Il gigante incatenato
“Il gigante incatenato. La battaglia delle dighe sul Mekong”, venti scatti che testimoniano gli effetti della costruzione, lungo il corso del fiume, di trentanove mega-dighe.
Comunicato stampa
Inaugura sabato 15 luglio alle 18.30 al MUSE-Museo delle Scienze di Trento, la mostra fotografica “Il gigante incatenato. La battaglia delle dighe sul Mekong”, venti scatti che testimoniano gli effetti della costruzione, lungo il corso del fiume, di trentanove mega-dighe. Nessuna di queste imponenti strutture è stata realizzata conducendo indagini d’impatto ambientale e la mostra racconta le conseguenze di questi colossi sulla natura, sulle persone, e sulla sicurezza alimentare di un’intera regione. Il gigante incatenato è una testimonianza incisiva e toccante realizzata dai fotografi del collettivo Ruom, composto dal trentino Thomas Cristofoletti e Nicolas Axelrod, insieme a Emanuele Bompan, ideatore del progetto “Watergrabbing”. La mostra è inserita nel progetto “Capitali Trentini - Trentino Global Network” per valorizzare le esperienze dei trentini all’estero ed è sostenuta dalla Provincia autonoma di Trento – Ufficio emigrazione.
“Il sud east asiatico e in particolare modo la Cambogia, è una delle zone che più sta soffrendo gli effetti del cambiamento climatico e che ha meno risorse per difendersi” racconta il fotografo Thomas Cristofoletti. “I suoi abitanti sono quotidianamente esposti a eventi meteorologici sempre più incontrollati e la loro dipendenza dalle risorse naturali, specialmente il riso e pesce, li rende terribilmente vulnerabili. Parte del materiale esposto in questa mostra è il frutto di un lavoro collettivo durato quasi 4 anni: dal 2013 insieme al collega Nicolas Axelrod ed a altri membri del collettivo Ruom, abbiamo cercato di raccontare i cambiamenti e gli effetti dello sviluppo economico e sociale incontrollato di questa i regione dell’Asia. Abbiamo visitato Laos, Cambogia e Vietnam lavorando per organizzazioni come il WWF, UNDP, CARE e OXFAM ma anche, e soprattutto, investendo risorse, viaggiando e documentando questi territori”.
Il Mekong (“Madre delle acque” in Lao) è la linfa vitale del sud-est asiatico. Il fiume si snoda per 4mila chilometri tra le strette gole del Tibet attraverso i monti della Birmania e del Laos, prendendo forza attraverso le pianure di Thailandia e Cambogia, fino a sfociare nell’immenso delta lungo le coste del Vietnam nel mare Cinese Meridionale. Nelle sue acque vivono oltre 1000 specie di pesci, che integrano l’alimentazione di una popolazione di oltre 60 milioni di persone, che dal Mekong trae quindi sostegno. Storie e tradizioni raccontano di un’armonia millenaria tra i popoli dell’Indocina e il grande fiume.
Oggi, trentanove mega-dighe sono state pianificate lungo il fiume dagli stati rivieraschi. Impianti colossali, alcuni già in costruzione che potrebbero frammentare gli ambienti naturali e avere impatti rilevanti in tutta la regione da un punto di vista ambientale e sociale. Undici sbarramenti sono stati messi in programma nella sola sezione laotiana-cambogiana, costruita da società tailandesi, malesi, cinesi e vietnamite. Laos, il più povero tra gli stati della regione, ha dichiarato che il suo obbiettivo è diventare la “batteria del Sud-est asiatico”, realizzando nove dighe idroelettriche.
«Il tema dell’accaparramento e controllo delle risorse idriche – spiega Emanuele Bompan giornalista ambientale e geografo - è un tema centrale nello sviluppo globale del XXI secolo. L’acqua, il bene primario più importante dell’uomo, a causa di cambiamento climatico, sovrappopolazione e forti interessi economici e politici, è una risorsa sempre più contesa. La mostra racconta uno dei lavori sul tema che stiamo svolgendo all’interno del progetto Watergrabbing.it, sottolineando gli impatti che può avere la cattiva pianificazione degli sbarramenti idrici. La situazione è così delicata che, nel sud-est asiatico, il controllo del Mekong tra gli stati rivieraschi potrebbe diventare presto la scintilla di nuove tensioni politiche»
La domanda di corrente elettrica, negli stati attraversati da fiume, è al centro dello sviluppo di economie in forte crescita. Lo sviluppo sociale, infatti, porta sempre più cittadini a fare parte della classe media, domandando così energia a basso costo per i propri bisogni primari, luce e conservazione al fresco del cibo. Per questa ragione, gli impianti idroelettrici di grandi dimensioni possono essere una soluzione strategica per generare energia pulita, al posto degli impianti a carbone. Ma, per essere realmente energia verde, le dighe dovrebbero essere costruite secondo criteri di sostenibilità e attraverso accordi internazionali per la gestione transfrontaliera delle acque.
Interessi corporativi, scarsa competenza e generale disinteresse dalla classe dirigente hanno fatto sì che le prime dighe a essere realizzate avessero pochissimi se non alcun elemento di sostenibilità. Niente passaggi per i pesci, sistemi insufficienti per il flusso di elementi nutrienti, scarsa considerazione degli impatti sulle comunità rurali lungo le rive.
La mostra, che resterà visitabile fino al 10 settembre, è un importante momento di riflessione sul tema della sostenibilità e dell’attenzione alla salvaguarda della natura, condotta su scala globale, e un invito a estendere lo sguardo oltre i propri confini.