Aleksander Velišček – Difetto Moderno. Modern flaw
A cura di Francesca Lazzarini, la mostra prende il titolo da una novella giovanile di Italo Svevo, la cui figura, immortalata in tre ritratti, è il punto di partenza di un percorso espositivo che si articola attraverso le immagini di pensatori e intellettuali del mondo moderno e contemporaneo.
Comunicato stampa
A Trieste, dal 7 ottobre al 9 dicembre 2017, la galleria MLZ Art Dep presenta la personale del pittore sloveno Aleksander Velišček: Difetto Moderno | Modern flaw.
A cura di Francesca Lazzarini, la mostra prende il titolo da una novella giovanile di Italo Svevo, la cui figura, immortalata in tre ritratti, è il punto di partenza di un percorso espositivo che si articola attraverso le immagini di pensatori e intellettuali del mondo moderno e contemporaneo. Sebbene il testo di Svevo sia andato perduto e non se ne conosca il contenuto, il titolo evoca in modo diretto la poetica dell’autore triestino e la sua critica alla società dell’epoca, a cavallo tra Otto e Novecento.
I tre ritratti di Svevo, realizzati a partire da altrettante fotografie trovate dall’artista sul web e verosimilmente scattate nel corso della stessa sessione fotografica, presentano il volto dello scrittore ripreso da diversi punti di vista, come in un tentativo di coglierne l’interiorità partendo da un’osservazione della figura, delle sue possibili sfaccettature. Oltre a ricalcare l’attenzione analitica riservata da Svevo agli individui, “con le tre teste - osserva Aleksander Velišček - guardo a un passato nel quale posso ancora trovare lezioni sul mondo”.
La condanna espressa nei romanzi di Svevo verso la società borghese capitalista e verso la passività dell’essere umano, che in essa è sempre più schiacciato, riecheggia nell’opera dell’artista sloveno che, attraverso la plasticità della pittura esalta l’importanza del pensiero e allo stesso tempo denuncia una “costante ricaduta nell’oggetto”. Se la matericità pittorica conferisce spessore ai volti dei grandi pensatori del nostro tempo - da Max Weber a Michel Foucault, da Noam Chomsky a Giorgio Agamben, passando tra gli altri per Simone de Beauvoir, Francis Bacon e Boris Mikhailov - allo stesso tempo amplifica la natura oggettuale dei tondi e degli ovali di legno o cartone sui quali posa, così come il fatto che questi siano appoggiati come veri e propri oggetti su delle mensole che corrono lungo i muri della galleria.
Queste opere sono raccolte nella serie “gullivers”, vocabolo che in Nadsat, la lingua inventata da Anthony Burgess nel romanzo Arancia Meccanica, significa testa, cervello e, transitivamente, pensiero. Se in questa serie la plasticità è espressa attraverso la matericità di pittura e supporti, che contraddistingue molta opera di Velišček, nei tre ritratti trova espressione nel cambio del punto di osservazione, mentre la scelta di materiali tradizionali - olio su tela - rimanda all’epoca del soggetto che i quadri rappresentano. Lo stesso vale per il ritratto di James Joyce, anch’esso realizzato appositamente in occasione della mostra. Tra i più significativi autori del tempo e forse di tutti i tempi, nonché insegnante di Inglese di Svevo a Trieste, Joyce è colui che ne ha facilitato la fama all’estero, incoraggiando l’amico scrittore, che fino a quel momento non aveva riscontrato successo di pubblico e critica in Italia, a perseverare nel suo lavoro letterario.
Incasellate in strutture geometriche simboleggianti i meccanismi sociali che regolano la vita degli individui, le figure rappresentate in mostra sembrano far echeggiare le loro voci nello spazio della galleria, facendo rimbalzare da un’icona a un’altra, da una parete all’altra, le domande che questi uomini e donne hanno saputo sollevare nel tempo mettendo in discussione il nostro mondo. Così facendo la mostra di Aleksander Velišček diventa un monito verso il principale Difetto Moderno: quello di anteporre l’oggetto al pensiero.
Aleksander Velišček (1982, Šempeter pri Gorici, Slovenia) vive e lavora tra Nova Gorica e Milano. Pittore formatosi all’Accademia di Belle Arti di Venezia, è stato artista in residenza alla Fondazione Bevilacqua La Masa a Venezia, Viafarini a Milano, Dolomiti Contemporanee a Borca di Cadore e Cité Internationale des Arts a Parigi. Nel 2013 ha ricevuto il Premio Mariuccia Paracchi Testori. Tra le sue più recenti mostre personali e collettive in spazi museali: gullivers, a cura di Aurora Fonda (Galerija Loža, Capodistria, 2017), seminario La costruzione di un errore (Teatrino di Palazzo Grassi, Venezia, 2017), Padiglione dell’Albania alla Biennale Architettura di Venezia 2016, Shit & Die, a cura di Maurizio Cattelan, Myriam Ben Salah e Marta Papini (Palazzo Cavour, Torino, 2014). È co-fondatore del collettivo Associazione Fondazione Malutta.