Dalla moda alla scultura. Intervista a Janine von Thüngen
Dalla moda alla scultura passando per il teatro, il percorso creativo di un’artista che ha appena inaugurato una nuova fase filosofica della sua carriera.
Tedesca di nascita e formazione, sincera amante del Belpaese, esponente di una scultura contemporanea colta e concentrata sul rapporto spazio/tempo, Janine von Thüngen (Monaco di Baviera, 1964) è al momento protagonista, in Italia, di due appuntamenti espositivi: alla Villa Foscari ‒ La Malcontenta di Mira e alla Villa Geggiano, a Castelnuovo Berardenga (subito alle porte di Siena), ospite di Art of the Treasure Hunt. Abbiamo approfondito con lei gli elementi cardine della sua poetica.
La sua frequentazione del mondo della moda l’ha posta a contatto con l’aspetto più mondano della società. Il fatto che la scultura abbia invece profondi richiami alla filosofia, alla dimensione più intima dell’individuo, è una sorta di “reazione” a un periodo della sua vita che certamente è stato molto “caotico”?
Anche se sono passati molti anni, ricordo il mio lavoro nella moda come un’esperienza molto interessante da vari punti di vista. Sin da piccola creavo delle sculture con la carta, poi con il tessuto, il gesso o qualsiasi altro materiale che passasse sotto le mie mani. Per motivi familiari ho studiato e lavorato nel mondo della moda, ma mi stava un po’ stretto, mi ha lasciato poco spazio per “sognare”. Attirata da sempre dal teatro e specialmente dalla lirica, ho cominciato a creare costumi e scenografie. Da quel momento è iniziato un periodo molto intenso durante il quale ho viaggiato tantissimo e imparato a conoscere e utilizzare i materiali più disparati. Sia la dura realtà della moda sia il “mondo a parte” della lirica credo mi abbiano aiutato a crescere interiormente.
Come descriverebbe il suo percorso?
Tedesca con una formazione classica, vagabonda per scelta da trent’anni, sono stata sempre attratta dai contrasti di Eraclito e Rilke. Da giovane leggevo di tutto, da Capra a Kafka, ascoltavo a bocca aperta Cage e i Rolling Stones. Oggi ho cominciato finalmente a capire qualcosa della fisica moderna con l’aiuto delle Sette lezioni di fisica di Carlo Rovelli. Rileggere Rumi mi sta aprendo gli occhi in un’altra direzione. Ogni età mi ha portato a dei livelli diversi di ricerca interiore e di ricerca sul mio lavoro di scultura.
Da anni si è stabilita a Roma. Considerando che fra le sue ultime opere ce ne sono alcune realizzate ispirandosi alle catacombe paleocristiane, quanto di questa città è entrato nella sua poetica scultorea?
Da qualche anno vivo sopra le catacombe, scavate dagli antichi romani, utilizzate dagli ebrei e in seguito dai cristiani. Le catacombe di Domitilla e di San Callisto si estendono come un labirinto nel ventre della terra, sotto i miei piedi. Luoghi di culto, d’incontro e di dolore, scavati dall’uomo, luoghi mai cambiati nella loro struttura. Spazi chiusi, precisi, con un passato ben netto. Vivendo a contatto con questo imponente passato, mi si è aperta una porta importante: una porta per il “presente” dei miei lavori. Il presente della città mi sembra invece spesso caotico. Certe volte mi viene voglia di “entrare” nelle buche delle strade per percorrere in tranquillità le vie sotterranee…
Quale tecnica ha utilizzato per realizzare Eternity II?
Per Eternity II ho utilizzato lo stesso procedimento di fusione del bronzo utilizzato per Eternity I. Una tecnica completamente nuova che ho sviluppato insieme al professore Domenico Annicchiarico e al mio fonditore.
La grande differenza tra le due opere sta nel luogo da dove provengono e nella loro installazione. Se Eternity I è un’opera di 6 elementi che sembrano sprigionarsi dal sottosuolo per percorrere la spirale di Fibonacci all’infinito, Eternity II gira infinitamente intorno a se stessa. Le due parti vengono fuori dalla stessa matrice, ma sono state capovolte. L’esterno dell’una è l’interno dell’altra e viceversa. Il positivo e il negativo. Lo Ying e lo Yang. Hanno la stessa base ma sono diverse. Uomo e donna. Nascono da un piccolo spazio rotondo come un igloo nel ventre materno terrestre e si sviluppano in una galassia, la nostra. Sono biancastre come la carta, se ci entri potresti non uscirne mai.
In che misura la pratica del video incide sulla sua produzione artistica?
Il video è movimento, intensità. Non amo molto i “video d’arte”. Se devo guardare qualcosa del genere, preferisco vedermi un film di Tarkovskij, Fellini, Visconti, Wenders, Pasolini e molti altri grandi del cinema. I miei video sono brevi, più spesso un approccio per elaborare un movimento che provoca un’emozione.
Come descrive il suo rapporto con l’Italia?
Come quello di una coppia sposata da anni: i due coniugi però vengono da due Paesi europei diversi. Nella realtà quotidiana si lamentano facilmente delle stesse cose, se fai loro una domanda ti rispondono in modo diametralmente opposto, uno è profondo e un po’ complicato, l’altro leggero e spesso risponde con una scrollata di spalle. È un amore particolare che li unisce, non possono fare a meno l’uno dell’altro…
A quali progetti sta lavorando?
Il corpus di lavoro al quale appartengono gli Eternity rappresenta una grande porta d’ingresso. Ho ancora molto da elaborare, approfondire e soprattutto da capire sullo spazio/tempo e le domande legate a questo tema mi accompagneranno per un bel pezzo.
‒ Niccolò Lucarelli
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