Il controverso dialogo fra passato e presente. A Grosseto

Museo Archeologico e d’Arte della Maremma, Grosseto ‒ fino al 26 gennaio 2018. Una mostra collettiva di artisti italiani e stranieri, con opere letteralmente immerse nella collezione permanente di reperti antichi, dall’età etrusca e romana fino all’Ottocento. E con un’appendice nel soprastante Museo di Arte Sacra.

L’affascinante sovrapporsi delle epoche storiche, lo scorrere del tempo che lascia tracce indelebili eppure impalpabili, è il fil rouge di una mostra che cerca di ristabilire un dialogo fra presente e passato, scegliendo come termine di paragone gli splendidi reperti dell’antichità grossetana. Così, fra buccheri, fibule e monili in bronzo, suppellettili in terracotta e ceramica, sculture in marmo, si insinuano interventi contemporanei che recuperano la tradizione antica.

Forever never comes. Massimiliano Pelletti, Untitled (from Roselle), 2017. Courtesy l'artista

Forever never comes. Massimiliano Pelletti, Untitled (from Roselle), 2017. Courtesy l’artista

UN DIALOGO DISTANTE

La mostra, dunque, non ha un allestimento autonomo, ma consta di numerose opere inserite nelle teche in mezzo ai reperti, oppure appese al muro, alle spalle e al di sopra di vetrine e statue. Una mostra da scoprire, in alcuni casi persino troppo nascosta, il che potrebbe forse stimolare una maggior attenzione anche per la collezione permanente del museo, considerando anche che uno degli scopi della mostra è appunto quello di portare visibilità a quest’antica istituzione cittadina.
Dove però emergono alcune debolezze, è proprio nella sostanza della mostra stessa, data la distanza non tanto fra le epoche storiche, bensì fra l’essenza dei reperti e delle opere d’arte. Per spiegarsi: i reperti esprimono un’identità e una funzionalità ben definite, in quanto statue votive, monili, suppellettili; le opere esposte, invece ‒ in linea con il concettualismo di tanta, troppa arte contemporanea ‒, tendono a lanciare suggerimenti di forme, analogie fra materiali, sempre sospesi fra citazione e rilettura, senza però rivelare un pensiero compiuto, uno scopo definito. Le opere si mostrano allo sguardo del pubblico, vi indugiano per un po’, e poi scivolano via.
Difficile, mancando le didascalie, capire che Playground fragment di Przemek Pyszczek è costituita da autentici frammenti di un parco giochi, accostati agli oggetti di un corredo funebre che ricordano, per le loro dimensioni ridotte, i corredi per le bambole con cui giocano le bambine contemporanee. Una vena di poesia la si coglie, ma scegliendo di compiere la visita con l’ausilio di un mediatore. Così è per l’intuizione del duo Pennacchio Argentato, che ha realizzato forme anatomiche in maglia metallica, simili nella materia ai bronzi antichi, con i quali poco s’intrecciano trattandosi di monili, buccheri e oggettistica varia. Ardua anche la comprensione del filo metallico teso da Felix Kiessling per Vlalvilov, appunto una sottile cordicella in acciaio che scende dall’alto, all’interno della ricostruzione (del museo, con pezzi originali) di un relitto romano con il suo carico di anfore. Il filo dovrebbe richiamare l’idea della misurazione delle profondità marine che duemila anni fa circa videro l’inabissarsi dell’imbarcazione.

Forever never comes. Cleo Fariselli, Gran Papa, 2017. Courtesy Clima Gallery

Forever never comes. Cleo Fariselli, Gran Papa, 2017. Courtesy Clima Gallery

IL SENSO DEL FIGURATIVO

Dove invece la mostra funziona compiutamente, ciò avviene grazie a opere affini al figurativo, siano esse pitture o manufatti. La forma compiuta che le caratterizza le avvicina ai reperti, instaurando un dialogo visivo non privo di suggestione.
Vincenzo Marsiglia, con Pharmacy Star Story, omaggia l’antica tradizione artigiana della ceramica decorata, proponendo due vasi sullo stile di quelli delle vecchie farmacie, che s’incastonano con grazia fra le maioliche rinascimentali e ottocentesche, mentre Andrea Martinucci, con l’originale 23102016.jpeg, accosta la riproduzione dello schermo di un iPad ad antichi codici miniati con le partiture per i canti gregoriani. Una tangibile testimonianza di due epoche lontanissime, il presente e il Medioevo, con le loro differenti tecniche di divulgazione della musica.
Suggestiva anche la pittura materica di Nicola Samorì, che con Gli occhi nel petto avvicina il senso medievale del corpo e del suo martirio e della sua penitenza, così come rappresentato dai Primitivi presenti nella medesima sala.

Forever never comes. Gabriele De Santis, Untitled, 2017. Courtesy Frutta Gallery

Forever never comes. Gabriele De Santis, Untitled, 2017. Courtesy Frutta Gallery

UNA LETTURA IN CONTROLUCE

Una mostra piena di buone intenzioni, così come un’opera lirica può esserlo di arie, e senza che tutte siano destinate all’immortalità. Lo stesso accade con Forever never comes, che ha fra i suoi meriti quello di avvicinare il pubblico alla scoperta di un gioiello culturale quale il Museo Archeologico e quello di provare a percorrere i sentieri dei cambiamenti delle epoche storiche.
Osservando con attenzione i reperti e le opere antiche che spaziano dagli Etruschi all’Ottocento, si coglie una continuità dovuta al tramandarsi di una bimillenaria civiltà artigiana e agricola; una continuità che risiede nelle tecniche artigianali utilizzate e nel placido scorrere del tempo che suggeriscono. Per contro, la civiltà moderna nata nel secondo Novecento ha spazzato via queste radici, rendendone difficile, adesso, il recupero. La profonda distanza e la conseguente difficoltà di dialogo fra opere contemporanee e antiche sono probabilmente dovute alla cesura di cui sopra; due mondi inconciliabili, allontanati da differenti concezioni e percezioni della natura, della spiritualità, dell’essere umano. In questo senso, la mostra può far riflettere sulla necessità di recuperare antiche radici, riscoprendo anche il lento scorrere del tempo.

Niccolò Lucarelli

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Niccolò Lucarelli

Niccolò Lucarelli

Laureato in Studi Internazionali, è curatore, critico d’arte, di teatro e di jazz, e saggista di storia militare. Scrive su varie riviste di settore, cercando di fissare sulla pagina quella bellezza che, a ben guardare, ancora esiste nel mondo.

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