Arte e selfie. Intervista a Nigel Hurst di Saatchi Gallery
La Saatchi Gallery di Londra e il gigante cinese delle telecomunicazioni Huawei hanno lanciato un nuovo contest legato all’utilizzo dello smartphone dopo il grande successo del precedente, incentrato sulla diffusissima pratica del selfie. Il tutto nell’ambito della mostra “From Selfie to Self-Expression”, prorogata al 23 luglio. Di questo e di molto altro abbiamo parlato con l’amministratore delegato della Saatchi Gallery Nigel Hurst.
C’è tempo fino al 23 luglio per visitare la mostra dedicata al selfie dalla Saatchi Gallery di Londra e, sempre nella stessa data, si concluderà il nuovo contest lanciato dalla galleria e da Huawei. In seguito al grande successo della competizione #SaatchiSelfie lanciata lo scorso gennaio, stavolta l’obiettivo si sposta sul mondo esterno, ma il comune denominatore rimane lo smartphone come strumento di espressione artistica. Artisti, fotografi e creativi sono invitati a partecipare al contest #SelfExpression e il vincitore si aggiudicherà una mostra personale tra gli ambienti della prestigiosa sede londinese.
A tre mesi dall’apertura dell’esposizione From Selfie to Self-Expression è tempo di bilancio per il suo curatore e amministratore delegato Saatchi Nigel Hurst. Lo abbiamo intervistato per esplorare con lui il fenomeno dei selfie e indagare gli effetti di smartphone e social media sul mondo dell’arte contemporanea.
A tre mesi dall’apertura della mostra From Selfie to Self-Expression, qual è stata la reazione del pubblico fino a ora?
A oggi il riscontro del pubblico è stato estremamente positivo. Ci auspichiamo che la mostra From Selfie to Self-Expression abbia conseguito uno dei sui principali obiettivi, che è quello di ispirare un dibattito sul concetto di selfie come forma d’arte e sulla sua posizione culturale. Questa esposizione è la prima al mondo a indagare la storia dei selfie dai maestri del passato ai giorni nostri, trattando una tematica di grande attualità. Siamo lieti della maniera in cui il pubblico ha accolto questa esibizione e – dato il grande successo di visitatori – abbiamo deciso di prorogare la mostra al 23 luglio per permettere a più persone di indagare il selfie come forma d’arte a sé stante.
Al giorno d’oggi, ogni artista ha la possibilità di esprimersi grazie agli smartphone e alle nuove tecnologie. A volte però sorge il dubbio che la visibilità su Internet rimanga privilegio di artisti e gallerie con le risorse economiche per promuoversi attraverso i media tradizionali e che, pagando, si rendono visibili sul ranking di Google. Lei cosa ne pensa?
Viviamo in un meraviglioso mondo dove il lavoro degli artisti può essere riconosciuto attraverso canali tradizionali ma, allo stesso tempo, anche tramite la condivisione sui social media. La nostra competizione #SaatchiSelfie, per esempio, ha permesso a più di 14mila artisti, fotografi e appassionati da più di 113 Paesi di presentare online i loro selfie più creativi. I dieci selfie selezionati sono stati esposti nella galleria Saatchi. Siamo entusiasti di vedere il modo in cui i diversi partecipanti hanno approcciato la sfida creativa che abbiamo proposto. Si sono dimostrati all’altezza dello spirito della mostra dove ora sono esposti i loro lavori.
Nell’era digitale, quali consigli darebbe a un artista per perseguire la propria carriera? Gli suggerirebbe di farsi rappresentare da una galleria o di investire la maggior parte delle sue energie e del suo tempo nell’autopromozione sui social media?
L’era digitale ha essenzialmente democratizzato l’abilità di condividere immagini creative. Nel XVI secolo erano solo gli artisti dotati di capacità e strumenti a poter creare autoritratti, mentre ora tutti abbiamo i mezzi tramite i nostri smartphone, il che significa che essere rappresentati da una galleria è meno importante, per certi versi. Consideriamo ad esempio il lavoro dell’artista Amalia Ulman su Instagram, reso possibile dal modo in cui visualizziamo e fruiamo le immagini online. Il suo progetto Excellences & Perfections, realizzato interamente al di fuori dell’ambiente della galleria, sottolinea che i selfie sono spesso scatti costruiti ad hoc e hanno più a che fare con la maniera in cui vogliamo che il mondo ci veda piuttosto che con quello che siamo in realtà.
È una coincidenza che From Selfie to Self-Expression sia stata allestita alla galleria Saatchi, l’istituzione che ha scoperto i più abili artisti nel campo del marketing e dell’autopromozione (Hirst ed Emin, tra gli altri)?
Certe persone possono affermare che questi artisti siano abili nell’autopromozione, ma si tratta di autopromozione o di una più ampia e trasparente forma di rappresentazione di se stessi? Nei selfie e negli autoritratti ci appropriamo della nostra immagine, e artisti come Emin, che lavorano con la fotografia, dimostrano che questo non è un concetto nuovo. From Selfie to Self-Expression ha scelto di focalizzarsi sul modo in cui importanti quesiti che riguardano l’immagine di se stessi possono essere affrontati sia attraverso i selfie sia attraverso l’arte.
Sono trascorsi più di vent’anni da Sensation e Saatchi riesce a rimanere al centro del dibattito artistico internazionale con una mostra sui selfie. Secondo lei, Saatchi come ha influenzato il mondo dell’arte contemporanea negli ultimi decenni?
L’obiettivo della galleria Saatchi è quello di diffondere tutte le forme dell’arte contemporanea – con qualunque mezzo e dovunque – al più vasto pubblico possibile e di promuovere il dibattito. Con questa mostra, il nostro proposito è perpetuare questa tradizione e stimolare una discussione sul selfie della vita quotidiana inserendolo nel contesto di altre celebri opere d’arte
È significativo che questa mostra sia stata allestita nella galleria Saatchi dove il movimento degli Young British Artists è stato lanciato in primo luogo venticinque anni fa con Sensation. La galleria Saatchi e Huawei oggi rievocano lo spirito e l’energia di quegli artisti con un entusiasmante gruppo di dieci fotografi britannici. Ognuno di loro celebra il potenziale dello smartphone come strumento artistico di espressione personale attraverso la creazione di immagini accattivanti scattate con lo smartphone a doppio obiettivo di Huawei e Leica.
Nell’era digitale gli artisti espongono e curano da sé la loro arte su piattaforme online, da cui si relazionano direttamente con i collezionisti. Qual è il ruolo che le gallerie e i curatori possono ancora svolgere nel mondo dell’arte a suo parere?
Sebbene i progressi tecnologici abbiano radicalmente influenzato la maniera di condividere e fruire immagini visive (inclusa l’arte), vi sarà sempre spazio al mondo per le gallerie. Al meglio delle loro possibilità, incoraggiano molteplici dibattiti su vari temi di rilevanza sociale, nessuno forse più pertinente del fenomeno del selfie, che è diventato uno dei comportamenti più diffusi nelle nostre vite.
Nonostante l’avvento di smartphone e social media, lei ritiene che il mondo dell’arte contemporanea sia ancora elitario e gerarchico?
Gli smartphone sono diventati una parte essenziale della cultura contemporanea assumendo un ruolo vitale nel modo in cui documentiamo il mondo e comunichiamo tra di noi. Quello che From Selfie to Self-Expression tenta di fare è di guardare ai selfie come a un legittimo strumento d’espressione artistica, siccome rappresentano in vari modi l’epitome della nostra transizione verso un’età altamente digitalizzata e tecnologicamente avanzata. Il mondo dell’arte non può ignorare questi progressi e neppure il fenomeno del selfie e il suo effetto sulla cultura contemporanea.
– Federica Beretta
Londra // fino al 23 luglio 2017
From Selfie to Self-Expression
SAATCHI GALLERY
Duke of York’s HQ
King’s Road
www.saatchigallery.com
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