Serpotta e il suo tempo
Oltre 100 opere tra dipinti, marmi, stucchi, oreficerie, avori, coralli, disegni, stampe e testi antichi raccontano, per la prima volta in una grande esposizione, uno dei momenti più affascinanti e significativi della cultura figurativa a Palermo: lo straordinario connubio tra le arti e l’interazione tra le raffinate maestranze nella capitale siciliana tra la fine del Seicento e gli inizi del Settecento.
Comunicato stampa
Oltre 100 opere tra dipinti, marmi, stucchi, oreficerie, avori, coralli, disegni, stampe e testi antichi raccontano, per la prima volta in una grande esposizione, uno dei momenti più affascinanti e significativi della cultura figurativa a Palermo: lo straordinario connubio tra le arti e l’interazione tra le raffinate maestranze nella capitale siciliana tra la fine del Seicento e gli inizi del Settecento. L’esposizione, sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica, è promossa e realizzata dalla Fondazione Terzo Pilastro - Italia e Mediterraneo, in collaborazione con la Galleria Regionale di Palazzo Abatellis, ed organizzata da Civita Sicilia.
La mostra apre al pubblico il prossimo 23 giugno a Palermo nella “spettacolare” cornice dell’Oratorio dei Bianchi, dove sarà visitabile fino al prossimo 1 ottobre. Ad essa verrà collegato un percorso di visita dei più importanti oratori serpottiani della città.
Curata da Vincenzo Abbate, insigne studioso del collezionismo artistico palermitano, per molti anni direttore della Galleria Regionale di Palazzo Abatellis, la mostra è una ulteriore tappa dell’impegno della Fondazione Terzo Pilastro – Italia e Mediterraneo e del suo Presidente Prof. Avv. Emmanuele F. M. Emanuele per la valorizzazione della cultura siciliana e delle sue espressioni artistiche più alte.
Giacomo Serpotta contribuì non solo a rivoluzionare l’arte dello stucco, facendolo assurgere alla dignità stessa del marmo, ma a dare elegante veste decorativa a chiese e oratori grazie anche alla sensibilità ed alla disponibilità economica di importanti ordini religiosi e di facoltose confraternite e compagnie.
Ma fu l’architetto Giacomo Amato la mente coordinatrice di quella felice stagione artistica palermitana, tra la fine del Seicento e l’inizio del Settecento, da cui scaturì una produzione raffinata e di altissimo livello qualitativo – spesso a destinazione e su committenza viceregia, oltre che nobiliare ed ecclesiastica – che contribuì ad aprire ulteriormente verso l’Europa la capitale del Viceregno di Sicilia.
Giacomo Amato, orientato in direzione di un classicismo barocco nella sua opera architettonica, ma essenzialmente eclettico in altre attività che lo vedono estroso ideatore di raffinati oggetti d’arte decorativa e applicata, rappresenta “una sorta di polo di riferimento, di catalizzatore di energie sparse, di organizzatore e mentore raffinato” (Paolini). Nella ristretta cerchia dei suoi diretti collaboratori troviamo gli interpreti preferiti e congeniali delle sue invenzioni: valenti disegnatori come Antonino Grano o Pietro Dell’Aquila, abili stuccatori coordinati dalla personalità eminente di Giacomo Serpotta, scelte maestranze di orafi, corallari, ebanisti, intagliatori.
Afferma il Prof. Avv. Emmanuele F. M. Emanuele, Presidente della Fondazione Terzo Pilastro – Italia e Mediterraneo che ha promosso e realizzato la mostra: «Sono molto lieto di inaugurare a Palermo questa imponente e raffinata esposizione, che ha peraltro come cornice principale un luogo meraviglioso, ovvero l’Oratorio dei Bianchi fondato a metà del Cinquecento dalla Compagnia del Santissimo Crocifisso, composta da gentiluomini ed ecclesiastici ed attualmente di pertinenza di Palazzo Abatellis. Sono parimenti felice che la mostra metta nel dovuto risalto altresì la figura dell’architetto Giacomo Amato, protagonista di una prestigiosa monografia realizzata – anch’essa quest’anno – dalla Fondazione Terzo Pilastro con la collaborazione della casa editrice De Luca, e il cui metodo di progettazione mette in evidenza la grandissima modernità del Cantiere Barocco Siciliano: uno spazio poliedrico in cui la produzione (d'architettura, di effimero, di arredi, mobili e oggetti preziosi) risultava da una prolungata e quasi consumata collaborazione tra Amato e i molti artisti – tra cui, appunto, Serpotta – che lavoravano in Bottega, i quali interagivano sul foglio così come nel cantiere, inaugurando una nuova partnership davvero rivoluzionaria rispetto all'Italia dell’epoca, con un sistema di divisione del lavoro che era al contempo creativo, efficace e dinamico. Questa mostra, infine, documenta stupendamente anche i profondi rapporti intercorsi tra la Sicilia, il Mediterraneo e la Spagna in età moderna, attraverso la committenza privilegiata dei Viceré spagnoli, che richiesero più volte la collaborazione professionale della Bottega Amato: un “viaggio” virtuale, dunque, che intende riportare idealmente la mia amata città d’origine – culla della cultura e della grandezza del Mediterraneo fin dai tempi di Ruggero II e di suo nipote Federico II di Svevia, il quale amava farsi chiamare più di ogni altra cosa “Re di Sicilia” – ai fasti del Barocco siciliano a cavallo tra Sei e Settecento.».
Il percorso della mostra, al piano terra dell’Oratorio dei Bianchi, è interamente dedicato a Serpotta e vi si possono ammirare a distanza ravvicinata gli stucchi provenienti dalla Chiesa delle Stimmate, staccati prima della distruzione di fine Ottocento per far posto al Teatro Massimo. I disegni e i bozzetti esposti consentono di entrare nel vivo del procedimento di quella tecnica ‘povera’ che il grande plasticatore palermitano seppe portare ai più alti livelli dell’arte.
Al primo piano troviamo sezioni tematiche strettamente correlate ma non standardizzate, in modo tale che le opere possano dialogare fra di loro. Molti dipinti che provengono da edifici religiosi sono messi a confronto con le grandi architetture esemplificate in mostra dagli splendidi disegni preparatori di Giacomo Amato, di cui evidenziano il vero portato innovativo, ossia il superamento della cultura barocca degli anni Sessanta-Settanta del secolo verso una svolta in direzione classicista di matrice strettamente romana, grazie anche al suo soggiorno nella città pontificia prolungatosi sino al 1684.
Gli straordinari oggetti preziosi nella ricca sezione delle arti decorative, a destinazione privata o di arredo liturgico, mettono invece in risalto il ruolo fondamentale di un settore trainante dell’economia di Palermo capitale del viceregno di Sicilia, quello della produzione suntuaria, della grande committenza ecclesiastica e nobiliare, della valenza e della eccelsa manualità delle maestranze cittadine nella realizzazione di argenti, mobili, ricami e suppellettili varie.
Il Comitato scientifico dell’esposizione è composto da Sergio Aguglia, Direttore della Galleria Regionale di Palazzo Abatellis; Gioacchino Barbera, già Direttore della Galleria Regionale di Palazzo Abatellis; Evelina De Castro, responsabile scientifica delle collezioni della Galleria Regionale di Palazzo Abatellis; Maria Concetta Di Natale, Professore ordinario di Museologia e Storia del Collezionismo e di Storia delle Arti Applicate e dell’Oreficeria dell’Università di Palermo; Maria Giuffrè, Storica dell’Architettura, già Professore Ordinario dell’Università di Palermo; Marco Rosario Nobile, Professore ordinario di Storia dell’architettura dell’Università di Palermo; Pierfrancesco Palazzotto, Professore Associato presso l’Università di Palermo e Vice Direttore del Museo Diocesano di Palermo.
LA SEDE DELLA MOSTRA
Sede della mostra è il prestigioso Oratorio dei Bianchi, di pertinenza della Galleria Regionale e ubicato alle spalle di Palazzo Abatellis.
Il complesso architettonico sorse nel corso dei secoli su uno dei siti più significativi della storia della città. Il nucleo più antico è costituito dai resti lignei della Porta della Vittoria, con riferimento alla vittoria di Roberto il Guiscardo sugli Arabi che proprio alla Kalsa avevano la cittadella fortificata. L’attuale configurazione è il frutto di una serie di interventi susseguitisi nel corso dei secoli XV, XVI e XVII sull’antica Chiesa di S. Maria della Vittoria. A partire dalla metà del XVI secolo, al di sopra di questa chiesa prese avvio la costruzione dell’oratorio della confraternita del Santissimo Crocifisso detta “dei Bianchi” per via dell’abito cerimoniale. Vi aderivano i maggiorenti della città con il compito di confortare nella buona morte i condannati.
Devastato alla fine del Seicento da un incendio l’oratorio fu ricostruito e nel corso del secolo successivo arricchito di pitture, arredi e sculture. Nel 1987 l’Assessorato Regionale Beni Culturali ha acquistato l’intero complesso destinandolo a Palazzo Abatellis.