessari sono: competenze nei contenuti digitali, abilità editoriali, capacità di pianificazione e un livello di sicurezza indispensabile. Quindi abbiamo fatto formazione a diversi livelli: principianti, intermedi (ad esempio Twitter) e abbiamo avviato dei progetti pilota. Questi progetti sono stati un ottimo modo per capire quali fossero gli approcci migliori, valutando l’efficacia dei progetti stessi.
Questa formazione è stata allargata anche al nostro consiglio di amministrazione, cosa che ci ha reso più sicuri nel portare avanti la nostra strategia e ci ha dato la libertà di essere più innovativi.
Quali sono le figure professionali emergenti legate al mondo digitale di cui i musei hanno oggi bisogno?
Siamo convinti che la curatela sia imprescindibile, ma oggi presenta il divario più grande. Per i nostri collaboratori e assistenti museali, stiamo cercando una gamma di competenze diverse all’interno di questi team. Il ruolo non può necessariamente cambiare, ma credo che dobbiamo reinventare ciò che significano i termini curatore e assistente museale, per capire come lavorano nel regno virtuale e fisico e come il museo si colloca in questi due ambiti.
Siamo abbastanza aperti nel reclutare internamente i componenti del digital team. Cerchiamo persone che sappiano affrontare sfide e problemi, valutiamo l’impegno dedicato all’esperienza dei visitatori e al servizio clienti. Queste sono le cose che consideriamo, non la conoscenza di piattaforme specifiche, perché sappiamo che la tecnologia può essere insegnata.
Risulta chiaro quindi che apprendimento e impegno sono competenze indispensabili all’interno di uno staff museale. L’importanza di coinvolgere il pubblico e il rapporto con esso deve essere capita anche da un conservatore e da un ufficiale istruttore, a livelli diversi ovviamente. Senza questi valori fondamentali, non è possibile fornire il tipo di esperienza partecipata che vogliamo sviluppare. Focalizzarsi sul perché stiamo facendo qualcosa, ponendosi le giuste domande, raccogliendo i dati nel modo giusto e analizzandoli, riflettendo su di essi e migliorando ciò che stiamo facendo, è fondamentale e spesso è proprio il pezzo mancante.
Quali sono i nodi cardine su cui lavorare?
I profili di lavoro emergenti si sviluppano intorno all’analisi dei dati, al business intelligence, alla conoscenza del pubblico. Elementi importanti soprattutto ora che occorre approcciare i clienti, i visitatori e il pubblico in modi differenziati, cercando di sfruttare tutte le opportunità. Queste abilità consentono di essere molto più strategici nella pianificazione.
Parte del nostro training è impostato soprattutto sull’alfabetizzazione relativa all’utilizzo dei dati, piuttosto che sull’alfabetizzazione digitale. Stiamo esaminando gli aspetti basilari come la segmentazione, con un occhio alle tendenze più generali, per vedere come utilizziamo le nostre piattaforme e i nostri canali. Siamo andati ben oltre lo scrivere un tweet adeguato o un blog interessante; quello che è veramente efficace è sapere come individuare alcune persone e sapere cosa stai facendo.
In che modo reclutate il vostro staff? Qual è il vostro candidato ideale?
Deve essere piuttosto specifico. Quindi non basta una competenza digitale globale, occorre scendere un po’ più nel dettaglio. Abbiamo gruppi che lavorano in modo specifico sui contenuti, gruppi che lavorano sulle attività, gruppi che collaborano con altri per facilitare e valutare i progetti e così via. Se la esaminiamo dal lato tecnico, la scelta del candidato può dipendere dalla piattaforma che utilizziamo. Se è un curatore, ad esempio, possiamo cercare qualcuno che abbia esperienza nell’utilizzo di piattaforme sociali all’interno di un’organizzazione o sia abituato a scrivere determinati contenuti. Quindi, non cerchiamo solo una linea di competenze digitali generiche, ma piuttosto qualcosa che si adatti al nostro obiettivo organizzativo o agli obiettivi del dipartimento.
a cura di Symbola / Melting Pro
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