Frammenti e limiti. Gli esiti di St. Moritz Art Masters
L’Engadina inaugura la decima edizione di St. Moritz Art Masters. Rispetto agli anni passati, le opere d’arte sembrano un pretesto, un innesco sconnesso. Una serie di esposizioni, instaurate in sedi pubbliche e gallerie private, dialogano faticosamente all’interno di una valle culturalmente poco propensa a istituzionalizzare il contemporaneo, all’apparenza sempre più distante.
“Con la mostra alla chiesa protestante, dal titolo, Ten years of SAM, a cura della Galleria Robilant+Voena, abbiamo cercato di fornire un’idea su che cosa sia stato fatto negli ultimi dieci anni”, afferma Marco Voena, durante l’inaugurazione della decima edizione di St. Moritz Art Masters, al piano terra dell’Hotel Kempinski, ai piedi di St Moritz. “Abbiamo selezionato artisti che sono stati esposti in mostre monografiche, o artisti che hanno preso parte a collettive negli anni precedenti. Ma abbiamo anche voluto mettere in mostra grandi artefici come Richard Long che, di persona, ha qui ricevuto il premio Cartier; senza dimenticare Schnabel, Clemente, Vik Muniz e Fontana. L’idea era quella di esporre una sorta di viaggio a ritroso sugli ultimi dieci anni di presenze a St. Moritz Art Masters, anche se, ovviamente, non abbiamo potuto dare nuova visibilità a tutti quanti”.
UNA RASSEGNA FRAMMENTATA
Il percorso espositivo a guida dell’intera edizione, nonostante il lavoro di Tom Sachs (King Heroin, 2011), a guardia dell’ingresso della centralissima chiesa protestante e, allestito proprio di fronte, un telo stampato di Wim Delvoye (Missing: 2 year old German sheperd. Answers to Cognac, 1998) non costituisce un arcipelago comprensivo oppure critico sull’operato dei SAM, quanto, piuttosto, sembra fornire un’immagine frammentata.
Una mostra che, al di fuori di se stessa, nonostante la qualità dei lavori esposti in spazi esterni (soprattutto nella project room dedicata a David Hockney presso la galleria Robilant+Voena e fra le pareti della Karsten Greve Gallery con alcune foto di Roger Ballen), non riesce a fare emergere un’intenzionalità, uno sguardo dall’alto, un’identità di alcune mostre riunite nel nome di questa decima edizione. L’assenza di un team curatoriale, invitato gli scorsi anni, ha influito negativamente su una narrazione che, forse, almeno quest’anno, avrebbe dovuto mostrarsi più orgogliosa, celebrativa e, anche, referenziale.
LIMITI E RISULTATI
“Sono oltre cento gli artisti esposti in questi anni, ma, data la grande difficoltà logistica, propria di St. Moritz” ‒ spiega nuovamente il gallerista Marco Voena ‒ “abbiamo dovuto selezionare i lavori più facilmente raggiungibili, con prestiti provenienti da gallerie e da collezioni private. La città non possiede una kunsthalle e negli anni abbiamo ritrovato, proiettato un’idea di “white cube” nella chiesa protestante, usata anche d’inverno. Il vero problema è che i prestiti di opere d’arte risultano difficoltosi perché lo spazio non possiede le corrette caratteristiche tecniche richieste dagli standard museali”.
Questo fattore, però, non sembra interferire con fotografie, dipinti e sculture a parete esposti nella palestra della scuola (Schoolhouse Gym) con la Montblanc Cutting Edge Art Collection; oppure all’interno dello spazio fuori dal tempo del Forum Paracelsus, che circonda l’arte del vetro di Venini e due dipinti di Vladimir Velickovic. Nonostante le sculture di Dusan Dzamonja al Kulm Hotel; nonostante i tributi fotografici al bianco e nero hollywoodiano di Lindbergh e alle vedute africane di Florian Wagner; e nonostante il pranzo-espositivo all’Hotel Bernina, a Samedan, a cura della galleria Freitag 1830 (con lavori di François du Plessis, Tom Schmelzer, Joseph Marr, Nghia Nuyen, Sascha Berretz e David Koenig) la gemma dei SAM, di questo gioiello divenuto troppo vistoso, resta la personale di Markus Raetz, a Zuoz. Mostra allestita da Monica De Cardenas tra sculture e stampe a parete, perfettamente integrate con i segni architettonici del restauro conservativo apportato a un’antica chesa.
‒ Ginevra Bria
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