Architetti “contro” resto del mondo. Parola a SET Architects
Nel corso dell’ultima edizione di New Generations Festival a Roma, abbiamo intervistato i tre progettisti fondatori dello studio SET Architects. Per la kermesse hanno firmato l’installazione temporanea “Press box”.
Incontriamo i SET Architects – al secolo Onorato di Manno, Lorenzo Catena e Andrea Tanci – in occasione del New Generations Festival, ospitato, per questa quarta edizione, a Roma, dopo essere passato per Milano, Firenze e Genova: Architects vs Rest of The World è stato il tema dell’anno. Ideato e organizzato dal 2013 da Gianpiero Venturini, owner di Itinerant Office, è un format che riunisce, intorno a temi legati all’architettura e ai new media, studenti e professionisti di differenti settori disciplinari. Tre i topic sviscerati quest’anno, attraverso talk, speech e workshop: Urban Vocabulary & Public Space; New Economies & Values; Digital Infrastructure & New media. Per l’occasione i SET, oltre a prendere parte al dibattito ‒ tutto in inglese poiché rigorosamente internazionale ‒ hanno anche realizzato Press Box, un allestimento pop up concepito in collaborazione con mintLIST.
Siete un giovane collettivo, attivo dal 2015. Quanto le vostre personali esperienze lavorative post laurea – in studi importanti come Labics ‒ hanno influito nel darvi la consapevolezza necessaria per lavorare in autonomia e affrontare tutte le incognite di un lavoro autogestito?
Abbiamo fondato lo studio quando avevamo 31 anni, dopo aver collaborato per un paio d’anni in realtà come Labics o King Roselli. Ci ha spinto a farlo – pur avendo imparato molto nel periodo in studio ‒ il bisogno di fare qualcosa per noi stessi, mettendoci alla prova con uno strumento fondamentale: i concorsi. Niente di meglio. Il primo al quale abbiamo partecipato, per il Memoriale per la Shoah a Bologna, lo abbiamo… vinto! Il nome SET, ad esempio, è nato perché era necessario trovare in tempi brevi un modo per chiamarci in vista del concorso.
Il Memoriale di Bologna si può considerare un progetto esemplare per il suo iter concorsuale virtuoso e per il cantiere, portato avanti con grandissima professionalità nonostante la giovane età. Raccontateci il lascito di questa esperienza e quali feedback state avendo.
Si è trattato di un concorso in due fasi bandito dall’Ordine degli Architetti di Bologna insieme alla Comunità Ebraica locale; la giuria era presieduta da Peter Eisenman. Ai progettisti si richiedeva di ripensare un lotto in disuso di proprietà di RFI (Gruppo Ferrovie dello Stato) nel quale dedicare uno spazio, contemplativo ma aperto a tutti, a un monumento che ben ricordasse il dolore di un’intera comunità. 300 le proposte internazionali arrivate, di cui solo 3 selezionate per accedere alla seconda fase e al progetto definitivo. Per riuscire a completare in tempo i disegni, abbiamo dovuto lavorare part-time negli studi in cui operavamo. Sicuramente vincerlo ci ha portato una buona visibilità, ma soprattutto il progetto piace ai residenti: hanno apprezzato l’operazione di restituzione di senso e di rispetto del luogo che abbiamo fatto. Essere accettati e velocemente assimilati nel tessuto preesistente è stata la nostra maggiore vittoria.
Giovani, di talento, romani. Avete, da suggerire, qualche idea o proposta progettuale per la città? Da architetti ma anche da cittadini, su cosa lavorereste con maggiore urgenza? Avete maturato una posizione in merito allo spazio pubblico e al suo attuale utilizzo?
Una risposta scontata, forse banale: i servizi e le infrastrutture. Ma anche, e soprattutto, una maggiore cura degli spazi pubblici, comuni. A Roma stanno mancando linee guida di sviluppo chiare, definite, con una prospettiva. Ogni intervento rimane un episodio puntuale. Sarebbe necessario fare dei programmi e far ripartire i concorsi pubblici – organizzati come si deve – per generare strategie urbane di rigenerazione. Noi ad esempio stiamo lavorando al progetto, anche tesi di laurea di Lorenzo, per la riattivazione della tranvia Roma Sud – Roma Est, iniziato negli Anni Novanta e mai terminato.
Proprio a Roma si è tenuta la IV edizione di New Generation Festival, con un gran bel parterre di ospiti: voi avete progettato Press Box, un’installazione site specific. Qual è stata la genesi di questo intervento?
È un progetto nato dalla collaborazione con mintLIST (Giulia Milza e Maria Azzurra Rossi) che per il NGF curano l’ufficio stampa. L’idea era creare un box che avesse una doppia funzione, a corredo della zona dedicata ai dibattiti: un interno dove il press office potesse lavorare senza disturbare i partecipanti, e un esterno che fungesse da edicola, con riviste di settore selezionate e consultabili. La struttura, assemblata a secco in poco più di sei ore, è un cubo 4x4m composto da profilati metallici leggeri – quelli usati per le strutture in cartongesso – e garza per aggrappaggio dell’intonaco. Semplice, leggera, economica, semitrasparente e funzionale. Siamo soddisfatti.
Il Festival è un’occasione di confronto per le generazioni emergenti. Molti coetanei lasciano il nostro Paese e, spesso, restare diventa una scelta coraggiosa. Cosa vuol dire essere un giovane studio di architettura in Italia in questo momento storico? Quali sono le vostre prospettive future e i vostri progetti?
A essere sinceri noi ci sentiamo architetti europei, ancor prima che italiani, ancor prima che romani. La nostra è una “generazione nomadica”, abituata a spostarsi. Roma in questa visione è un posto come un altro: amiamo questa città, ma certo lavorativamente è in parte esclusa dai circuiti mainstream. Restiamo qui, ma guardiamo sempre fuori con curiosità. Il nostro obiettivo è cercare di migliorare la vita delle persone attraverso un’architettura di qualità: ci piacerebbe, ad esempio, poter realizzare uno spazio pubblico, una piazza. Chissà, magari proprio a Roma?
Quali sono i vostri riferimenti, passati e presenti, nel mondo dell’architettura? Con quale architetto vi piacerebbe collaborare?
Tantissimi e nessuno. La nostra ispirazione arriva un po’ dappertutto, dai libri ad esempio. Naturalmente ci sono architetti che ammiriamo e guardiamo, ma in fondo credo ci piacerebbe collaborare con tanti personaggi, non solo del mondo dell’architettura. Ci interessa la contaminazione tra le discipline. Insomma: un nome preciso non sappiamo farlo! [ridono, N.d.R.].
Tre parole per definire il vostro lavoro.
Essenzialità, collettività, contaminazione.
‒ Giulia Mura
www.set-architects.com
www.newgenerationsweb.com
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