Il Ddl Concorrenza è legge. Cosa cambia per arte e beni culturali
Dopo ben tre anni di lavori, tra aule e commissioni, il Ddl Concorrenza arriva a destinazione. Il Senato approva in via definitiva. Dentro ci sono anche norme importanti per il settore dei beni culturali. Proviamo a riassumere i punti principali, spiegando chi ha pressato per queste modifiche e chi, invece, è assolutamente contrario.
Un percorso legislativo lungo, travagliato, animato da dibattiti, tensioni, rivendicazioni, e contornato di continui aggiustamenti. Il famoso Ddl Concorrenza è finalmente arrivato alla fine del suo iter, iniziato nel 2015 dietro iniziativa dal Ministro dello sviluppo economico, con relatore di maggioranza il Senatore Salvatore Tomaselli (PD) e assegnazione alla 10ª Commissione permanente (Industria, commercio, turismo).
Ieri, 2 agosto 2017, dopo vari passaggi tra Camera e Senato, il testo – su cui il governo ha posto la fiducia – è finalmente legge. Approvato in Senato con 146 sì, 113 no e nessun astenuto.
Soddisfazione da parte dell’Antitrust, “soprattutto per il valore simbolico che assume l’adozione di questa legge“, non mancando di sottolineare le timidezze e i ripensamenti rispetto all’originaria audacia: “Tuttavia”, ha aggiunto l’autority, “la direzione è quella giusta: la concorrenza è un cardine per lo sviluppo del Paese, per abbassare i prezzi, ridurre le diseguaglianze, stimolare l’innovazione e aumentare il benessere dei consumatori“. Critici SI e M5S, che parlano della solita legge a favore dei poteri forti e delle lobby.
Parole d’ordine: semplificare, snellire, velocizzare, sburocratizzare. Dentro c’è di tutto e di più: settore avvocati e ingegneri, dentisti e notai, turismo e telecomunicazioni, energia e digitale. E c’è anche il mondo della cultura, con due cambiamenti importanti.
BENI ARCHIVISTICI E LIBRARI
Di questo aspetto avevamo ampiamente discusso qualche giorno prima dell’approvazione definitiva, individuandolo come un obiettivo importante per studiosi e ricercatori: la norma che saltò inspiegabilmente dall’Art Bonus, e che oggi viene recuperata con l’articolo 172 del Ddl (che modifica l’articolo 108 del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio), consente la libera fotoriproduzione e la diffusione di materiali custoditi in archivi e biblioteche, esattamente come è possibile fare dal 2014 con opere e beni conservati ed esposti nei musei.
Il tutto nel rispetto dell’integrità degli oggetti; servendosi di attrezzature digitali che non determinino un contatto fisico; in assenza di scopo di lucro; escludendo l’esposizione a fonti luminose. E naturalmente sospendendo la norma per quei beni già “sottoposti a restrizioni di consultabilità”, in quanto troppo fragili, non manipolabili ecc. Si specifica infine la necessità di procedere “nel rispetto delle disposizioni che tutelano il diritto di autore”. Sparito l’obbligo di versare oboli agli archivi stessi per effettuare fotografie con mezzo proprio.
CIRCOLAZIONE DELLE OPERE D’ARTE
Grande innovazione – e grandi scontri, tra il fronte dei liberal e quello conservatori – per quel che riguarda l’ampliamento e la semplificazione del sistema di circolazione delle opere d’arte e antiquariato, gestite e movimentate da privati: anche qui le nuove norme modificano il Codice dei Beni Culturali. Il percorso nasce dalla pressante richiesta di professionisti del campo, convinti che la legge vigente imbrigliasse mercanti, gallerie e collezionisti nelle operazioni di transito dei beni, fra compravendite o esposizioni.
La versione approvata del relativo emendamento (a firma Marcucci) è il frutto di un lungo lavoro di mediazione tra istituzioni, forze politiche e i promotori del Progetto Apollo, elaborato dallo Studio Legale CBM & Partners su mandato di un gruppo di operatori: Associazione nazionale Case d’Asta, Christie’s, Sotheby’s, Associazione nazionale delle Gallerie d’Arte Moderna e Contemporanea e Art Defender. L’approvazione del Ddl rappresenta dunque una vittoria per chi viveva con sofferenza un assetto normativo assai sbilanciato in direzione della tutela. Di seguito le novità sostanziali, espresse negli articoli 176 e 177.
– L’ETÀ DELL’OPERA
Innalzato da 50 a 70 anni il limite temporale necessario al riconoscimento di una rilevanza speciale, ai fini della tutela, per opere di proprietà di privati (in caso di artisti defunti). Le opere realizzate entro i 70 anni potranno dunque circolare con maggiore facilità, senza bisogno di un esame fisico e di un’autorizzazione delle Soprintendenze. Il Ministero mantiene comunque la possibilità di riconoscere lo status di “rilievo eccezionale” per qualsiasi opera.
– LA SOGLIA ECONOMICA
Introdotta una soglia di valore al di sotto della quale il bene culturale può transitare liberamente fuori dai confini nazionali ed europei, dietro semplice autocertificazione. L’intento dei promotori era quello di adeguarsi alle soglie già previste dal Regolamento del Consiglio Europeo n. 116/2009, ma il Ministero ha preferito fissare – per ragioni di cautela – una soglia unica per le diverse categorie di beni, pari a 13.500 euro. Si tratta della soglia più bassa in Europa: ad esempio, per i dipinti in Francia il limite sotto il quale non serve autorizzazione è fissato a 150mila euro, in Gran Bretagna a 100mila sterline, in Germania a 300mila euro. Dalla soglia restano sempre esclusi reperti archeologici, archivi, incunaboli e manoscritti.
– I CRITERI DI VALUTAZIONE
La riforma chiede al Mibact, entro 60 giorni dall’entrata in vigore del Ddl, di definire o aggiornare tramite decreto i criteri a cui gli uffici di esportazione devono attenersi per valutare il rilascio o il rifiuto dell’attestato di libera circolazione, nonché le condizioni e dei certificati di avvenuta spedizione o importazione.
– IL PASSAPORTO
Viene istituito – sul modello francese – un apposito “passaporto” per le opere, di durata quinquennale (non più triennale), utile ad agevolare l’uscita e il rientro delle stesse dal e nel territorio nazionale.
– EXTRA UE
Si estende da sei mesi a un anno la validità della licenza di esportazione dei beni culturali al di fuori del territorio dell’Unione Europea e da 30 a 48 mesi il termine che può intercorrere fra il rilascio dell’attestato di libera circolazione e il rilascio della licenza.
– REGISTRO INFORMATICO
Il registro indicato all’articolo 63 del Codice dei Beni Culturali e Ambientali, relativo al commercio di “cose antiche o usate”, diventa un “registro in formato elettronico”, che consenta la consultazione in tempo reale al soprintendente. È diviso in due elenchi, che dividono le “cose” per cui occorre la presentazione all’ufficio di esportazione e quelle per cui non è richiesta. Il soprintendente può però richiedere sempre la valutazione diretta di qualunque bene.
CHI FESTEGGIA
Secondo il Ministro Franceschini si tratta di una normativa che “favorisce la circolazione all’estero delle opere non vincolate”, lasciando però inalterato “il sistema di tutela del patrimonio culturale di proprietà privata, che continuerà a richiedere, per poter vincolare un’opera, la sussistenza di un interesse culturale particolarmente importante e la piena autonomia tecnico-scientifica dell’amministrazione nel riconoscerlo”. Insomma, facilitare e rendere più competitivo a livello internazionale il settore del mercato dell’arte non significa per forza mettere a rischio le opere.
Ed è naturalmente la stessa posizione di chi, operando nel mercato, ha spinto per questo salto. Filippo Bolaffi, Ad dell’importante Gruppo Bolaffi, si dice lieto per il nuovo corso che stimolerà “gli acquirenti stranieri che non avevano voglia di aspettare mesi e mesi per pezzi non di grande rarità, comunque reperibili anche in altri mercati molto più agili”. Non tutto fila, però, dal momento che “il prezzo di mercato non sempre coincide con l’importanza storico-culturale di un oggetto”. Insomma, nonostante la nuova misura, si potrebbe continuare “a perdere tempo e clienti, per oggetti cari ma che, per il loro valore “culturale” modesto non sono degni di esser conservati all’interno dei confini nazionali. Dall’altro lato, oggetti di minor valore potrebbero non essere minori anche culturalmente”. E in effetti, come negare che il valore di mercato sia un parametro relativo, esposto ad ambiguità?
I vantaggi però ci sono e li spiegavano bene tempo fa Giuseppe Calabi e Valentina Favero di CBM&Partners, su Wanennes Art Magazine: “In un mercato che, secondo il Tefaf Art Market Report 2015, genera un fatturato di circa 51 miliardi di euro a livello globale, l’Italia detiene soltanto l’1% della quota di mercato. Le ragioni di tale stagnazione devono essere rinvenute essenzialmente in una normativa che impone un indiscriminato controllo all’esportazione per qualsiasi oggetto d’arte che sia opera di autore deceduto e che abbia più di 50 anni”. Nel concreto: “Che si tratti di un’opera di de Chirico o di un acquerello di un artista sconosciuto, ogni oggetto d’arte deve essere fisicamente visionato da una commissione di funzionari della Soprintendenza […] I tempi per ottenere un attestato di libera circolazione superano ampiamente i 40 giorni previsti in totale dalla legge, creando molte difficoltà a quegli operatori che devono spedire le opere all’estero. Inoltre, la grande discrezionalità che caratterizza l’azione amministrativa comporta grosse incertezze circa l’esito delle procedure”.
Da oggi tutto questo appartiene al passato. Un modo, anche questo, per dare ossigeno all’economia del Paese e a un settore penalizzato da imposte e burocrazia.
LE POLEMICHE
Apprensione e rabbia arrivano invece da chi guarda la faccenda dal punto di vista della conservazione e della tutela, in una prospettiva severa e fortemente centralizzata. Fra i maggiori avversari del nuovo assetto c’è Italia Nostra, storica associazione che opera per la salvaguardia del patrimonio, ma anche uno studioso autorevole come Salvatore Settis che, parlando di “delitto perfetto”, di progetto berlusconiano e di intervento disorganico, ci ha visto un modo per scardinare il sistema del Codice dei Beni Culturali elaborato in armonia con la Costituzione.
Quanto a Italia Nostra, le nuove norme sarebbero “decisamente inique”, poiché “depauperano il patrimonio culturale, che è di tutti, a esclusivo vantaggio di una ristretta e privilegiata lobby, quella dei mercanti d’arte, degli antiquari e delle grandi case d’aste internazionali”. Ecco il problema: “Domani basterà dunque una semplice autodichiarazione per portare all’estero capolavori epocali del secondo Novecento italiano che oggi dovremmo trattenere sul territorio invitando il grande pubblico internazionale ad ammirarli in patria”. Concetto quest’ultimo molto relativo: bene attirare turisti in patria, ma mercato e promozione culturale si alimentano anche in un’ottica internazionale.
“Non è tutto”, aggiungono. “Domani basterà dichiarare che le cose che si vogliono esportare valgono meno di 13.500 euro per poterle liberamente trasferire oltreconfine indipendentemente dall’età e dall’autore (che potrebbe anche essere un genio assoluto della storia dell’arte Michelangelo, Raffaello, Caravaggio)”. E la valutazione assume toni tragici, quando – concentrandosi sui vent’anni d’innalzamento – si arriva a presumere un destino di danneggiamenti e abusi: “Tutte le migliori opere di architettura, design, pittura, scultura, grafica ecc. realizzate fra il 1947 e il 1967 dai più importanti maestri del Novecento italiano, da Giò Ponti allo Studio BBPR, da Fontana a Carrà, Melotti, Guttuso, de Chirico, da Balla a Burri, dai fratelli Castiglioni a Marzo Zanuso ecc. saranno libere non solo di uscire dal territorio nazionale senza alcun vincolo o controllo, ma anche di essere demolite, distrutte, danneggiate, adibite ad usi impropri, commerciate senza tracciabilità, restaurate, spostate e trasformate senza controllo. Solo perché favorisce il mercato dell’arte”.
Critiche e preoccupazioni lecite, che sono state utili al dibattito e alla messa a punto della legge. Ma ci si chiede allora perché non modificare in senso totalmente restrittivo il Codice, eliminando ogni soglia e impedendo a qualunque opera di circolare liberamente. Come la mettiamo con dipinti e sculture di pregio prodotti negli Anni Settanta/Ottanta? Il danno sarebbe meno grave?
Quanto alla soglia economica di 13.500 euro – provvedimento che recepisce una normativa europea – toccherà alle soprintendenze valutare la congruità del valore dichiarato rispetto all’opera in uscita: un de Chirico dato per 5mila euro dovrebbe insospettire pure l’ultimo dei profani! “Le Soprintendenze”, spiega però Settis sul Fatto Quotidiano, “dovrebbero dare la caccia al tesoro: sarà impossibile contestare una per una la folla di esportazioni basate su autocertificazioni spesso truccate”. Il che è vero: si mette in conto l’inganno, come l’ingolfamento. Ma il sistema non era meno intasato quando qualunque piccola opera, di qualunque autore e valore, andava visionata dal vivo e sottoposta a lunghe trafile. Una soluzione potrebbe risiedere nell’obbligo di affidare la certificazione, con valutazione economica, a professionisti terzi. In futuro, chissà.
Più in generale, va ricordato che l’introduzione dell’autocertificazione rappresentò il primo segno di una grande rivoluzione culturale, ancora incompiuta: quella che supera il rapporto vessatorio e opprimente tra cittadini e burocrazia. I pericoli di falsificazione – da contrastare con pene adeguate – non mancavano e non mancheranno. Ma non esiste innovazione che non porti con sé il peso di un qualche rischio. Per il resto, è una profonda cultura dello Stato a fare la differenza, sempre: dalla parte dei cittadini e da quella delle istituzioni.
Helga Marsala
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