Il balletto delle responsabilità: documenta 14 chiude con un acceso dibattito su budget e libertà
Secondo la stampa internazionale il progetto del direttore artistico Adam Szymczyk avrebbe sforato il budget di 7 milioni. Secondo il gruppo di lavoro ci sarebbe di mezzo la politica e una non reale condivisione del progetto. Chiude tra le polemiche l’edizione 14. Ma anche con una riflessione sul format delle grandi mostre e sulla libertà.
Una settimana di passione per documenta 14 e il suo staff. Sarà il progetto disseminato tra due nazioni e due città – Atene, in Grecia e Kassel, casa madre, in Germania –, saranno i progetti partecipativi nati per unire le due nazioni, o il corpulento staff curatoriale: sta di fatto che la quinquennale guidata dal curatore polacco Adam Szymczyk, che chiude i battenti il 17 settembre 2017, ha dato da tribolare fino all’ultimo giorno. La mostra sarà ricordata per molte cose: è stata la prima a fuoriuscire dai confini della Germania, inaugurando tra due paesi con una relazione politica ed economica estremamente difficile; alcuni dicono che è stata la documenta più bella, altri la più brutta (anche noi eravamo poco convinti), alcuni ancora la più difficile per le non poche proteste, furti, manifestazioni, polemiche – come quelle nate per la performance, poi cancellata, di Franco Berardi Bifo. Sicuramente sarà ricordata per essere stata la più costosa e problematica.
LA PRESUNTA BANCAROTTA
Stando al quotidiano tedesco HNA, la mostra avrebbe rischiato la bancarotta, sforando il budget di 7 milioni di euro. Sarebbero intervenuti, per sanare il buco, il land dell’Assia e la città di Kassel, con una copertura di 3,5 milioni ciascuno. I costi maggiori, per un’edizione con un budget già di 37 milioni di euro, sarebbero, come è ovvio, dovuti alla decisione di anticipare la mostra con la tanto discussa presentazione ateniese Learning from Athens: spedizioni, viaggi, bollette, addirittura le didascalie in marmo, avrebbero poi fatto il resto. La quinquennale 2017 si è guadagnata così il titolo della più costosa della storia di documenta: l’opulenta mostra del 2012 curata da Carolyn Christov Bakargiev sarebbe costata, infatti, solo 24,5 milioni di euro, attirando 900.000 visitatori. L’articolo ha naturalmente suscitato l’interesse dalla stampa internazionale e la subitanea risposta del gruppo curatoriale che ha firmato un’accorata lettera aperta collettivamente.
LA DICHIARAZIONE DEI CURATORI E LA BALLATA DELLE RESPONSABILITÀ
“Abbiamo letto con sorpresa l’articolo pubblicato da HNA. Il giornale presenta la propria opinione come fatti oggettivi, reiterando la speculazione e le mezze verità, dipingendo Adam Szymczyk e Annette Kulenkampff, il CEO di documenta, come responsabili di una imminente bancarotta. Nessuno però ha verificato con noi la realtà dei fatti, né ha cercato di dipingere il quadro più complesso della situazione”, spiegano. “La dimensione e i contenuti del progetto sono stati presentati da Adam Szymczyk nel 2013, il concept di una mostra tra Atene e Kassel è stato chiaramente comunicato a tutte le parti responsabili, anzi è stato proprio questo concept a convincere tutti della bontà del progetto del direttore artistico”. Al sostegno apparentemente mostrato, tuttavia, non sarebbe seguito un aggiustamento del budget, rivisto, secondo i curatori in maniera poco significativa, nel 2016, lasciando, nonostante il doppio impegno preso, una cifra più o meno simile a quella stanziata del 2012 a coprire il tutto.
GRANDI MOSTRE E TERRITORIO: INDOTTO CONTRO LIBERTÀ D’ESPRESSIONE
“In uno spirito di riflessione collettiva, crediamo che sia il tempo di porre la questione del valore della produzione di queste mega-mostre. Vogliamo denunciare il modello di sfruttamento per il quale gli stakeholder desiderano produrre “la mostra più importante al mondo”. L’aspettativa di un modello di successo, di crescita economica non solo genera una condizione di sfruttamento del lavoro, ma compromette anche la possibilità che la mostra rimanga un luogo di azione critica e sperimentazione artistica. Come si può misurare la produzione del valore di documenta?” Il format delle “grandi mostre” pone quindi l’arte in una posizione ancillare rispetto ai temi dell’indotto e delle grandi mostre? Sempre secondo il gruppo di lavoro, che invoca la solidarietà del mondo dell’arte, l’intervento della stampa sarebbe, inoltre, conseguente ad una spinta dei politici che avrebbero raccontato una mostra sull’orlo del fallimento per poi presentarsi come salvatori. “La libertà”, concludono i curatori, “è qualcosa che dobbiamo sostenere. Quindi chiediamo a tutti, coinvolti o meno in questa controversia, di mostrare solidarietà con noi nel difendere i valori di questa mostra libera, critica e sperimentale”.
NUOVI PROGETTI A RISCHIO
Se come dicono i curatori il tema dell’espansione di documenta 14 è stato condiviso solo idealmente, ma non economicamente e finanziariamente, diversi nuovi progetti, – in questo scenario poco armonioso e di rimpallo delle responsabilità, in cui i rapporti di fiducia potrebbero venire meno – potrebbero essere a rischio, Tra questi soprattutto la tappa africana della manifestazione prevista a Luanda, capitale dell’Angola, nel 2018. La mostra, nelle comunicazioni rilasciate la scorsa estate, ruoterebbe intorno al lavoro di 16 artisti di origine africana già coinvolti nelle due mostre di documenta 14, ad Atene e Kassel. Gli artisti sono Akinbode Akinbiyi, Sammy Baloji, Bili Bidjocka, Manthia Diawara, Theo Eshetu, Aboubakar Fofana, Pélagie Gbaguidi, iQhiya, Bouchra Khalili, Ibrahim Mahama, Narimane Mari, Otobong Nkanga, Emeka Ogboh, Tracey Rose, El Hadji Sy e Olu Oguibe.
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