La pittura in una stanza. Una mostra a Roma
Galleria d’Arte Moderna, Roma – fino al 1° ottobre 2017. L’arte della prima metà del Novecento attraverso le opere di dodici protagonisti. Collocate in altrettante stanze.
Come raccolta in una solitudine antica e impenetrabile, segnata da un destino o da un fato, lo sguardo vigile assuefatto ai vasti spazi, le membra ampie, rudi, pesanti, in bilico tra il ristoro della quiete e la tensione del viaggio imminente, una figura arcaica e distante – alludiamo alla distanza del mito o del sogno – ci accoglie al primo piano del Museo d’Arte Moderna di Roma.
Conosciamo così Il Pastore (1930) di Arturo Martini, che sarà idealmente la nostra guida in questo itinerario attraverso l’arte italiana del primo dopoguerra – segnatamente degli Anni Venti e Trenta – che le curatrici Maria Catalano e Federica Pirani hanno contrassegnato con una sessantina di opere di dodici protagonisti di quel felice periodo artistico, provenienti dalla collezione della Galleria oltre che da collezioni private, corredandole con frammenti di diari, di lettere, di scritti teorici o critici redatti dagli artisti stessi.
FAMIGLIE RITRATTE E RITRATTISTE
L’arcaico capolavoro dello scultore trevigiano ci indica con un cenno appena percettibile La Famiglia (1927) di Mario Sironi, su cui si rifrange il medesimo clima di straniante, primordiale solitudine, mentre il morbido ritmo orografico avvolge le irregolari geometrie urbane e i volumi masacceschi delle figure.
Nella sala adiacente ci attorniano gli oli e gli encausti di Ferruccio Ferrazzi dove una metrica sapiente scandisce corpi femminili nudi o drappeggiati, il ritratto della figlia Ninetta (1937), scorci di vedute romane al Colle Oppio dove il pittore abitava.
Quindi, in un piccolo ambiente dai toni bluastri, quasi notturni, attendono i fratelli de Chirico con un saggio esemplare del loro celebre universo onirico. “Per un pittore dipingere il suo sogno sarà l’arrivare a dipingere l’universo in una foglia […] La sua opera ripresa dalla natura sarà un’altra natura, la perfezione della natura” (Ottone Rosai, 1937).
UN PASTORE APRE E CHIUDE LA RASSEGNA
Una oblunga sala del piano superiore è dedicata alla poetica del paesaggio: Carrà, Rosai, Soffici. Pensatore profondo e originale, quest’ultimo, ingiustamente dimenticato, alla cui opera critica e letteraria amiamo attingere spesso con salutare profitto. “Un segno sul foglio, e si senta per sempre quest’ onda melodiosa di azzurro sulla mia testa, quegli strappi di luce sulle montagne lontane, fra i rami nudi dei pioppi. Questo profondo e limpido mistero sulle cose” (Ardengo Soffici, 1921).
E poi ancora Pirandello, Scipione, Campigli, Marini. E ciascuno traccia con il proprio inconfondibile segno il solco di questo complesso itinerario estetico. Ci congediamo con gratitudine dall’arcaico Pastore portando con noi, nel clamore sottostante, quel pensoso sguardo vigile, assuefatto ai vasti spazi.
– Luigi Capano
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