La tensione spirituale di Hans Hartung. A Perugia
Galleria Nazionale dell’Umbria, Perugia ‒ fino al 7 gennaio 2018. Quaranta lavori su carta e l’intera serie dei sedici polittici, per la prima volta esposta al pubblico. Da un figurativo stilizzato all’estremo passando per l’astrattismo colorato vicino a Miró e finendo con l’Action Painting, la città umbra omaggia Hans Hartung.
La città di Perugia è cornice preziosa al tormento di Hans Hartung (Lipsia, 1904 ‒ Antibes, 1989), che scelse la forma del polittico come affermazione della sacralità interiore della sua pittura, dove la linea di colore lascia spazio al frammento, sempre mantenendo una forte tensione emotiva.
Lasciata la Germania a seguito dell’elezione di Hitler al cancellierato, dopo un breve soggiorno alle Baleari si rifugiò nel 1934 a Parigi dove, quasi senza un soldo, ordinava da bere in un caffè, chiedendo anche carta e inchiostro; chiusi gli occhi, tracciava casuali strisce nere, seguendo la linea immaginaria dei suoi cupi pensieri. Un esercizio che per un po’ placava la sua angoscia, la quale però, puntualmente, si ripresentava. Nella sua vita, ha dovuto affrontare la malattia della moglie (la pittrice norvegese Anna-Eva Bergman, sposata nel ’29), il successivo divorzio, il ritiro del passaporto da parte dell’ambasciata tedesca, una prima esperienza nella Legione Straniera fra il 1939 e il 1940, la fuga in Spagna dopo l’invasione nazista e la prigione a Miranda del Ebro, il ritorno nella Legione Straniera nel 1943 e la perdita di una gamba in combattimento. Infine, un ictus lo colpì nel 1986. Sofferenza fisica e morale, che ha trovato specchio espressivo nell’arte.
UNA PITTURA VISCERALE
Collera, rivolta, entusiasmo, passione. Sgorgano dalle tele di Hartung come sangue da una ferita, se ne avverte il ruggito nella cupezza dei colori, nella forza dei loro contrasti, nella striscia di tempera acrilica lanciata sulla superficie come un grido contro un’amante lontana. La vita sembrava sfuggirgli di mano, o almeno ridergli in faccia in maniera beffarda, per questo resta celebre la sua affermazione: “L’art me paraît être un moyen de vaincre la mort”. Fu il suo ultimo messaggio prima di spirare, anziano e malato, nel tepore invernale della Costa Azzurra.
I polittici, che sono divenuti la sua cifra, dialogano con quelli di Duccio di Buoninsegna, Gentile da Fabriano, Beato Angelico (nella collezione della Galleria), condividendo la spiritualità, sacra in un caso, laica nell’altro, ma comunque profonda. Vivo, Hartung, nonostante tutto; una vita affidata al colore, che diviene strumento di lotta, sparato sulla tela come un proiettile.
L’ACTION PAINTING
Sul finire degli Anni Ottanta, nell’ultimissima fase della carriera, Hartung sperimenta una propria versione della corrente americana ideata da Jackson Pollock: nascono reminiscenze di elementi naturali o paesaggistici, dalle onde del mare agli assolati paesaggi siciliani. Queste tele contengono la grandezza barocca di una storia e di una natura che tanto affascinarono Hartung quando, negli Anni Venti, visitò la Sicilia, ammirando l’Etna e i templi della Magna Grecia, e trovando forse anche un momento di pace.
‒ Niccolò Lucarelli
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati