Trent’anni in una mostra. Intervista a Luca Vitone
Il PAC di Milano celebra Luca Vitone, artista che ha costruito la sua carriera proprio nella città meneghina, prima di emigrare in Germania.
In occasione della Tredicesima Giornata del Contemporaneo, dedicata all’arte italiana,il PAC Padiglione d’Arte Contemporanea di Milano ‒ da lungo tempo senza un comitato scientifico ‒ dedica un’antologica a Luca Vitone, che ne ripercorre trent’anni di carriera. L’artista, genovese di nascita, ha costruito il suo percorso a Milano per poi, orfano della sua galleria ‒ lo storico spazio di Emi Fontana, aperto nel 1992 e chiuso nel 2009 con una mostra di Liliana Moro ‒ è emigrato a Berlino con la famiglia. Anche se rimane ancorato alla città dove ha ancora lo studio con il suo archivio.
Oltre al PAC, alcune sue opere saranno esposte nel complesso dei Chiostri di Sant’Eustorgio e l’installazione Wide City, che ha realizzato nel 1998 e che è stata acquisita dal Comune di Milano nel 2004 (ma mai installata) sarà allestita per la prima volta al Museo del Novecento. A pochi giorni dall’inaugurazione lo abbiamo intervistato.
Sei orgoglioso che il PAC, Padiglione d’Arte Contemporanea di Milano, renda omaggio ai tuoi trent’anni di carriera?
Quando è arrivato l’invito di Diego Sileo (co-curatore della mostra e curatore del PAC, N.d.R.), mi ha fatto molto piacere. È un bel riconoscimento, una dimostrazione di stima e una grande responsabilità visto che nel frattempo, oltre al PAC, si sono aggiunti i Chiostri di Sant’Eustorgio e il Museo del Novecento.
Non una città a caso, ma un luogo per te significativo. Una città, Milano, dove ti sei formato artisticamente, dove hai vissuto gran parte della tua vita, dove hai allacciato relazioni…
Beh sì, Milano è la città che mi ha accolto nel 1990 e in cui ho fatto base per vent’anni prima di trasferirmi a Berlino. E poi a Milano torno spesso per l’insegnamento in NABA e c’è ancora lo studio con il mio archivio.
È una mostra antologica. Nel corso della tua carriera hai realizzato moltissime opere. Come hai selezionato quelle in mostra?
La scelta è avvenuta chiacchierando con i curatori della mostra Luca Lo Pinto e Diego Sileo. Sì è pensato di partire proponendo un’opera seminale, degli esordi, riadattandola agli spazi del PAC, che, accompagnata con una inedita, pensata apposta per il luogo, diventasse involucro per ospitare altre opere. All’interno di questa scatola/spazio espositivo del PAC, ogni ambiente ospiterà un progetto di mostra.
Quali sono le opere che hanno segnato momenti di cambiamento, rinnovamento nel tuo percorso, mantenendo pur sempre una linea ben definita, riconoscibile?
Ci sono stati dei momenti, anni, in cui un’opera o una serie di opere hanno permesso al lavoro di prendere una certa direzione pur mantenendo, credo, una riconoscibilità di intenti. Galleria Pinta, Der unbestimmte Ort, Wide City e i monocromi sono alcune di queste.
Hai lasciato Milano per trasferirti a Berlino. Hai però mantenuto il tuo studio in città. In questi ultimi anni hai subito qualche influenza dal contesto in cui ti trovi a vivere?
Sicuramente, anche se a volte non me ne accorgo direttamente.
Hai sempre lavorato sulla stratificazione della storia (sociale, culturale) e sulla sua influenza sulle trasformazioni identitarie. Ci sono stati degli eventi nella Storia recente dai quali hai tratto ispirazione?
Dipende da cosa intendi per recente, anche se quel Storia maiuscolo probabilmente intende un recente non prossimo. Direi che Souvenir d’Italie e Invisibile informa il visibile (Isole recluse) sono opere che trattano un argomento del recente passato raccontando il presente.
Sei interessato al luogo, non inteso in senso architettonico bensì in quanto spazio sociale, comunitario, in cui è possibile percepire il vivere quotidiano. Come riuscirai a ricreare questa dimensione di “spazio sociale” all’interno del PAC?
Mettendo in scena un involucro in cui muoversi e magari trovare il momento di riflettere sul nostro presente. Una mostra è sempre uno “spazio sociale” in cui le persone si muovono, chiacchierano e si pongono questioni su ciò che viene loro presentato. Ognuno reagisce a proprio modo, secondo la propria sensibilità, conoscenza e curiosità.
Non sei mai stato un “artista” dichiaratamente politico. Eppure il tuo lavoro si presterebbe a dibattiti interessanti. Perché questa scelta di rimanere sempre diplomaticamente tangenziale rispetto alla politica e più ancorato al rassicurante circuito dell’arte?
Sono un artista, produco opere ed espongo all’interno di un sistema. Non so cosa intendi per rassicurante, ma non mi pare che il circuito dell’arte sia rassicurante. Si tratta di un sistema complesso, in cui è difficile muoversi e che non offre certezze sul futuro. Sul discorso politico direi, per citare Chomsky, che l’uomo, essendo un animale sociale, inevitabilmente è coinvolto politicamente, sia che affronti il problema in modo rivoluzionario, riformatore, seguendo la reazione o lo status quo. A ognuno la sua scelta.
La mostra include anche due lavori nuovi. In realtà riproponi un’opera degli esordi ricontestualizzata nello spazio e una nuova versione dei tuo lavori realizzati con la polvere. Che significato ha quest’operazione?
Costruire un contenitore costituito dalla “prima” e “l’ultima” opera per accoglierne altre pensate in questo lasso di tempo.
Oltre al PAC il progetto si estende alla città. Una selezione di opere, curata da Giovanni Iovane, sarà installata nel complesso dei Chiostri di Sant’Eustorgio.
Questa è una felice coincidenza avvenuta in seguito all’invito di Giovanni Iovane a pensare una personale negli spazi dei Chiostri. La mostra al PAC era già avviata e gli ho proposto di inserirsi nel progetto. Gli spazi dei Chiostri e del Museo Diocesano sono decisamente diversi, ricchi di oggetti esposti con cui dialogare e connotati da una Storia densa di racconti. Ho pensato quindi di esporre delle opere di dimensioni ridotte che potessero confrontarsi in modo più intimo con il luogo.
L’installazione Wide City, che hai realizzato nel 1998 e acquisita dal Comune di Milano nel 2004, sarà invece allestita per la prima volta al Museo del Novecento. Dove è stata tutto questo tempo? Rimarrà permanentemente al Museo del Novecento?
Wide City è stata acquisita nel 2004 e da quando ha aperto non è stata esposta al Museo del Novecento. Adesso l’opera verrà allestita più o meno negli spazi, un paio di piani più in alto, dove è stata presentata la prima volta nel 1998, in uno spazio comunale dedicato alle giovani generazioni chiamato Openspace che si trovava nel mezzanino dell’Arengario. Non so con precisione dove custodissero l’opera, ma immagino nei magazzini e per adesso non è previsto che diventi una esposizione permanente.
Nel 2007 ho avuto occasione di ideare con te un progetto performativo che s’intitolava TRALLALERO e che ha avuto luogo nei Fossati Esterni del Castello Sforzesco di Milano. In quell’occasione hai invitato, per la prima volta, tutte le squadre di Trallalero esistenti a Genova a cantare a cappella in contemporanea all’interno dei Fossati. Con quella performance si è concluso il tuo progetto legato alle tradizioni canore popolari?
Il progetto non si è ancora concluso. Dopo il Castello Sforzesco La Squadra ha cantato a Berlino a Villa Elisabeth, per una cena/concerto all’O.K Centrum di Linz e in NABA per una Giornata del Contemporaneo. Proprio per la Giornata del Contemporaneo, La Squadra canterà nel giardino della Villa Belgiojoso Bonaparte, alle spalle del PAC.
‒ Daniele Perra
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