Renato Brazzani – Prospettive variabili
Architetto, pittore-viaggiatore e studioso dell’anamorfosi, l’artista torinese Renato Brazzani è al centro dalla personale Prospettive variabili che la Fondazione Bottari Lattes di Monforte d’Alba (Cn) gli dedica.
Comunicato stampa
Architetto, pittore-viaggiatore e studioso dell’anamorfosi, l’artista torinese Renato Brazzani è al centro dalla personale Prospettive variabili che la Fondazione Bottari Lattes di Monforte d'Alba (Cn) gli dedica da sabato 30 settembre a sabato 2 dicembre 2017. Una mostra che racconta le diverse stagioni attraversate da Brazzani tra gli anni Settanta e il 2010: la lunga serie delle anamorfosi, che trovò uno dei suoi apici nell'imponente Autoritratto americano (1982); il ciclo Oceano, interamente dominato da un blu tenebroso; le opere con inserti lignei Totem, Trofei e Scudi, dal richiamo tribale e ancestrale, caratterizzate dalla raffinatezza di forme e da un approfondito studio sul colore; le oniriche Sedie Thonet, di derivazione pop e iperrealista. Venticinque opere che si differenziano per la tecnica utilizzata, ma che sono accomunate dalla volontà di rappresentare la realtà attraverso punti di vista e prospettiva inconsueti, prospettive variabili, appunto.
Inaugurazione alla Fondazione Bottari Lattes (Via Marconi 16, Monforte d'Alba): sabato 30 settembre 2017 alle ore 18, alla presenza dell'artista. Orari mostra: lunedì-venerdì ore 10-12 e 14.30-17; sabato ore 15.30-18.30; domenica su prenotazione.
«...con le prospettive variabili – spiega Renato Brazzani –, titolo che ho scelto per la mia mostra ospitata dalla Fondazione Bottari Lattes, desidero raccontare il mio amore per la geometria tridimensionale e la sua rappresentazione. Parlare della ricerca dei rapporti tra la prospettiva normale e l'anamorfosi, dove con anamorfosi non intendo una deviazione dalla regola, ma la prospettiva normale che va a costituire un punto particolare dell'anamorfosi stessa. Ma prospettive variabili dice anche dei cambiamenti e delle scelte pittoriche diverse da quelle geometrico-anamorfiche. Cioè riconsidero il colore e la materia pittorica con lavori che da un lato riflettono sulle culture etniche e tribali (dai continenti americani, australiano e africano) e dall'altro si ispirano all'osservazione della natura (animali totemici e trofei), ma soprattutto del mare pensando a Debussy, Charles Trenet, Lucio Dalla...».
Per più di un decennio, a partire dalla metà degli anni Settanta, Brazzani si è dedicato allo studio e alla sperimentazione della tecnica dell’anamorfosi, vista come «privilegiato luogo di incontro tra le differenti prospettive» e «chiave per un’ampia e approfondita rivisitazione della tradizione figurativa», come sottolineava nel 1984 Piergiorgio Dragone. L’anamorfosi (rappresentazione di una scena in deformazione prospettica, in modo che la visione corretta possa avvenire solo da un determinato punto di vista, che non è mai quello frontale), per Brazzani è anche una prova del continuo divenire del mondo, delle vicende collettive e della vita privata, ed è un tentativo di darne una lettura. «Impadronitosi di questa che in fondo non è che una strumentazione logica – spiegava ancora Dragone – e una tecnica prospettica, Brazzani non si perde certo in “giochi” fine a se stessi. Per lui l'adozione della anamorfosi è prima di tutto un atteggiamento-filtro mentale che gli consente di fissare i punti di distanza concettuali nei confronti delle condizioni in cui si trova ad operare. Di volta in volta affronta un tema che lo tocca da vicino e, individuato un precedente iconografico che con esso abbia un nesso semantico o emblematico (il Veronese, Michelangelo, Jasper Johns ad esempio), ne sviluppa tutta una serie di raffronti e di sovrapposizioni di sensi e di rinvii culturali». Sono quattro le anamorfosi di grandi dimensioni esposte, che invitano il visitatore a posizionarsi in un determinato punto per ottenere la restituzione prospettica dell'intera opera: Autoritratto americano (1982, 200x420x420), in cui l'artista fa riferimento a un suo viaggio negli Usa, simboleggiato dalla bandiera a stelle e strisce di Jasper Johns che Brazzani coglie nel suo valore materico e prospettico; Sacra famiglia? (1981, 560x130x50), dove Brazzani riprende lo stile di Michelangelo, ma colloca la Vergine lontano da San Giuseppe, riferimento autobiografico ad una sua crisi coniugale; Football in Grecia (1984-94) e Il corridore Mennea (1985), omaggio al record del mondo raggiunto dallo sportivo.
Le opere realizzate negli anni Ottanta e Novanta, i cicli Totem, Trofei e Scudi, propongono un dialogo tra tessiture cromatiche e inserti esterni lignei, che emergono dagli sfondi di sabbia colorata, carichi di riferimenti simbolici. In queste serie dalla pittura pulsante, la ricerca è particolarmente legata all’esperienza del viaggio e documenta l’approdo all’Africa (oltre che all’America e all’Australia), al suo calore, ai suoi colori e alle sue luci, a un momento artistico che supera, alla fine degli anni Ottanta, il periodo cupo degli Oceani. Brazzani ripensa ai miti ancestrali dei popoli degli indiani d’America e delle tribù africane, rilegge i temi della caccia e della guerra, ripercorre il significato del trofeo e del totem. Attraverso colori, forme, geometrie, dissolve la realtà nei suoi elementi primari, per raccontare orizzonti sconfinati, albe di fuoco, orgogliosi guerrieri, antilopi selvagge e simboli che rimandano alle tradizioni di popolazioni ancora incontaminate.
Con le Sedie Thonet Brazzani riproduce i lavori dei maestri della pop art, come Jasper Johns e Roy Lichtenstein, rendendoli velati e in trasparenza, come se fossero raggiungibili solo attraverso uno sforzo di immaginazione o salendo su una sedia.
«La sua pittura nasce da calibrate stesure, non è di quelle costruite a pennellate materiche, con raffinati effetti di leggerezza. Vi è un costante riferimento a spunti offerti da vicende private: riversa nelle sue opere emozioni e scoperte, turbamenti e sentimenti, idee e convincimenti, persone, ambienti naturali, avvenimenti. Si vanno alternando momenti di più rigorosa e puntigliosa aderenza all’organizzazione delle sue composizioni (attraverso anamorfosi, ad esempio), e fasi di più sciolto abbandono, in cui emerge il fascino dei valori cromatici che sa modulare con innata sensibilità su un’ampia scala timbrica, ricca di gamme e di sfumature». Piergiorgio Dragone, critico e storico d’arte, 1992.
Numerose le influenze artistiche in Brazzani, dagli americani Jasper Johns, Jackson Pollock e Mark Rothko, agli italiani Francesco Casorati, Antonio Carena (con cui ha lavorato), Marco Gastini, Luigi Mainolfi, Gino Gorza, Pino Mantovani, Luigi Spazzapan, Mario Sorbone, Salvatore Scarpitta.
La mostra è accompagnata da un pieghevole con la presentazione di Ivana Mulatero.
Renato Brazzani è nato a Torino nel 1940 e vive a Monforte d’Alba. Laureato in Architettura, ha svolto attività professionale di edilizia privata e di architettura degli interni sino al 1976, quando l’ha abbandonata per dedicarsi prevalentemente alla pittura. Collabora con l’Istituto Europeo di Design di Torino, dove tiene corsi di Tecnologia della percezione. Come artista ha esordito nel 1972. Dal 1975 ha legato la sua ricerca a un approfondimento del problema degli effetti percettivo-spaziali dell’immagine dipinta, conducendo specifiche verifiche sulla logica strutturale dell’anamorfosi. Successivamente ha intrapreso ricerche sul colore e sulla materia che ha saputo legare alla sua passione per i viaggi e alle sue curiosità etnologiche. Nella metà degli anni Ottanta ha fondato, con Gilda Brosio ed altri, l’Associazione Culturale Il salto del Salmone, attiva a Torino nel campo delle arti visive, della quale ne è stato direttore artistico fino al 2000. Ha esposto in Italia e all’estero. Nel 1982 ha ricevuto il premio Teresa Oddone Nebiolo della Società promotrice delle Belle Arti per l’opera Anamorfosi con sedia. Nel 1983 ha partecipato alla Mostra per la Pace di Lerici e a La casa per lavorare, nell’ambito de Le Case della Triennale allestita a Milano e Parigi. Nel 1985 è stato invitato da Giulia Macchi alla mostra Dello Spazio, della Luce, allestita al Lingotto di Torino. È stato segnalato per la pittura sui cataloghi d’arte moderna Bolaffi-Mondadori n. 19 del 1984 (da Renzo Guasco) e n. 21 del 1986 (da Angelo Dragone).