Jerusalem Design Week. Reportage dalle “Isole”
Andata in scena dal 7 al 15 giugno, la settimana israeliana dedicata al design ha visto alternarsi progetti che fotografano il clima contemporaneo. Puntando lo sguardo sulle tensioni sociali, sul recupero dell’identità e su una riflessione di stampo politico.
“Non ti rendi conto di vivere vicino a un confine se non ci vai troppo vicino, ma la realtà ti colpisce quando giungi al bordo e guardi dritto nel varco”, confessa la voce fuori campo dell’opera The Golden Age of Nothing, realizzata nel 2016 dal collettivo austriaco Tab. Il video, una speculazione sull’esperienza distopica di un mondo che ha ripristinato tutte le frontiere tra stati e le presidia militarmente, è uno spunto pungente con cui leggere il filo rosso che si dispiega nel programma della sesta edizione della Jerusalem Design Week.
Curata da Anat Safran, direttore artistico, e Tal Erez, chief curator, la rassegna che ha scelto di guardare al “design come un ponte tra confini sociali, politici e culturali” ha individuato nel concetto di “isole” – “Islands” – una metafora efficace per mettere in relazione la condizione specifica che caratterizza la capitale dello stato ebraico – una città fatta di isole non comunicanti, per non dire in aperto conflitto – con una tendenza globale al separatismo e al ripiegamento verso comunità sempre più piccole e omogenee.
“Il messaggio che proponiamo non è politico”, raccontano Safran ed Erez, “piuttosto, vuole fotografare uno stato di fatto e favorire l’analisi di questo specifico paradigma, incoraggiando una maggiore consapevolezza tra il pubblico”. In una città che, a differenza della vicina Tel Aviv, non rivendica né sembra essere in alcun modo influenzata dalla cultura del design (con l’eccezione della prestigiosa Bezalel University, a oggi ancora il più importante centro formativo in campo progettuale del Paese, forse essa stessa un’isola nella città che la accoglie), il design si trasforma non solo in un vettore per comunicare identità e culture, ma anche in un’interfaccia potente per sublimare – e forse sciogliere? – le tensioni sociali e geopolitiche che stiamo vivendo.
POLITICA E DESIGN
Eppure, molte delle opere esposte una propria presa politica sembrano rivendicarla in maniera decisa. Lo fanno alcuni tra i lavori più interessanti presentati nell’ambito dell’International Teams Programme, cinque coppie di designer internazionali e locali chiamati a realizzare per la JDW un’opera ispirata al concetto di isola. Tra queste, spicca quella di Maurizio Montalti e Rami Tareef, i quali hanno realizzato un muro di funghi (Montalti rappresenta l’avanguardia nella produzione di materia organica a base di miceli) destinato a crescere e quindi decomporsi nell’arco della design week: evidente la differenza con quello che lambisce la città, ormai da anni parte integrante del paesaggio. Approccio non dissimile per Erez Nevi Pana e Marlene Huissoud, i quali hanno presentato una macchina per creare candele formate da fili cerati avviluppati su se stessi, dove il filo è lungo quanto i nuovi muri che si accingono a separare un numero crescente di nazioni del mondo. Il tema delle isole, poi, si trasforma in uno strumento ulteriore di confronto disciplinare: i progetti in mostra, infatti, sono organizzati intorno a epicentri dedicati al prodotto, alla moda e al visual, e divulgati da un’“isola” dedicata alla produzione di contributi grafici – da far circolare su web, social e un magazine giornaliero, senza soluzione di continuità.
UN PARADIGMA EFFICACE
Finanziata principalmente grazie a contributi pubblici, la JDW rappresenta un paradigma interessante anche sotto il profilo del formato. La mancanza, l’abbiamo già detto, di una rete significativa di realtà progettuali cittadine si è trasformata in questo caso in un punto di forza, esonerando i curatori dalla necessità di “fare rete” con gli attori locali e privilegiando la commissione di lavori di qualità, in linea con la visione specifica della design week. Un approccio corretto, questo, che evita di trasformare la settimana del design in una sequela di eventi effimeri e festaioli, favorendo piuttosto un processo di scoperta orientato a un singolo tema e a tutte le sue possibili declinazioni.
– Giulia Zappa
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