Raccontare l’arte in video. Intervista con Alessandra Galletta



È in lavorazione una monografia video sull'opera di Ettore Spalletti. Mentre mancano pochi giorni alla fine della sua mostra personale a Pescara, vi regaliamo un'anteprima del film in esclusiva, accompagnata da una conversazione con la sua autrice, la critica d'arte e regista Alessandra Galletta.


Ettore Spalletti (Cappelle sul Tavo, Pescara, 1940,) è il poeta assoluto del colore. La sua attenzione religiosa alle variazioni cromatiche e luministiche degli oggetti e dell’ambiente rende le sue opere uniche: minimali e intense, sembrano entità in grado di caricarsi di energia spirituale. L’artista abruzzese è il protagonista del documentario Ettore Spalletti, Italia, un film di LaGalla23, la casa di produzione fondata da Alessandra Galletta, che è in lavorazione e sarà disponibile nell’autunno 2018. In questa monografia (di cui vi mostriamo un estratto in esclusiva per Artribune), l’opera di Spalletti viene raccontata attraverso lo studio della sua pratica ma anche con il racconto della vita quotidiana del maestro, un’esistenza semplice e stanziale, vissuta profondamente, che offre molteplici spunti per la comprensione della sua poetica. E poi c’è la Cappella della clinica Villa Serena a Città Sant’Angelo, una piccola chiesa che Spalletti, insieme a sua moglie, l’architetto Patrizia Leonelli, ha recentemente rinnovato, creando uno spazio in cui le forme e i colori diventano i vettori per l’immersione spirituale.
A pochi giorni dalla chiusura della sua ultima personale presso la galleria Vistamare, vi offriamo questa straordinaria anteprima video, presentata dall’autrice Alessandra Galletta, con cui abbiamo fatto due chiacchiere. Sul documentario in lavorazione ma anche su come si raccontano gli artisti usando una telecamera.

Ettore Spalletti, Italia è il titolo del documentario a cui stai lavorando in questo momento e di cui ci mostri una preziosa anteprima. Come nasce e quali sono i suoi obiettivi?
Ettore Spalletti è un artista fuoriclasse. Ci vuole un’ambizione enorme e, confesso, anche un po’ di presunzione per pensare a un documentario su di lui. È un po’ come dire “adesso ti spiego Piero Della Francesca”! Quando ho avuto il privilegio di visitare per la prima volta il suo studio, nel 1996, ho pensato che tutti avessero il diritto di vedere quello spazio magico. Si tratta di una casa, una meditazione, un rifugio, una lezione, una cattedrale, un set, una pinacoteca, una gipsoteca, un verso poetico, un respiro, un affresco, un sogno, una preghiera, un’esperienza, un dono. Se ami l’arte e gli artisti, e lavori con le telecamere, con Spalletti “ti prudono le mani”. Appena ho trovato una fessura nel suo impenetrabile, sofisticato, riservatissimo mondo, mi ci sono intrufolata. Dapprima ho realizzato una breve intervista e poi per suo conto ho girato una soggettiva dello studio, che ha usato per una conferenza al Beaubourg di Parigi. Qualche tempo dopo ha acconsentito che girassi un documentario su di lui. Le riprese sono iniziate a partire dalla sua più recente installazione permanente, nella cappella di Villa Serena appena inaugurata in una clinica privata vicino a Pescara, così toccante che ti viene voglia di pregare anche se non lo hai mai fatto. 
I miei obiettivi sono quelli di sempre: spiegare meglio, far vedere di più; offrire ogni strumento possibile per comprendere la grandezza di un’opera, la sua necessità.
Ho previsto un anno di produzione, Spalletti, Italia uscirà nel settembre 2018.

Con la tua casa di produzione, LaGalla23, ti occupi di audiovisivo nel campo della cultura, in particolare le arti contemporanee. La tua formazione però è legata alla critica d’arte e alla curatela. Come e quando è avvenuto questo passaggio alla produzione di video e documentari?
Da curatrice ho sempre cercato un modo originale e piacevole per far comprendere le opere e gli artisti al maggior numero di persone possibile. Se qualcuno te la spiega, l’arte è bella e accessibile; nasce da idee che sono presagi, e gli artisti compiono un gesto molto generoso nel tradurle per noi in oggetti e visioni. Mancare l’ultimo passaggio, quello di comprenderne il senso, è stupido e andrebbe evitato a tutti i costi. Non importa se hai studiato oppure no, tutti hanno il diritto di sapere che cosa hanno voluto esprimere Giorgione, Picasso e Cattelan.
Quando mi si è presentata l’occasione di collaborare alla creazione di alcuni programmi culturali per Mediaset come le trasmissioni L’Angelo o Le Notti dell’Angelo, ho scoperto l’immediatezza del linguaggio video usato in modo “divulgativo”, e così ho aggiunto questa possibilità alla scrittura, che comunque resta la base di entrambe queste attività.

Alessandra Galletta, Ettore Spalletti, Italia (2017). Still da film

Alessandra Galletta, Ettore Spalletti, Italia (2017). Still da film

Un autore televisivo specializzato in arte non aveva in quegli anni tante piattaforme disponibili a contenuti sul contemporaneo…
Si trattava in effetti di una nicchia, ma il vantaggio di essere una nicchia è che sono in pochi i frequentatori e ancor meno gli attori! Arte e Gnocchi alla Biennale, un giro della Biennale d’Arte di Venezia del 1997 con Gene Gnocchi accompagnato dalla sua anziana nonna, rimane una produzione di Canale5 unica nella breve storia dell’arte contemporanea e della tv. Da Mediaset sono poi passata alla Rai, dove ho realizzato diversi format ancora come autore, tra i quali ABO Collaudi d’arte per Raiuno, pillole di arte contemporanea di cinque minuti con Achille Bonito Oliva in studio. Anche in quel caso, l’obiettivo era essere divulgativi e convincenti spiegando con associazioni semplici ma efficaci l’importanza di Paolini, Pistoletto, Fontana, Burri e altri protagonisti della scena contemporanea. Dopodiché ho realizzato qualche speciale sul Salone del Mobile per Tele+, documentari per SkyCinema e vari format per le reti Sky da cui è nata la mia passione per i documentari monografici. Successivamente ho smesso via via di fare delle serie, puntate o servizi per dedicarmi a un unico tema per almeno 54 minuti, meglio se biografie di artisti. Infine, da qualche anno ho la mia casa di produzione specializzata in questo genere di contenuti.

Hai lavorato molto con la televisione. Com’è cambiato il panorama televisivo in rapporto alla cultura negli ultimi dieci anni? Riscontri delle differenze significative, e di che tipo?
Credo che l’incredibile offerta di palinsesti televisivi, web e cinematografici abbia reso più sofisticato il gusto del pubblico che, viziato da ogni genere di video e format, chiede sempre più contenuti di qualità in grado di dare valore al tempo trascorso a guardare un prodotto audiovisivo.
Io mi limito alla verità, documentando – senza fiction né voiceover – la vita e le opere di figure che ritengo rilevanti per la vita di tutti. Offro un punto di vista privilegiato ponendomi in prossimità della vita creativa degli artisti, che spesso coincide con quella privata. Nella mostra di Francesco Vezzoli sugli Anni Settanta della Rai, in corso alla Fondazione Prada di Milano, ci sono monografie dagli archivi di Rai Teche su Burri, de Chirico, Guttuso, Vedova… Sono passati tanti anni e sebbene la tv di oggi sia uno spettacolo completamente diverso, questi documenti restano immortali, e più che utili, necessari.

Le monografie video dedicate ai grandi artisti del nostro tempo sono una delle tue specialità. In che modo si racconta un artista attraverso un documentario? Qual è la tua personale visione sul genere?
Ho sempre amato i documentari monografici, anche quelli brutti. Da spettatore trovo il genere eccitante e sono molto grata a chi è riuscito a farmi entrare nel privato di Valentino e i suoi carlini, guardare Gerhard Richter mentre stende i colori con una spranga di ferro, oppure mi ha portato alla festa per i 17 anni di Amy Winehouse. Mi piace visitare in soggettiva i cantieri aperti di Rem Koolhaas in giro per il mondo o scegliere dei tessuti con Giorgio Armani (e Martin Scorsese!). Non c’è un solo documentario monografico – biopic è il termine in uso – che non mi abbia regalato qualcosa che qualsiasi altro mezzo non avrebbe potuto darmi nello stesso modo. L’Amour Fou su Yves Saint Laurent mi ha mostrato atmosfere che non dimenticherò mai. In generale, dai documentari ho imparato le cose più belle e più vere che conosca. Se ho potuto vedere delle cose accadere nella vita di qualcuno, significa che possono accadere anche nella mia.

Alessandra Galletta, Ettore Spalletti, Italia (2017). Still da film

Alessandra Galletta, Ettore Spalletti, Italia (2017). Still da film

Negli ultimi anni ha preso piede la tendenza a portare le mostre e i documentari sugli artisti (del presente e del passato) sul grande schermo, anche se magari solo per pochi giorni. Il pubblico sembra gradire. Tu cosa ne pensi?
Sotto l’aspetto produttivo, ciò ha significato un cambiamento tangibile: per essere proiettato nei cinema il tuo prodotto deve avere caratteristiche tecniche elevate e durare almeno 75 minuti. Rivolgendosi a un pubblico diverso da quello televisivo, la sceneggiatura deve essere inevitabilmente più complessa, capace di presentare l’artista come un personaggio. Cambiando la modalità di fruizione – – dalla tv sottofondo della nostra vita domestica che dura quanto lo desideri, al buio di una sala cinematografica che dura per un tempo stabilito –, cambiano necessariamente anche la scrittura e il ritmo del racconto. Penso che ciò sia un bene, anche perché ormai i musei più importanti del mondo hanno una sala cinematografica di tutto rispetto, e ci sono molti festival di qualità dedicati al documentario d’arte. Forse nelle sale cinematografiche puramente commerciali la proiezione dei documentari dovrebbe durare qualche giorno in più, diversificando meglio l’offerta: Be Right Back su Maurizio Cattelan è un prodotto decisamente diverso da Io, Claude Monet e Michelangelo. Non solo per la distanza storica fra questi artisti, ma anche per le caratteristiche di testo, ripresa e montaggio di queste produzioni.

Qual è la produzione a cui sei più affezionata e perché?
Ogni progetto richiede molto tempo tra la scrittura, la produzione e la distribuzione. Ossessione Vezzoli ad esempio è una produzione che è durata più di tre anni e per stare su un unico progetto così a lungo è necessario non solo affezionarcisi ma amarlo con tutto il cuore. Se non è amore vero, alla fine “non dura”, nel senso che alla fine non lo fai. Quindi son convinta che tutti i documentari che vediamo in giro siano “frutti dell’amore”. È troppo impegnativo inseguire con le telecamere una persona che intanto sta facendo la sua vita, e che ha voglia di tutto meno che di una telecamera addosso. Se non pianifichi quello che farai di quelle immagini nella fase di montaggio, e sei solo impaziente di finire il prima possibile, non farai mai un buon lavoro. Ti arrendi prima.

Alessandra Galletta, foto Rossana Ciocca

Alessandra Galletta, foto Rossana Ciocca

Ma non hai risposto alla mia domanda…
Il documentario che mi dà sempre un’emozione particolare è il mio primo film su Adrian Paci. Ho passato un anno a corteggiarlo cercando di convincerlo ma non arrivavo mai a niente. Tuttavia, poiché sono molto amica della sua gallerista in Italia, Francesca Repetto, alla fine gli abbiamo strappato un sì, ma solo perché Adrian è una persona galante e non voleva scontentare due signore. Seduto per due ore, con una sola telecamera nel suo studio di Stezzano, Adrian ha raccontato ogni sua opera, dalla prima all’ultima (era il 2010), mentre io mi sono limitata a “coprire” il suo racconto con immagini delle sue opere, oltre a dei brani tratti dai suoi splendidi video. Si trattava di una produzione decisamente low cost, con una sola luce e un audio pessimo, ma a noi è bastato per dire tutto quanto c’era da dire. La sua sincerità, la povertà degli arredi dello studio e il racconto un po’ timido della sua vita hanno creato un clima perfetto per guardare le sue opere e, spero, comprenderle profondamente.

Puoi svelarci qualche progetto che hai nel cassetto per il prossimo futuro?
Recentemente ho realizzato uno speciale dal titolo Televezzoli – Francesco Vezzoli alla Fondazione Prada, 40 minuti dedicati alla mostra in corso a Milano in onda dal prossimo luglio su Sky Arte HD, con interviste a Germano Celant, Cristiana Perrella, Marco Senaldi, Stefano Boeri, M|M Paris e Astrid Welter oltre naturalmente a Francesco Vezzoli che racconta come questo progetto sia in realtà il racconto della sua vita.
Per una distribuzione anche televisiva ma non solo sto lavorando a un progetto su Elio Fiorucci, un “grazie” corale che si leva da ogni parte del mondo, dai tantissimi fan a Milano, a Londra, a Tokyo e a New York. Sono artisti, musicisti, creativi, stilisti che si riconoscono nei colori, nell’erotismo, nell’ironia e nella giocosa trasgressione della sua rivoluzione gentile, fatta con una moda democratica, condivisa, sostenibile, originale, e trasversale.
Una lezione che a tanti farà bene ripassare.

– Valentina Tanni

Estratto in esclusiva per Artribune del film “Ettore Spalletti, Italia”, in uscita nell’autunno 2018.
Scritto e diretto da Alessandra Galletta
Riprese: Andrea Giannone e Domenico Catano
Prodotto da LaGalla23, Milano
Durata 75′
Si ringraziano: Patrizia Leonelli, Azzurra Ricci, Benedetta Spalletti, Tiziana Mezzanotte



www.lagalla23.com 




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Valentina Tanni

Valentina Tanni

Valentina Tanni è storica dell’arte, curatrice e docente; la sua ricerca è incentrata sul rapporto tra arte e tecnologia, con particolare attenzione alle culture del web. Insegna Digital Art al Politecnico di Milano e Culture Digitali alla Naba – Nuova…

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