Keiji Hito e Kazuhito Nagasawa. La terracotta giapponese a Milano
Prosegue l’indagine intrapresa da Laura Borghi di Officine Saffi sulla tradizione della terracotta giapponese. A confronto artisti di differenti generazione Keiji Ito e Kazuhito Nagasawa, in una duplice mostra allestita presso Officine Saffi e Galleria Monopoli fino al 31 ottobre.
Due generazioni a confronto, due approcci alla modellazione della terra lontani, ma, per alcuni versi, affini. Da un lato la generazione di chi, come Keiji Ito (Tokyo, 1935), evince dalla materia le potenzialità scultoree insite in essa, esplicitando valenze antropomorfe celate fra le sue pieghe. Emblematiche le sue opere plastiche in cui affiorano i temi della testa o della maschera che rimandano a simulacri di tradizione occidentale, in alcuni casi giacomettiana, e orientale al tempo stesso. Dall’altro quella di chi, come Kazuhito Nagasawa (Osaka, 1968), affida alla contaminazione fra argilla, ferro, vetro e legno l’epifania di forme prive di riferimento figurativo – e, data anche la sua attività nel campo dell’interior design, dotate talvolta di funzionalità, più simboliche che reali ‒, che sprigionano l’afflato di una spiritualità tipica della cultura giapponese, qui accesa di nuove sfumature e vibrazioni.
La mostra Shibui, allestita a Milano negli spazi rinnovati di Officine Saffi e presso la Galleria Monopoli, presenta in contemporanea tali artisti nipponici, suscitando fra loro un dialogo intriso di assonanze. Il termine stesso – shibui ‒ allude a un’essenzialità esteriore ricca però di significati profondi, da assaporare intellettualmente oltre che emotivamente. Entrambi gli artisti esprimono valori d’ispirazione zen. Per esempio Keiji Ito, grazie alle scabre sculture “animistiche” intitolate Hito; Kazuhito Nagasawa grazie ai contenitori The place where seeds have fallen, ovvero oggetti misteriosi quanto affascinanti, sorta di scrigni-menhir depositari dei semi del sapere del futuro, della continuità della vita del cosmo o, forse, più semplicemente, della fertilità del messaggio filosofico del singolo: l’artista, in primis.
‒ Alessandra Quattordio
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati