Arte Africana. Dal tradizionale al contemporaneo
La mostra intende creare un dialogo fra le sculture lignee dell’arte africana tradizionale e le opere pittoriche e scultoree dei maggiori artisti africani contemporanei. In esposizione una quarantina di sculture e una quindicina di pitture su tela: eleganti maschere, statue di eroi e divinità, affascinanti feticci e pregevoli acrilici.
Comunicato stampa
La mostra intende creare un dialogo immaginario fra le enigmatiche sculture lignee dell’arte africana tradizionale, a cavallo tra ottocento e novecento, e le opere pittoriche e scultoree dei maggiori artisti africani contemporanei. In esposizione una quarantina di sculture e una quindicina di pitture su tela: eleganti maschere in legno, statue di eroi e divinità, affascinanti feticci e pregevoli acrilici su tela.
In “Arte Africana” saranno illustrati i grandi temi dell’arte africana tradizionale, in un sottile equilibrio tra aspetto etnografico e componente estetico - formale. Le sculture di arte africana tradizionale presenti fanno parte della ricca collezione dei curatori della mostra: Anna Alberghina e Bruno Albertino, medici torinesi, infaticabili viaggiatori, noti studiosi e collezionisti d’arte africana.
Gli artisti africani contemporanei provengono dall’Africa Orientale, in particolare da Tanzania e Kenya: George Lilanga, Omari Saidi Adam, Mustafa Yusufu, Issa Saidi Mitole, Maurus Michael Malikita, Rubuni Rashidi, Hasani Thabiti Mchisa, Mohamed Charinda, Cartoon Joseph. Una piccola ma interessante selezione di un vivace movimento artistico in continua espansione.
“Arte Africana. Dal tradizionale al contemporaneo” sarà visitabile, liberamente e gratuitamente, nelle sale del M.A.C.I.S.T. Museum di Biella dal 16 settembre al 29 ottobre 2017.
(Marco Bertazzoli, 2017)
Introduzione (a cura di Anna Alberghina e Bruno Albertino):
Produzione plastica e scultorea dell’Africa a sud del Sahara, frutto d’innumerevoli culture, etnie e tradizioni religiose, l’arte africana, proprio nell’accordo profondo tra percezione universale e realizzazione particolare, ha trovato la sua sublimazione in una visione non solo etnografica ma soprattutto estetico - formale. L’ingresso al Metropolitan Museum of Modern Art di New York e al Pavillon des Sessions del Louvre di Parigi nel 2000, ha segnato la definitiva consacrazione dell’arte africana nel mondo occidentale. Essa è caratterizzata da visione plastica e percezione immediata dello spazio. In particolare, la maschera è l’estasi immobile del volto, una fissità che esprime un’estrema e pura espressione liberata da ogni contestualizzazione e condizionamento.
É proprio nella ricerca di adeguatezza fra trascendente e realtà concreta che prendono vita e si concretizzano le sculture africane. Così la scultura diventa il supporto della forza vitale (Nyama) e lo stile è la visione comune a tutte le tribù della realtà sovrasensibile filtrata attraverso la personalità dell’artista. Una simile arte sopravvive solo sino a quando esiste la fede in questa visione del mondo, altrimenti nascono forme artistiche distorte, finalizzate al mercato turistico, prive di forza e di vita. Tuttavia, ancora oggi, come già scriveva nel 1915 lo storico dell’arte Carl Einstein nel primo vero testo di estetica dell’arte africana “Negerplastik”, è valida l’osservazione che “a nessuna arte l’europeo si accosta con altrettanta diffidenza come all’arte africana. La sua prima reazione è di negare che si tratti di arte… Tale distanza e i pregiudizi che ne derivano rendono difficile ogni giudizio estetico, anzi lo rendono impossibile, in quanto un tale giudizio presuppone in primo luogo un processo di avvicinamento”.
Attraverso il collezionismo, a partire dalle antiche sculture, si sono creati degli oggetti rivestiti di un nuovo significato. Si sono creati gusti estetici e si sono attribuiti valori artistici a seconda delle epoche e dei gruppi di collezionisti, studiosi e mercanti d’arte: dal classico all’astratto, dalle raffinate maschere ritratto delle popolazioni Baoulé e Dan della Costa d’Avorio alle maschere cubiste dei Songye e a quelle straordinariamente astratte dei Tèké, entrambe della Repubblica Democratica del Congo.
Naturalismo e astrattismo, patine di colori minerali e vegetali naturali opposte a patine lucide, volti umani talvolta abbinati a figure zoomorfe fino ad arrivare allo zoomorfismo puro: questa la varietà formale infinita delle maschere africane. Esiste comunque un divario tra l’atteggiamento mentale dell’artista e quello dello storico dell’arte. I giudizi su di un’opera sono frutto del gusto personale e sono condizionati dal bagaglio culturale dello storico, che spesso non consentono di valutare correttamente l’artista in quanto tale e la comunità per la quale l’oggetto d’arte è stato creato.
Comunque mai “l’arte per l’arte”, la scultura in Africa assolve un compito magico - religioso sempre ben preciso, dove l’artista è considerato un semplice esecutore, e non un creatore e pertanto rimane anonimo. Le sculture e le maschere in particolare sono strumenti per stabilire un contatto con le forze dell’aldilà e gli antenati ne sono intermediari. Si tratta di culture dominate dalla lingua parlata e dalle immagini e quasi totalmente prive di scrittura.
La scultura africana è caratterizzata da frontalità, simbolismo e gerarchizzazione tra le diverse parti del corpo. Mentre il modello “one tribe - one style” è fortemente criticabile quando si pensa che le suddivisioni in tribù e i confini territoriali sono stati spesso frutto di forzature politico-coloniali e inoltre scultori, fabbri, fonditori sono itineranti e quindi gli stili misti sono molto diffusi. É proprio dalla fusione di questi aspetti estetici e magico - religiosi che nasce nel collezionista e nello studioso di ieri e di oggi la passione per l’arte e le maschere d’Africa.
Nei primi anni del novecento Picasso, Matisse, Modigliani, Brancusi e altri rivoluzionari artisti europei fecero entrare rumorosamente l’Arte tribale nella cultura occidentale e i grandi movimenti artistici del ventesimo secolo ne furono fortemente influenzati (Cubismo, Espressionismo, Pop Art, Graffitismo).
L’Arte contemporanea africana comincia a prendere forma in Europa tra gli anni venti e gli anni cinquanta in primo luogo con artisti nati e formati in Africa e successivamente emigrati in occidente. Nascono società africane di cultura e si espandono in Europa e negli Stati Uniti; la visibilità di questi artisti africani viene quindi promossa da congressi, festival, mostre, esposizioni ed eventi sempre maggiormente frequenti.
Fino agli anni settanta le opere contemporanee degli artisti africani acquistano lentamente valore culturale anche se ancora non economico, ma è la famosa esposizione “Le Magiciens de la Terre” al Centro Pompidou di Parigi, nel 1989 a cura di Jean-Hubert Martin - la mostra più citata, applaudita, criticata, con più di cento artisti da tutto il mondo, tra cui alcuni africani - che, forse ben al di là dei propri intenti, diviene la pietra miliare per l’arte degli altri mondi e per quella africana che sarà sempre obbligata a farci più o meno direttamente riferimento.
Dopo “Le Magiciens de la Terre” sempre più frequenti sono state le esposizioni e le mostre di arte contemporanea africana in Africa, in Europa e poi in tutto l’Occidente.
Nella mostra sono rappresentati i grandi temi dell’arte africana tradizionale letti mantenendo un sottile equilibrio tra l’aspetto etnografico e quello estetico-formale. Gli artisti contemporanei africani presenti con le loro opere provengono dall’Africa Orientale e sono una piccola selezione di un movimento artistico in continua espansione. Saranno presenti opere di George Lilanga, Omari Saidi Adam, Mustafa Yusufu, Issa Saidi Mitole, Maurus Michael Malikita, Rubuni Rashidi, Hasani Thabiti Mchisa, Mohamed Charinda e Cartoon Joseph.
La nostra eclettica collezione origina dal condiviso interesse per l’arte e l’antropologia. Da un lato le maschere, le statue, i feticci, gli amuleti, gli oggetti d’uso, tutti accomunati da eleganza espressiva ed estremo rigore formale, dall’altro lo studio delle popolazioni, delle cerimonie, dei rituali, delle acconciature, delle decorazioni corporee con il medesimo valore estetico e sacrale: due letture intrecciate e indipendenti che forniscono un quadro e una visione unitaria e accorata.
La nostra raccolta si compone attualmente di circa 400 pezzi nei vari materiali utilizzati nell’arte tradizionale africana. Gli oggetti lignei, appartenenti a tutte le principali etnie del continente, datano dalla metà dell’ottocento alla prima metà del novecento. Gran parte delle opere proviene da collezioni private, aste e gallerie italiane, francesi, belghe e statunitensi. La parte restante è il frutto della ricerca effettuata di persona sul campo.
(Anna Alberghina - Bruno Albertino, 2017)
Note biografiche
Anna Alberghina
Nata a Torino nel 1960,dove vive e lavora come medico. Da sempre affascinata dalle culture lontane, approfondisce lo studio delle lingue straniere e si appassiona al fotoreportage di viaggio. L'interesse per l'etnografia e le arti primitive la spinge a scegliere destinazioni ove poter incontrare popoli che abbiano conservato usi e tradizioni ancestrali. Il suo stile fotografico è caratterizzato da una predilezione per il ritratto con particolare attenzione all'universo femminile. Collabora con svariate riviste di viaggio ed associazioni culturali.
Nel febbraio 2013 pubblica “African beauties”, un libro fotografico edito da Neos Edizioni, che presenta cento immagini di donne appartenenti ai gruppi etnici maggiormente minacciati dalle trasformazioni sociali. In questa occasione presenta l’omonima mostra presso la Sala del Conte Verde a Rivoli (Torino). Dal novembre 2014 a gennaio 2015 presenta, presso la Galleria Paola Meliga di Torino, la mostra fotografica personale “Vanishing Africa”. Nel 2014 pubblica con Neos Edizioni il libro “Maschere d’Africa” e nel 2016 pubblica, con lo stesso editore, il libro “Mama Africa”. Nel 2015 partecipa alla stesura del libro "Lo spirito della maschera" edito dall'associazione Italia - Asia " G.Scalise" Milano.
Ha curato le seguenti mostre di Arte Africana: “ Essere ed Apparire - volti e sculture dell’Africa tribale”, Torino, Palazzo Bertalazone di San Fermo, dicembre 2012 - gennaio 2013; “Africa: alle origini della vita e dell’arte”, Carmagnola, Palazzo Lomellini, settembre - novembre 2013; "African Style", Palazzo Salmatoris a Cherasco (Cuneo), dal 17 ottobre 2015 al 17 gennaio 2016. Ha partecipato alle mostre “Africa dove vive lo spirito dell’arte” (Rivoli, 2016) e “ Africa la grande madre” (Oderzo di Treviso, 2016-2017).Ha partecipato alla mostra “Modigliani e l’art nègre”a Spoleto in occasione del Festival dei due Mondi, dal 22 giugno al 30 luglio 2017,organizzata dall’Istituto Amedeo Modigliani.
Da 25 anni viaggia in tutto il mondo. Ad oggi ha visitato più di 70 paesi extraeuropei.
Bruno Albertino
Medico ed instancabile viaggiatore. Nato a Carmagnola nel 1960, si laurea a Torino in Medicina e Chirurgia, nel 1985 . Viaggia dall’età di 17 anni, prima in Italia ed Europa, quindi nel resto del mondo. Durante i suoi viaggi ha maturato un vivo interesse per le arti primitive, con particolare riguardo all’Arte Africana di cui è collezionista e studioso.
Ha curato la mostra “Le figure di maternità nell’arte tribale africana” presso la libreria Diari di Viaggi di Torino, nel Novembre 2012. Nel dicembre 2012 è stato curatore della mostra “Essere ed apparire - volti e sculture dell’Africa tribale” a Torino, Palazzo Bertalazone di San Fermo. Ha curato la mostra “Africa: alle origini della vita e dell’arte”, Carmagnola (Torino), Palazzo Lomellini, settembre - novembre 2013. Da novembre 2014 a gennaio 2015 ha curato a Torino la mostra fotografica e di Arte africana “Vanishing Africa”. Nel 2014 pubblica con Neos Edizioni il libro “Maschere d’Africa” e nel 2016 pubblica, con lo stesso editore, il libro “Mama Africa”. Ha curato la mostra "African Style", presso Palazzo Salmatoris a Cherasco (Cuneo), dal 17 ottobre 2015 al 17 gennaio 2016. Ha partecipato alla realizzazione del libro "Lo spirito della maschera" edito dall'associazione Italia - Asia "G.Scalise", Milano 2015. Ha partecipato alle mostre “Africa dove vive lo spirito dell’arte” (Rivoli 2016) e “Africa la grande madre” (Oderzo di Treviso, 2016-2017).Ha partecipato alla mostra “Modigliani e l’art nègre”a Spoleto, in occasione del Festival dei due Mondi dal 22 giugno al 30 luglio 2017, organizzata dall’Istituto Amedeo Modigliani.
Ha visitato i principali musei etnografici e di arti primitive del mondo e mantiene relazioni con alcuni grandi protagonisti dello studio e del collezionismo dell’Arte Africana come Ezio Bassani, Claude Everlé e Tomas D.W. Friedmann.
Anna Alberghina e Bruno Albertino a Mana Pools, Zimbabwe.
M.A.C.I.S.T. Museum
Via Costa di Riva 11, Biella (13900)
www.macist.it
[email protected]; +39 393 3526412 - [email protected]; +39 338 8772385
Il “Museo d’Arte Contemporanea Internazionale Senza Tendenze”, nasce da un’idea del maestro Omar Ronda, dalla sensibilità di alcuni collezionisti e molti artisti di fama internazionale che hanno deciso di donare e di mettere a disposizione le proprie opere con il fine di sostenere le attività di prevenzione, cura e ricerca della Fondazione Edo ed Elvo Tempia, da ben 36 anni impegnata nella lotta contro i tumori.
Per questo motivo il MACIST - essendo stato realizzato a beneficio di un ente morale di eccellenza sul territorio - si definisce come museo “etico e democratico”. La sfida etica che si pone il MACIST è quella di valorizzare e far conoscere l’arte contemporanea mondiale, senza tendenze e nelle sue migliori espressioni qualitative, sostenendo al contempo le attività di ricerca oncologica. In tal senso i visitatori del Museo rivestono il ruolo di destinatari di cultura e allo stesso tempo di protagonisti attivi nella lotta contro il cancro. Il MACIST si definisce inoltre come realtà “democratica” per due motivazioni: innanzitutto l’accesso agli spazi museali è completamente libero e gratuito sia per le collezioni permanenti che temporanee; in secondo luogo poiché non è presente una tendenza artistica preponderante tra le opere della collezione permanente. La collezione permanente costituisce un’interessante selezione delle più importanti correnti artistiche contemporanee dagli anni sessanta a oggi: Pop Art, Noveau Réalisme, Avanguardie e Avanguardie storiche, Arte povera, Neoespressionismo, Minimalismo, Transavanguardie, Arte concettuale, Nuovo Futurismo, Iperrealismo, ecc.
Il MACIST è ubicato in una posizione strategica: a Biella, nel rione Riva, all’interno della cosiddetta ”isola della creatività”, a due passi da via Italia, principale arteria del centro città. Lo spazio museale, inaugurato il 14 marzo 2015, è accessibile, liberamente e gratuitamente, nei giorni di sabato e domenica dalle ore 15 alle 19,30, esclusi luglio e agosto.
L’edificio che ospita il Museo, sapientemente restaurato, presenta una superficie superiore ai 700 m2 e si trova all’interno dell’antica “Fabbrica dell’Oro” (1901) di Giuseppe Gualino (padre del più noto Riccardo, grande imprenditore biellese e collezionista d’arte), esempio di archeologia industriale e importante punto di riferimento per quanto riguarda l’arte orafa nell’Italia dei primi del novecento. Gli spazi si compongono innanzitutto di un’esposizione permanente, che raccoglie 130 opere e installazioni di 120 artisti italiani e internazionali (questi ultimi provenienti da ben ventitre paesi diversi).
Il Museo si compone inoltre di una sala per proiezioni video e di una parte destinata esclusivamente a mostre temporanee. Dall’apertura a oggi sono state realizzate una decina di importanti mostre, tutte di grande successo di critica e pubblico: “Andy Warhol & Company”; “Plastica italiana”; “Michelangelo Pistoletto. Opere storiche dal 1959”; “Umberto Mariani: Prima del Piombo. Opere storiche”; “Luca Alinari. Sconosciuti anni Settanta”; “Bertozzi & Casoni. Grandi Ceramiche”; “Omaggio a Plinio Martelli”; “Ugo Nespolo. Opere storiche”, “Robert Rauschenberg - XXIV Tavole per l’Inferno di Dante”.
La direzione artistica e la presidenza sono affidate a Omar Ronda e a Philippe Daverio, presidente del comitato d'onore/collegio dei saggi. Il curatore del Museo è Marco Bertazzoli.