The brig

Informazioni Evento

Luogo
PINACOTECA COMUNALE CARLO CONTINI
Via Sant’Antonio , Oristano, Italia
(Clicca qui per la mappa)
Date
Dal al

lun-dom 10.00/13.00 – 16.30/20.00

Vernissage
01/08/2017

ore 19,30

Curatori
Ivo Serafino Fenu, Chiara Schirru
Generi
arte contemporanea, collettiva

In sintonia con la XIX edizione del Dromos Festival, la Pinacoteca Comunale “Carlo Contini” di Oristano, propone la mostra THE BRIG, nella quale vengono affrontati, col linguaggio polimorfo e dissonante dell’arte contemporanea, i temi legati alle nostre prigioni, mentali prima che fisiche, ai nostri recinti nei quali ciascuno di noi, più o meno consapevolmente, decide di entrare quotidianamente fino a rimanerne sopraffatto.

Comunicato stampa

In sintonia con la XIX edizione del Dromos Festival, la Pinacoteca Comunale “Carlo Contini” di Oristano, propone la mostra THE BRIG, nella quale vengono affrontati, col linguaggio polimorfo e dissonante dell’arte contemporanea, i temi legati alle nostre prigioni, mentali prima che fisiche, ai nostri recinti nei quali ciascuno di noi, più o meno consapevolmente, decide di entrare quotidianamente fino a rimanerne sopraffatto. Curata da Chiara Schirru e da Ivo Serafino Fenu, coprodotta dal Comune di Oristano – Assessorato alla Cultura e da Dromos Festival in collaborazione con AskosArte, col contributo della Fondazione di Sardegna, la mostra THE BRIG esporrà opere di importanti artisti del panorama internazionale, nazionale e sardo:
Romina Bassu, Filippo Berta, Leonardo Boscani, Giusy Calia, Angelo Cricchi, Gianni De Val, Daniele Duo’, Daria Endresen, Elisabetta Falqui, Juha Arvid Helminen, Daniela e Francesca Manca, Tonino Mattu, Michele Mereu, Gianni Nieddu, Sabrina Oppo, Quartierino Blatta (Paola Porcu e Tania Zoccheddu), Ivan Pes, Egle Picozzi, Claudia Spina.
La mostra verrà inaugurata martedì 1° agosto alle ore 19.30 e rimarrà aperta fino a domenica 1° ottobre.

Ivo Serafino Fenu
Alla ricerca artistica il compito di evocare una condizione di schiavitù o detenzione che non necessita di un reato, che racconta di folle apparentemente libere ma nella sostanza prigioniere, che descrive pregiudizi, fobie, idiosincrasie, processi interiori e sociali capaci di farci schiavi, meccanismi messi in atto quotidianamente che finiscano per renderci succubi delle situazioni, di persone e di beni materiali dei quali ci circondiamo. Si tratta di catene materiali e spirituali delle quali, troppo spesso, non possiamo o non vogliamo liberarci, di celle claustrofobiche e coercitive, proiezioni delle nostre paure dell’essere e del sentirci liberi. Sono case, come quelle descritte da Edgar Allan Poe, animate non tanto da fantasmi quanto, piuttosto, dai sensi di colpa e dalle angosce di chi le abita e, in tale prospettiva, criptiche, allusive, oblique rispetto a una realtà che spesso prescinde dallo spessore e dalla complessità del reale, tali case/prigione, e tutto quanto a loro è assimilabile, da teatro del quotidiano, delle sue miserie e delle sue tragedie, divengono un “non luogo” pieno di fascino destabilizzante, uno spazio della mente indefinito nel quale il dentro e il fuori appaiono categorie insufficienti, relative e intercambiabili. Un “altrove” evocato con gli strumenti specifici della prassi artistica, alla quale non è richiesto di stigmatizzare o giustificare alcunché quanto, piuttosto, di farsi testimone credibile del contingente. Pertanto la mostra The Brig propone una lettura talvolta autoreferenziale, spesso ironica e sarcastica, drammaticamente testimone del reale senza scadere nel didascalico, capace di lasciare dietro di sé quell’ombra nella quale si cela quanto di inquietante e di enigmatico le appartiene e che, in fondo, appartiene allo stesso reale. In quest’ottica, la casa/prigione/non-luogo acquista un’incredibile capacità metamorfica che accoglie o esclude il reale e lo trasfigura, divenendo un palcoscenico ideale per rendere esplicito l’anelito verso una libertà perduta e difficile da riconquistare perché, in fondo, «le gabbie sono come le matrioske, la gabbia ultima è la vita» (Walter Siti).

Chiara Schirru
Capita di rendersi conto della propria fortuna quando si cade in disgrazia, di realizzare di non aver mai veramente vissuto se non quando l’ombra della morte mostra il senso dell’esistenza, o di percepire, all’improvviso, perché chiusi dentro ad una prigione, che in realtà, non si è mai stati veramente liberi, che ci si è spostati, semplicemente, da una prigione all’altra. Liberarsi dai condizionamenti, però, è più facile a dirsi che a farsi: la libertà è un dono che non tutti sono in grado di accettare, conduce talvolta ai sentieri della solitudine e dell’incertezza, e scegliere qualcosa che avvicini di più a sé stessi è complicato, in quanto libertà, consapevolezza, diversità e scelta, sono solo parole che nascondono molte insidie. La verità ha molte angolazioni, e ogni uomo contiene molte vite, che possono aprirsi o chiudersi a seconda delle occasioni e possibilità che sviluppa. Capita che la scelta che sembra fedele a sé stessi non porti in fondo da nessuna parte, e capita che una condizione forzata, una malattia che immobilizza, un sentimento che imprigiona, o la limitatezza di uno spazio come quello di un carcere, portino una dinamicità altra, che costringe a rivedere e pesare gli elementi in modo diverso. Proprio quell’intoppo, quella costrizione, quella prigionia, quel nulla, mostrano di più. Abbattono confini verso orizzonti inesplorati. Non è detto, ma può succedere. La follia, il manicomio o la prigione in sé, non producono certamente arte, generano, anzi, sofferenza, ma in alcuni casi l’opportunità dell’esperienza si lega indissolubilmente all’immaginario artistico, il contatto con questa realtà dolorosa, e allo stesso tempo autentica e intensa, priva di filtri e ipocrisie, accende percezioni non ordinarie, diventa Rivelazione che conduce a un tempo infinito, luogo dei sentimenti percepiti nella loro eternità. Si narra di una suora, che un giorno, mentre spolverava una piccola immagine di Gesù in una cappella, la urtò e la fece cadere a terra. La monaca la raccolse, si assicurò di non averla danneggiata, la baciò e la rimise al suo posto dicendo: se non fossi mai caduto, non avresti mai ricevuto questo bacio.