Frieze Art Fair: la nostra classifica del meglio e del peggio della artweek di Londra
Cinque cose che hanno funzionato alla grande, cinque cose che invece non ci sono piaciute. Ecco, secondo il nostro insindacabile giudizio, il meglio e il peggio della settimana londinese.
Si è appena conclusa la settimana dell’arte a Londra. Galleristi e operatori del settore stremati dal tour de force inglese stanno disallestendo o ritornando a casa. Noi, invece, tiriamo le somme e vi raccontiamo come è andata, tra luci e ombre. Ecco cosa abbiamo premiato e cosa abbiamo buttato giù dalla torre.
TOP
LA TRIPLETTA
È vero, abbiamo espresso qualche dubbio su Frieze London, mentre abbiamo “consacrato” l’ormai bene avviata Frieze Masters, giunta nel 2017 alla sua sesta edizione, ma la tripletta, che culmina con Frieze Sculpture, funziona sempre. E la qualità degli stand, soprattutto nella versione dedicata ai “maestri”, è sempre molto alta, con progetti monumentali e opere da capogiro.
LE MOSTRE IN CITTÀ
A fare la parte del leone sono state le grandi istituzioni, con un incredibile e coinvolgente assortimento di mostre. I nomi parlano da soli. La Royal Academy ha presentato una monografica su Jasper Johns, la più esaustiva mai realizzata nel Regno Unito. Il Barbican Centre presenta Jean-Michel Basquiat. Rachel Whiteread va alla Tate Britain, i Pink Floyd fanno impazzire il pubblico al V&A, Thomas Ruff alla Whitechapel Gallery. E molte altre ancora, in un elenco veramente lungo e appassionante.
MONIKER E 1.54
Il programma delle fiere collaterali a Frieze è più ampio, ma noi abbiamo selezionato queste due, sempre fresche e originali. 1:54, la fiera d’arte contemporanea africana, quest’anno alla quinta edizione alla Somerset House, fa scoprire cose inedite, tra i 42 stand provenienti da ben 17 paesi e fornisce un importante aggiornamento. Lo stesso si può dire per Moniker. Situata nella Old Truman Brewery è dedicata alle sottoculture e alla urban-street art. Ben organizzate queste fiere fanno respirare un’aria di nuovo che in città forse un po’ manca.
LE MOSTRE NELLE GALLERIE DI MAYFAIR
Non sfigurerebbero nei musei le mostre che alcune gallerie di Mayfair hanno presentato durante l’artweek. Gino De Dominicis da Luxembourg & Dayan, Francesco Vezzoli/ de Chirico da Nahmad Projects, Jean Dubuffet da Pace Gallery, con una serie di opere monumentali, Marcel Broodthaers da Hauser & Wirth, Tom Wesselman nella collaborazione tra Gagosian e Almine Rech. Ma ci sono anche (rari) percorsi meno istituzionali e più di ricerca come la bella collettiva Later is now, curata dall’artista Hugo Canoilas presso Workplace gallery, o IM/Material: Painting in the digital age che affronta un tema nuovo nell’interessante galleria di recente apertura Sophia Contemporary. Da segnalare anche la personale di TJ Wilcox da Sadie Coles.
I SUPERFLEX NELLA TURBINE HALL
Ne abbiamo già parlato e vi abbiamo mostrato con un video come funziona l’installazione interattiva del collettivo danese Superflex. Si chiama One Two Three Swing!, ed è stata realizzata per la Turbine Hall della Tate Modern a Londra all’interno delle Hyundai Commission, il progetto artistico promosso dalla Tate grazie alla sponsorship con il colosso automobilistico Hyundai. Ha fatto giocare tutti e per un momento anche i più seri operatori del settore sono ritornati bambini.
FLOP
L’ATMOSFERA
Sarà la Brexit che avanza, sarà il futuro incerto, sarà il mercato che premia soprattutto i grandi nomi, sarà anche solo una nostra impressione, ma quello che ci è mancato di più è l’atmosfera di brulicante ed effervescente sperimentazione che di solito pervade la settimana dell’arte di Londra. La Swinging London, seppur in una città che ha ancora tanto da insegnare, sembra un ricordo ormai lontano. Al netto anche delle grandi presenze internazionali, è mancata un po’ l’atmosfera da evento.
LA SEZIONE FOCUS
Sempre in tal senso la sezione Focus ci è sembrata quella più debole di Frieze London. Situata nella parte più marginale del tendone, agli antipodi dell’entrata e sicuramente non nel luogo di maggiore passaggio della fiera, coinvolge le gallerie emergenti o con proposte giovani. Qualità media, ma non alle stelle, poca sperimentazione, molte proposte estetizzanti e dentro le righe, anche se, ovviamente, non sono mancate sorprese come lo stand di Jan Kaps di Colonia con Tobias Spichtig, o il progetto di Lili-Reynaud Dewar da Emanuel Layr, che riflette sul rapporto tra visitatore e museo, i lavori tessili di Billie Zangewa da Blank projects. Se la sono cavata anche gli italiani: il gremitissimo stand di Frutta gallery e Federico Vavassori. Ma il tono generale è monocorde.
I KABAKOV TRA 10 GIORNI?
La Tate Modern vince con i Superflex, ma scende con i Kabakov: la mostra Not everyone will be taken into the future, dedicata al duo, coppia nell’arte e nella vita, Ilya e Emilia, inaugura il 18 ottobre 2017 invece che durante l’artweek. Poteva essere uno dei momenti di punta della settimana dell’arte e avrebbe ulteriormente supportato la fiera, attraendo pubblico internazionale. Invece no: scelte incomprensibili.
SUNDAY
La “fiera curata” in un sotterraneo di Marylebone, come purtroppo avevamo già pronosticato, come al solito promette tantissimo, ma mantiene molto poco. E anche quest’anno il risultato non è stato raggiunto nei 14.000 mq dove si sistemano forse un po’ troppo comodante solo 25 gallerie.
PAD, LA FIERA DEL LUSSO
Anche PAD, la fiera del lusso collocata di fronte alla sede di Phillips de Pury, non conquista, raggiungendo spesso, pur tra le ottime proposte, livelli troppo alti di kitsch o parvenza di mostra-mercato. Anche se non abbiamo potuto evitare di apprezzare la bellezza degli allestimenti, spesso arroccati intorno agli alberi che, qua e là, sono disseminati all’interno del tendone, “sfondandone” il soffitto.
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