Divulgare la cultura: il Festival del Giornalismo Culturale. Ecco come è andata la manifestazione
Giornalismo culturale: quali le differenze con il giornalismo in generale? Quali le rivoluzioni a cui sta andando incontro con la diffusione sempre più capillare della comunicazione web e social? Sono solo due tra le tante significative questioni su cui si è discusso tra Urbino, Pesaro e Fano, in un festival di alto livello ormai giunto alla 5a edizione.
Musei, mostre, libri sono stati protagonisti delle riflessioni avvenute sui tre diversi palchi del Festival del Giornalismo Culturale che, per quattro giorni, ha portato un gran numero di ospiti qualificati – coordinati dai direttori Lella Mazzoli (LaRiCA Università degli Studi di Urbino Carlo Bo) e Giorgio Zanchini (giornalista RAI) – a confrontarsi sulle principali tematiche che scaturiscono dalla cultura in senso generale, affrontando vecchi e nuovi problemi.
“Patrimonio culturale. Una storia, 1000 modi per raccontarla” è il titolo scelto per la 5a edizione della manifestazione, che si è svolta tra Pesaro e Urbino dal 12 al 15 ottobre, e la presenza delle questioni relative alla comunicazione in rete è stata forse l’inevitabile fil rouge che ha accomunato gli interventi e le tavole rotonde: la rivoluzione digitale è in atto da tempo, su questo non c’è dubbio, ma il panorama ancora fluido, la compenetrazione tra carta e web, l’attenzione o il rifiuto verso i social sono ancora prepotentemente al centro del dibattito. Tra i dati riportati da Alfredo Valeri (Civita) che testimoniano come solo un museo italiano su quattro gestisce una pagina social – spesso con difficoltà interne alla stessa istituzione oppure generate da una scarsa comprensione dei visitatori sulla finalità partecipativa del medium -, all’analisi delle piattaforme di crowdfunding, dalla gestione delle chat ai progetti di “chat bot” pensati dal team del MAXXI di Roma fino agli eventi dissacranti organizzati da Invasioni digitali, il panorama sul web, se solo ci fosse bisogno di conferma, si è rivelato attivissimo e in grado di innescare una vivace interazione con il pubblico a più ampi livelli, rendendo i luoghi di cultura accessibili anche a chi mai avrebbe pensato di entrare in un museo. Senza dimenticare i blogger, a cui gli uffici stampa dedicano sempre maggiori attenzioni.
LE COMPETENZE
Ma chi scrive d’arte, quali competenze dovrebbe avere? Antonio Pinelli non ha dubbi: per fare divulgazione corretta ed efficace su mostre e musei, bisogna essere storici dell’arte e, dall’altra parte, per progettare mostre è indispensabile che si parta da un progetto critico solido. Preparazione scientifica, certo, ma gli storici dell’arte sanno scrivere o narrare in maniera accattivante, comprensibile, snella? Sanno comunicare su differenti canali o qualche volta si rivelano noiosi, come lasciano pensare le considerazioni Costantino d’Orazio, storico dell’arte e giornalista di Radio2? Meglio allora raccontare storie più che descrivere, soprattutto quando non si possono utilizzare le immagini come avviene tramite la radio, mentre per quanto riguarda i social ancora D’Orazio reputa necessario costruire cortocircuiti, far circolare immagini imprimendole nella memoria di chi le vede tramite operazioni anche dissacranti.
LA CARTA STAMPATA
“Nessun giovane legge più i giornali” (Paolo di Paolo): altro dato di fatto noto universalmente. Però gli incontri svoltisi a Fano hanno dimostrato che la carta stampata dedicata alla cultura resiste, e talvolta più che dignitosamente. Dal 2011 a oggi sono infatti nate numerose nuove testate – prevalentemente inserti collegati ai maggiori quotidiani e che, come sottolinea Massimiliano Tonelli, si distinguono per qualità rispetto ai prodotti esteri, anche per il loro aspetto grafico curatissimo – le quali, pur caratterizzandosi per dati di vendita lontani dagli anni d’oro dei giornali, sopravvivono e si pongono come strumenti di diffusione e di stimolo del pensiero critico verso i lettori culturali con meccanismi e mercati differenti – tuttavia comunicanti – rispetto alla rete. Tra la posizione di Eric Jozsef il quale teme una “ghettizzazione” della cultura che tende a scomparire sempre più dalla terza pagina dei quotidiani e dalle reti TV generaliste, e quella di Piero Dorfles, secondo il quale la cultura è sempre stata tendenzialmente elitaria, tra le notizie riportate colpisce quella che testimonia una diretta relazione tra la crescita culturale e quella del PIL di una nazione: “un paese dove non si legge tende a declinare e a impoverirsi”, dichiara Dorfles.
CASE HISTORY E HIGH TECH
Tra i tanti altri temi toccati, merita un accenno il ruolo delle tecnologie virtuali che possono essere usate sia per un nuovo concetto di fruizione dei luoghi di cultura (lo ha testimoniato Massimo Bergamasco) sia per permettere l’avvicinamento all’arte visiva a chi non può vedere, come nei due brillanti casi presentati a Pesaro: il Museo Tolomeo di Bologna diretto da Fabio Fornasari e – pur in forme più tradizionali – il Museo tattile Omero presieduto da Aldo Grassini. E sempre nell’ambito high tech, incuriosisce la “buona pratica” che ha reso possibile la realizzazione del videogame progettato per il Museo Archeologico di Napoli, grazie a un’idea di Ludovico Solima, generando un circuito virtuoso di fruizione e conoscenza del patrimonio culturale della città partenopea.
–Marta Santacatterina
www.festivaldelgiornalismoculturale.it
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