Aria. Una rivista fuori dagli schemi raccontata da Pino Boresta
L’artista romano narra la breve ma fulminante epopea di una rivista d’arte lontana da qualsiasi standard. Rivista che ha visto impegnato un incredibile numero di artisti, famosi e non.
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GLI ESORDI
Vi state chiedendo il perché di tutti questi nomi e soprattutto il significato di quei numeri tra parentesi? Ebbene sono tutte le genti (artisti, fotografi, architetti, poeti, scrittori ecc.) che a vario titolo hanno contribuito, almeno una volta con un loro lavoro, ad ARIA magazine, o che hanno preso parte a uno degli eventi organizzati dalla redazione.
I numeri tra le parentesi sono le volte che hanno partecipato/collaborato con ARIA.
Questa iniziativa editoriale, nata in seno al collettivo romano A.R.I.A. (acronimo di Artisti Romani riuniti In Assemblea), che si riuniva intorno a due noti artisti romani (Cesare Pietroiusti e Alfredo Pirri), è stata fondata da Cristiana Pacchiarotti, Carlo De Meo, Pino Boresta, Arianna Bonamore, Tania Campisi e Mario Tosto. Nel tempo hanno collaborato per brevi periodi anche Giorgio de Finis, Angelo Bellobono, Gianni Piacentini, Franco Nucci, Roberto Piloni.
La rivista è uscita per la prima volta con un numero zero sperimentale nel dicembre 2011 in occasione della Giornata del disorientamento dal titolo da mezzogiorno a mezzanotte, tenutasi al Teatro Valle di Roma da A.R.I.A. al Valle Occupato.
Il numero uno vedrà la luce nel marzo 2012 con il nome di A.R.I.A. underground e con un titolo tematico che sarebbe cambiato ogni volta. Per questo primo numero venne scelto il titolo ROSSO. La presentazione in pompa magna venne fatta nello spazio AREA del Macro, una bella sala tutta rossa. L’idea geniale che contribuì in maniera determinante alla sopravvivenza della rivista per due anni in un settore editoriale sempre e perennemente in crisi fu quello di pensare una pagina bianca tra le pagine del magazine nella quale ogni volta dieci autorevoli artisti realizzavano un intervento unico che veniva messo in vendita a 100 euro e che permetteva di trovare così i soldi per realizzare il numero seguente. Vincente risultò anche la decisione di realizzare ogni volta dieci copie trasparenti sulle quali affermati artisti realizzavano un intervento visivo unico, che veniva poi messo in vendita durante la presentazione della rivista.
Tra coloro che si sono generosamente prestati mi piace ricordare: Carla Accardi, Pablo Echaurren, Luigi Ontani, Sergio Lombardo, Tommaso Binga, Marco Samorè, Marzia Migliora, Giovanni Albanese, Cesare Viel, Alfredo Pirri, Sergio Fermariello e Cesare Pietroiusti, che intervenne anche su 99 copie del primo numero con altrettanti contributi cromatici sulle tonalità del rosso che furono messe in vendita a 20, 30 euro l’uno.
UNA RIVISTA IN EVOLUZIONE
Per il numero due di ARIA underground (presentato alla Fondazione Volume) si sceglierà un titolo tratto da un testo di Stefano Benni, non-si-sa-poi-cosa, proposto come slogan metaforico della condizione dell’attuale per “raffigurazioni dell’incertezza”, e a sostegno di una rinnovata energia partecipativa e comunicativa. Con questo numero, pubblicato nel luglio 2012, grazie anche al successo avuto con il precedente si deciderà di aumentare la tiratura che però raggiungerà le 1000 copie solo con il numero successivo.
Nel dicembre 2012 uscirà il terzo numero di ARIA, che perderà, dopo una lunga discussione redazionale, la sua appendice “underground”, e sarà dedicato quasi interamente al MAAM – Museo dell’Altro e dell’Altrove di Metropoliz di Roma, che proprio in quei giorni stava nascendo grazie all’antropologo, artista e curatore Giorgio de Finis. Questo numero, nato dalla necessità di modificare le proprie certezze per esplorare territori ignoranti e per scoprire il senso della realtà con occhi nuovi, sarà presentato proprio al MAAM e vedrà la partecipazione di Vita Accardi in una breve pièce con il singolare oggetto di scena Uovo pineale di Luigi Ontani.
Per il primo anno di vita di ARIA (anche se un po’ in ritardo sui tempi) nell’aprile 2013 si organizzò l’evento Festa d’artisti alla Casa dell’Architettura (ex Acquario Romano) all’interno del quale mi venne l’idea di mettere in piedi e curare RiffARIA. Una sorta di tombola con le cartelle (da me rettificate e quindi diventavano loro stesse delle opere) all’interno di ogni numero della rivista che, venduta a 20 euro, dava il diritto a partecipare alla riffa. In palio opere di artisti visivi a supporto di ARIA (rivista indipendente e totalmente autofinanziata). Per quest’occasione donarono le loro opere anche: Gianni Astrubali, Ali Assaf, Matteo Fato, Myriam Laplante, Veronica Montanino, Franco Losvizzero.
LA CONCLUSIONE
Arriviamo così al numero quattro, non con poca fatica, e a seguito di discussioni, ripicche, diverbi e litigi continui inevitabili quando si mettono insieme più di tre artisti, del resto anche le importanti riviste Dada non arrivavano quasi mai al secondo numero, e noi invece eravamo già al quarto, eureka direi io…. Il numero quattro di ARIA (che vanta al suo interno la presenza di un testo poetico di Valentino Zeichen) vide la luce nel giugno 2013 con il titolo C’era una volta una volta sola che come sempre era pure il tema sul quale tutti coloro che volevano partecipare dovevano mandare le loro opere che venivano poi da noi selezionate e scelte. Selezionare, includere, escludere era un compito nel quale non mi trovavo mai a mio agio, in quanto conoscevo, e conosco bene, i meccanismi che lo determinano e lo regolano. Quello della scelta delle opere inviate per la pubblicazione era per me un’incombenza che avrei volentieri delegato ad altri, ma avevamo deciso fin da subito che la avremmo assolta sempre tutti insieme, perché solo così potevamo garantire una reale pluralità di visioni, e devo dire che, a dispetto delle controversie, delle dispute e finanche delle sceneggiate e quasi psicodrammi, riuscivamo sempre a trovare una quadra piuttosto soddisfacente, anche se probabilmente non raggiungemmo mai la perfezione perché la perfezione non fa parte della natura degli artisti. Ma grazie ad ARIA molti sono gli artisti che, affiancati ad artisti famosi e famosissimi, hanno avuto quella visibilità che difficilmente avrebbero potuto trovare da altre parti, ma forse sarebbe più giusto dire impossibile procurarsi gratis. Poi fu tempo per il collettivo di ARIA di organizzare anche un paio di mostre; una di queste, particolarmente risuscita, dal bislacco titolo TUFFFO, si è tenuta nel complesso architettonico Torre di Mola a Formia (Latina).
Infine approdiamo, attracchiamo e sbarchiamo, con De-Siderio Dis-Astro, titolo/tema del numero cinque di ARIA, all’epilogo di questa faticosa ma divertente avventura. Il prologo e lo svolgimento, se avete avuto la pazienza di leggermi, ve lo sarete già sciroppato nelle righe precedenti in una breve storia non esaustiva, che del resto questo scritto non ha la pretesa di essere, ma che altri potranno sempre fare e che anzi spero che questo sia stato d’incoraggiamento. Quindi, prendete questo mio testo piuttosto come il sommario dei punti salienti della breve vita di un magazine d’arte fuori dall’ordinario, una rivista che ancora oggi desta molte curiosità proprio perché, come l’aria, è rimasta inafferrabile e nessuno ha ancora capito bene cosa fosse, cosa è stata realmente, è questo è un bene, questo, probabilmente, è ancora la sua forza e la sua bellezza. ARIA per me era un’urgenza espressiva, un urlo che doveva emergere, una voce, anzi tante voci che avevano la necessità di farsi ascoltare, ma soprattutto di farsi vedere per affermare “presenti ci siamo!”. Una rivista diversa che ha dato spazio alla bellezza di quello che Verdone definirebbe “famolo strano” e che a molti non solo è piaciuta ma li ha portati a impegnarsi nel disperato tentativo di possedere la collezione completa dei sei numeri che probabilmente possiedono solo i soci fondatori.
APPENDICE
Approfitto di quest’articolo per ringraziare in maniera particolare i miei compagni di viaggio (soci fondatori e non) che con me hanno condiviso questa difficile ma eccitante esperienza, rendendo possibile mettere in piedi questa che più che una rivista è stata un’avventura. Avrei voluto spendere per ognuno di loro delle meritate parole e qualche ricordo, ma il tempo è tiranno e lo spazio deve rimanere leggero, per cui ho deciso che lo farò in seguito, forse in un libro se vi riesco. Ringrazio anche tutti gli artisti che hanno partecipato con una loro opera, intervento o altro almeno una volta alla rivista ARIA o a uno degli eventi da questa curata. Per i più pignoli in cerca di cavilli rendo noto che la lista dei nomi dei partecipanti rispetta un ordine misto. Un elenco formatosi durante la spunta per creare la presente lista in una sorta d’apparizione nei vari elenchi e indici, in ordine alfabetico (escluso il numero zero dove l’ordine alfabetico non è stato rispettato e per questo è inserito alla fine) dei vari numeri di ARIA e relativi eventi in successione temporale. Spero di non aver dimenticato nessuno, eventualmente me ne scuso.
‒ Pino Boresta
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