Arte pubblica in Azerbaijan. L’avanzare inarrestabile delle periferie del mondo. E l’antica Baku prova a diventare una metropoli occidentale. Tra Olimpiadi e Jean Nouvel
Tra le cime ghiacciate del Grande Caucaso e le fredde correnti del Mar Caspio, l’Azerbaijan si incunea in un lembo estremo dell’Asia transcaucasica, circondato da Russia, Turchia, Georgia, Armenia, Iran. Un’area in cui grandi evoluzioni culturali e politiche hanno caratterizzato, in questi anni, il sistema dell’arte, in un progressivo movimento di sviluppo e di internazionalizzazione. […]
Tra le cime ghiacciate del Grande Caucaso e le fredde correnti del Mar Caspio, l’Azerbaijan si incunea in un lembo estremo dell’Asia transcaucasica, circondato da Russia, Turchia, Georgia, Armenia, Iran. Un’area in cui grandi evoluzioni culturali e politiche hanno caratterizzato, in questi anni, il sistema dell’arte, in un progressivo movimento di sviluppo e di internazionalizzazione. Ed anche il piccolo Stato asiatico fa adesso il suo ingresso ufficiale sulle scene, con un evento ospitato a Baku, la capitale. Si inaugura il prossimo 24 febbraio 012 Baku Public Art Festival, prima manifestazione di questo genere per l’Azerbaijan: venti artisti locali hanno scelto ognuno una location nella città antica, ideando opere pubbliche destinate a innescare un dialogo tra il sostrato storico-archeologico di Baku e i linguaggi contemporanei.
Un contesto artistico giovane, ma che comincia a prendere forma. In città c’è anche un Museo d’Arte Moderna, progettato da Jean Nouvel, e una fondazione non profit, Yarat, promotrice proprio del Public Art Festival: nata lo scorso settembre, lavora per sostenere e divulgare il lavoro degli artisti del territorio nel resto del mondo. Da non dimenticare, infine, le partecipazioni dell’Azerbaijan alla Biennale di Venezia, a partire dal 2007. Un’ulteriore passo significativo nel processo di sviluppo del nascente art system, da cui non fu escluso, però, un episodio di censura: fu infatti il Ministro della Cultura a ordinare, durante l’ultima Biennale, la copertura di due sculture di Aidan Salakhova, giudicate irrispettose della sensibilità musulmana. Versione smentita ufficialmente dall’artista, che parlò di un innocuo stratagemma per nascondere i danni subiti durante il trasporto. Con ogni probabilità, una giustificazione preventiva volta a non alimentare polemiche. Residui di una cultura rigida, proiettata al passato, calati nel grande palcoscenico culturale del presente.
– Martina Gambillara
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