Al di là e al di qua del confine. Una mostra diffusa a Lucca
Fondazione Ragghianti, Lucca ‒ fino al 3 settembre 2017. Una mostra indaga la difficile tematica del confine e del passaggio sullo fondo dell’arte contemporanea. Analizzandone le sfumature più varie.
Il concetto di confine, della linea posta fra il noto e l’ignoto, da sempre affascina gli intellettuali e gli artisti, per il loro ruolo di “esploratori” delle frontiere della conoscenza; del resto, un confine separa l’ignoranza dall’erudizione, l’onestà dalla disonestà, il bello dal brutto. Si tratta quindi di un concetto importante, essenziale per le sue implicazioni, e tanti sono gli ambiti e le connotazioni che vi si possono associare. Su questo appunto riflette Il passo sospeso. Esplorazioni del limite, la mostra organizzata dalla Fondazione Ragghianti, che tocca oltre mezzo secolo di storia dell’arte, attraverso le opere di 44 artisti, fra i quali Marina Abramović, Alighiero Boetti, Sandro Chia, Lucio Fontana, Piero Manzoni, Marisa Merz, Igor Mitoraj e Santiago Serra. Ospitata negli spazi della Fondazione Ragghianti, la mostra “si espande” nel centro cittadino fino a toccare anche le mura, dalle quali trae ispirazione. Come spiega il curatore Alessandro Romanini, le mura sono state nei secoli confine e porta di accesso verso l’esterno, un diaframma osmotico che ha permesso il dialogo con il mondo. L’ottica della riflessione è di stampo concettuale, per precisa scelta curatoriale che diverge dalla stretta attualità delle migrazioni (ad eccezione di pochissime opere in mostra, fra cui Un popolo di trasmigratori di Leone Contini).
Qui s’intende ragionare sul superamento di concezioni artistiche, di limiti accademici fra astrattismo e figurazione, e il titolo rimanda all’atto dell’attraversamento di un confine, sottolineando la sospensione fra il territorio conosciuto che si sta lasciando e quello ignoto nel quale si sta per avventurarsi.
UN DIALOGO CON LA CITTÀ
Sessant’anni di storia dell’arte che di per sé segnano un ideale confine fra la vecchia e la nuova Europa, così come fra l’antichità e la contemporaneità: la diffusione delle opere anche in molti punti del centro storico fa sì che si creino piccoli universi, sezioni indipendenti ognuna posta in personale dialogo con la città e i suoi monumenti, in particolare con le mura che qui diventano “confine d’arte”, distanziando epoche e concezioni dello spazio; dalle esigenze difensive medievali a quelle storico-estetiche di oggi. Ad esempio, il Baluardo di San Donato accoglie una scultura equestre in bronzo, della serie Lapidarium (composta da ben cento pezzi), realizzata dal messicano Gustavo Aceves; un’opera che richiama le immense fiumane delle orde barbariche che si spostavano a cavallo fra le steppe mongole e l’Europa. Migrazioni che ebbero un peso decisivo sulla storia d’Europa, e che l’ormai indebolito limes non riuscì a contenere.
CONFINI DIVERSI
L’idea del passaggio di confine non è rappresentata soltanto materialmente, ma è anche intuibile dalla portata delle opere. È il caso di Lucio Fontana e del suo Concetto spaziale, un’opera del 1957, fondamentale nella transizione dalla fase dei tagli a quella dei buchi.
E ancora, sottile e caustica la carta geografica con le Italie (1970) di Emilio Isgrò, indicative di problematiche sociali e strutturali che ancora oggi attendono soluzioni. Non meno caustica la già citata Un popolo di trasmigratori (2016) di Leone Contini, che riflette sulle migrazioni dai territori desertificati in cerca di aree coltivabili, e dettate quindi da ragioni di sopravvivenza. C’è dunque un confine tra la carestia e l’abbondanza, la vita e la morte. Dimensioni materiali e immateriali che la mostra unisce e rende oggetto di riflessione, senza retorica né demagogia.
Una mostra certamente non d’immediata lettura, ma che ha il pregio di affiancare l’estetica al concetto e che, grazie all’allestimento diffuso, permette la scoperta di una delle più belle città d’Italia.
‒ Niccolò Lucarelli
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