Cento case popolari. Il racconto fotografico di Fabio Mantovani

In un momento storico in cui il tema delle periferie torna ad animare il dibattito politico, il saggio fotografico di Fabio Mantovani si sofferma sull’analisi di dieci grandi sistemi abitativi costruiti tra gli Anni Sessanta e Settanta del Novecento. L’analisi di Giulia Menzietti.

Poco prima dell’estate è uscito Cento case popolari, il libro che negli scatti di Fabio Mantovani immortala alcuni frammenti di vita all’interno delle grandi architetture residenziali dell’Italia dei primi Anni Sessanta e Ottanta. L’autore fotografa dieci sistemi abitativi ‒ tra i quali i celeberrimi Forte Quezzi di Genova (1956-1968), le Vele di Scampia (1962-1975), il Gallaratese di Milano (1967-1972), lo Zen di Palermo (1969-1973), il Corviale di Roma (1972-1982) ‒ e sceglie un materiale fortemente connotato, l’eredità di una stagione dell’architettura italiana che ha molto investito nel progetto, nella visione rinnovata della città e della società.

UN CORPUS DI GIGANTI DI CEMENTO

L’idea dell’abitare collettivo racchiusa in questi edifici è carica di ambizioni, e l’architettura doveva essere lo strumento per metterla in campo. Nonostante molte di queste opere abbiano poi “fallito” e in buona parte queste case si siano poi mostrate come condensatori di problemi sociali, si assiste oggi a un grande ritorno di interesse verso la produzione architettonica di quegli anni. Emerge infatti un’attenzione verso l’ultima stagione che credeva nel futuro, verso un uso delle immagini che torna in molti progetti contemporanei, e che si orienta anche alle diverse modalità con le quali si guarda, oggi, a questo tipo di patrimonio. Un corpus di giganti di cemento che ad alcuni racconta di gesta eroiche dell’architettura, ad altri parla di cronache e di disagi sociali, mentre per altri ancora si mostra completamente muto.

Fabio Mantovani. Cento case popolari (Quodlibet, 2017)

Fabio Mantovani. Cento case popolari (Quodlibet, 2017)

TRA MEGASTRUTTURA E MICROSTORIE

Nel saggio che introduce le fotografie, Sara Marini sottolinea come le “scene di normalità” immortalate dal fotografo riescano in qualche modo ad “addomesticare” questi grandi edifici, ad azzerare le grandi narrazioni di architetture nate per essere manifesti, trasformandole in banalissimi set della vita quotidiana. Ed è proprio nello spazio tra megastruttura e microstorie, tra eccezionale e ordinario, tra il cemento e l’effimero che si colloca l’obiettivo del fotografo; uno sguardo senza giudizi, che semplicemente descrive la banale routine di uno specifico lascito architettonico.
Le foto non rivelano mai il protagonista, se l’attore della scena sia la casa, il passante o la scena stessa. Ciò che emerge, in maniera abbastanza chiara, è la presenza di un disegno dell’architettura, che sembra riempire l’immagine più dell’edificio in sé. Gli scatti vengono sempre realizzati una volta dentro, non ci sono mai inquadrature panoramiche, viste complessive dell’intero complesso dall’esterno, e questo probabilmente anche per via delle dimensioni delle architetture di cui stiamo parlando. Anche se scovate dalla pancia, queste opere, nelle foto di Mantovani, colte in momenti intimi, all’interno di spazi nascosti, sembrano comunque parlare ad alta voce, lasciando sempre trapelare il grande respiro del disegno che le ha generate. Concepite come interi brani di città, queste case si mostrano nelle foto come dei veri e propri paesaggi, naturali, come nel caso delle “colline” innevate del Complesso di Cielo Alto di Cervinia (1974-1978), o artificiali, in quegli elementi strutturali del Quartiere Rozzol Melara a Trieste (1969-1982) che nelle foto di Mantovani sembrano delle vere e proprie infrastrutture stradali.

Quartiere ZEN, Palermo, 4 settembre 2013, ore 16,54. Photo © Fabio Mantovani

Quartiere ZEN, Palermo, 4 settembre 2013, ore 16,54. Photo © Fabio Mantovani

ARCHITETTURA PUBBLICA DEL SECONDO NOVECENTO

Paesaggi logici, razionali, disegnati da un credo fortissimo nell’immagine del progetto, e nel progetto come immagine di un pensiero, di un’ideologia, di una visione dell’abitare collettivo fortemente ideologica, forse utopica. Sono numerose le opere d’autore coetanee di quelle raccontate in questo libro, residenziali e non, che si trovano oggi in stadio di abbandono o parziale disuso, e che in qualche modo rivelano l’esito che quel pensiero dell’architettura ha avuto poi una volta realizzato. “Un viaggio in Italia”, scrive Piero Orlandi nella postfazione del libro, quello che Fabio Mantovani da qualche anno sta portando avanti e attraverso il quale “costruisce per sommatoria paesaggio italiano” specifico, quello dell’architettura pubblica del secondo Novecento, quello degli “Amabili resti d’architettura”, ovvero “dei frammenti e delle rovine dell’architettura della tarda modernità italiana” (Giulia Menzietti, Amabili resti d’architettura. Frammenti e rovine della tarda modernità italiana, Quodlibet, Macerata, luglio 2017).

Giulia Menzietti

Sara Marini (a cura di) ‒ Fabio Mantovani. Cento case popolari
Quodlibet, Macerata 2017
Pagg. 152, € 22
ISBN 9788822900791
www.quodlibet.it

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Giulia Menzietti

Giulia Menzietti

Giulia Menzietti è architetto, docente presso la Scuola di Architettura e Design Eduardo Vittoria di Ascoli Piceno, Università degli studi di Camerino. Dottore di ricerca all’interno del Programma Internazionale Villard D’Honnecourt dello IUAV di Venezia, ha partecipato a diversi progetti…

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