Televisione. Grandi manovre sulla Croisette
Se sei uno startupper e sogni di vendere la tua fantastica app a qualche potente guru del web, sai già che il posto giusto dove andare è la Silicon Valley. Se invece sei un autore o un produttore televisivo e senti di avere per le mani una strepitosa idea per un nuovo programma, non c’è bisogno di sognare la California: le tue carte te le devi giocare in Costa Azzurra.
La televisione di oggi e di domani, quella globalizzata e seriale, quella dei format, dei canali tematici, quella che nonostante tutto continua a essere molto seguita a ogni latitudine, la puoi trovare, tutta insieme, due volte l’anno, in Francia, in quel di Cannes, negli edifici razional-fieristici e sufficientemente brutti del Palais du Festival che ospitano anche il festival del cinema.
L’evento si chiama MIP – Marché International des Programmes de Communication e altro non è che una grande fiera-mercato dei format televisivi in cui, per quattro giorni – la prossima volta in ottobre –, 11mila formichine, tra cui molti dei più importanti dirigenti televisivi del mondo, si muovono freneticamente da uno stand modulare all’altro cercando di presentare nuove idee di programmi televisivi e sperando di venderne i diritti internazionali a più Paesi possibile.
Ogni volta si va lì con la voglia di scoprire quale sarà la next big thing rivoluzionaria che si vedrà in televisione il prossimo anno e molto spesso, quasi sempre, si ritorna con la sensazione che in fondo trattasi sempre delle stesse idee presentate con nuovi piccoli twist (è questa la parola di gran lunga più usata in quei giorni da tutti i distributori di nuovi format come a dire: “È vero che è un tipo di programma già visto, ma questo ha una piccola svolta, un colpo di scena, un twist appunto”).
CHI INVESTE È A METÀ DELL’OPERA
Ma quali sono le regole che muovono il mercato televisivo più importante del mondo? Innanzitutto ci sono delle convenzioni da rispettare: non è che si va lì come si fosse a una fiera dell’artigianato qualsiasi. Gli appuntamenti per presentare o comprare un format, che durano sempre tassativamente mezz’ora, si prendono mesi prima con un fitto scambio di e-mail che dalla tua scrivania si intreccia con più o meno ogni angolo delle terre emerse. Ognuno si presenta con il suo bel catalogo diviso per generi – reality show, talent, factual ecc. – e con materiale visivo correlato.
Ogni nuova idea può infatti essere accompagnata da una scheda, da un trailer, da una puntata pilota o addirittura da una serie di puntate della prima edizione prodotta. Più avanti sei con questa lista, più significa che hai già avuto un grosso investimento in partenza sull’idea, e di conseguenza maggiori possibilità hai di vendere la tua proposta.
QUELLI CHE SCARDINANO IL SISTEMA
Questa regola di mercato fa sì che siano praticamente nulle le possibilità che, in un mercato ricco e strutturato come questo, ci sia spazio per le cenerentole del settore, ovvero per piccoli produttori indipendenti che solo con la forza della loro idea siano in grado di conquistare il mondo. Tutto o quasi passa per alcuni pesci grossi: distributori multinazionali che si spartiscono la torta e che sanno già in anticipo quali format comprare e per quali Paesi.
Ciò che periodicamente scardina questo sistema non sono quindi i soggetti singoli bensì dei movimenti di sistema che partono da interi Paesi che decidono di rischiare strutturalmente con piani d’investimento che coinvolgono governi, reti televisive e produttori locali, unitamente concentrati a produrre grossi show in loco per poi sperare di esportarli.
Un aspetto divertente è che ogni anno, durante il mercato, si generano miti più o meno spontanei che passano discretamente di bocca in bocca, quasi a mo’ soffiata, e che a un certo punto portano tutti a ritenere che un certo format sia la vera grande novità del momento. Sono hype che scatenano aste senza senso, che per esempio ti portano a comprare compulsivamente i diritti di un programma e a renderti conto dopo poche ore dell’assurdità di quello che hai fatto. Quest’anno pare che l’entusiasmo sia tutto per due profetiche paroline: virtual reality.
– Alessio Giaquinto
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #36
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