La moda guarda indietro. L’esempio di Kansai Yamamoto
Mentre gli effetti della crisi paiono sempre più deboli, il settore della moda si prepara a entrare nella stagione clou, in vista delle imminenti fashion week sparse per il globo. Nonostante la parola d’ordine sembri essere “contemporaneità”, un maestro giapponese del passato è un inaspettato punto di riferimento per i grandi designer di oggi.
Sono 63 i marchi presenti nel calendario di Milano Moda Donna che va in scena nel periodo compreso tra mercoledì 20 e lunedì 25 settembre. Il luna park dell’abbigliamento femminile primavera/estate 2018 sarà però già partito a New York dal 7 e a Londra dal 15 dello stesso mese: per concludersi il 4 ottobre a Parigi. 28 giorni di passerelle per centinaia di sfilate e migliaia di prototipi.
I segnali di ripresa economica intanto sembrano ormai arrivati ovunque e il settore tessile e dell’abbigliamento spera, con qualche ragione in più rispetto al recente passato. Il Met di New York sta dedicando una vasta e inusuale mostra a Rei Kawakubo, celeberrima maestra giapponese del fashion.
Bisogna però segnalare un altro grande – per quanto molto meno conosciuto ‒ maestro giapponese, Kansai Yamamoto. Niente a che fare con l’omonimo Yohji. Kansai ha cominciato a sfilare a Londra nel 1971, contemporaneamente a Issey Miyake ma addirittura dieci anni prima di Kawakubo e Yohji, ospiti nel 1981 e a Parigi, a cui viene poi riconosciuto il ruolo di caposcuola della rivoluzione giapponese delle forme.
Perché ritornare a parlare di Kansai, dunque? Perché a sorpresa la sua estetica sta influendo su fashion designer oggi stimatissimi come Riccardo Tisci, Alessandro Michele, Nicolas Ghesquière ad esempio.
LE INFLUENZE DI KANSAI
Forse è difficile ricordare immediatamente le sue stampe di ispirazione asiatico-pop o il suo uso di colori sovrasaturi, ma certamente non alcune spettacolari mise costruite da Kansai per David Bowie. Il cantante inglese ha cominciato a indossare abiti femminili nel suo tour “Ziggy Stardust” del 1972, per poi continuare la collaborazione per altri spettacoli. La celebre, spettacolare ma tutt’altro che pratica tuta Space Samurai indossata da Bowie era basata sugli hakama, pantaloni maschili tradizionali giapponesi abbinati al kimono.
Ma non è per onorare Bowie che si guarda oggi a Kansai. Nicolas Ghesquière per la collezione resort 2018 di Louis Vuitton, presentata a Kyoto, ha chiesto proprio a Kansai una serie di disegni che ha poi si sovrapposto tanto ad accessori che ad alcuni abiti ricoperti con la caricatura di un tradizionale guerriero giapponese. La scelta di colori flamboyant, certe texture e pattern di Kansai sono tracce evidenti nelle più recenti collezioni di Gucci.
Riccardo Tisci ha modellato una collezione maschile di Givenchy con le grafiche di totem polari che hanno sconcertanti somiglianze con i volti sporgenti ispirati alle maschere yakko del teatro giapponese, cifra riconoscibile di Kansai. L’ispirazione dichiarata dietro la collezione pre-fall di Valentino del 2016 sono state le grafiche di Elio Fiorucci, ma una sezione della stessa non lasciava dubbi circa l’ispirazione a Kansai.
VOGLIA DI EVASIONE
Perché, dunque, tutta questa rinnovata attenzione? Forse una spiegazione c’è. Mentre la moda di Kawakubo e Yamamoto (Yohji) è sempre stata celebrale e in qualche modo punitiva, quella di Kansay punta a un sentimento che il vocabolo (difficilmente traducibile nella nostra lingua) escapism racchiude bene. Un modo di immaginare il futuro senza troppi traumi, appoggiandosi sulle bellezze del passato, senza barriere di genere per di più. Il glam rock è stato del resto una versione edulcorata e transgender del rock puro e duro dell’epoca precedente, un modo per sognare piuttosto che combattere una guerra già persa in partenza, un atteggiamento di ripiegamento e allontanamento dai veri problemi veri dell’esistenza.
‒ Aldo Premoli
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