Teatro. Nel Paradiso di Lenz, Dante incontra Verdi
Sui tre piani dell’avveniristico Ponte Nord di Parma, cinquanta artisti danno vita all’emozionante Paradiso site specific creato da Maria Federica Maestri e Francesco Pititto.
Col loro sovvertire luoghi e superfici inusuali per allestimenti site specific, Maria Federica Maestri e Francesco Pititto di Lenz Fondazione ancora una volta aprono visioni su prospettive inedite di attraversamenti spaziali, su territori altri di una città, Parma, contenitore di svelamenti architettonici e monumentali normalmente non fruibili. Col Purgatorio ci avevano aperto le porte dell’ex Ospedale Vecchio diventato successivamente biblioteca; col prossimo Inferno ci caleranno nel caldo ventre del Termovalorizzatore; oggi, invece, col Paradiso ci hanno condotto dentro il trasparente e avveniristico Ponte Nord che si staglia sospeso nel mezzo del fiume in secca della cittadina emiliana. All’interno di questa imponente struttura di acciaio bianco e vetro (da sempre inutilizzata per impedimenti legislativi e a causa di sciagurate manovre tutte italiane dettate da interessi personali) che si estende su tre piani, e transitabile esternamente da due corsie di auto, ha trovato il suo luogo ideale quel progressivo viaggio di ascesa verso la dimensione celeste e beatifica della cantica dantesca. Un viaggio etico ed estetico ‒ come lo sono sempre i lavori di Lenz ‒ secondo allestimento di un progetto biennale sulla Divina Commedia creato su commissione dal parmense Festival Verdi, che ha visto coinvolto un coro di cantanti liriche amatoriali oltre alle attrici storiche di Lenz, compresi gli straordinari “attori sensibili” dei loro laboratori.
IL VIAGGIO DI DANTE
Paradiso. Un Pezzo Sacro si incastona nei Quattro Pezzi Sacri composti da Giuseppe Verdi, tre dei quali sono dedicati alla Madonna, figura femminile per eccellenza che rappresenta la salvazione e l’innocenza. E sono quasi tutte donne le presenze del Paradiso di Lenz, “perché solo attraverso il corpo della donna” – suggerisce Pititto – “si può vivere, non vedere, la Luce”. Il bianco e il nero sono i colori dominanti e fortemente vibranti dentro l’imagoturgia degli autori densa di proiezioni notturne, fumi e raggi laser, immerse nei suoni elettronici e acquatici di Andrea Azzali, effetti elaborati sulla forma musicale e cantata della composizione sacra verdiana. Nell’itinerante percorso ci attende, all’inizio, la nera visione di grossi involucri allineati a terra, sorta di sarcofagi che richiamano alla mente i sacchi neri di Jannis Kounellis. Contorcendosi ed emettendo voci, si apriranno lentamente come bozzoli, svelando corpi di donne incinte, con una Beatrice che ripete i celebri versi “Vergine madre figlia del tuo Figlio Umile e alta più che creatura”, mentre il coro, nelle bianche tute asettiche, intona, disposto in fila dall’alto della balconata, le Laudi alla Vergine Maria. A incarnarla è Delfina Rivieri, “attrice sensibile” della pratica teatrale di Lenz, segnata nel corpo e nella mente da varie patologie, seduta in fondo. Camminando lentamente verso un bagliore accecante, è lei a identificarsi nella Madonna tutta terrena, generatrice di vita, ripetendo: “Nel ventre mio si raccese l’amore, per questo caldo nell’eterna pace è germinato questo fiore. Sono il sole, sono la speranza, sono una fontana vivace. Sono Una Donna grande, sono la grazia. In me misericordia, in me pietà, in me magnificenza, in me la bontà del mondo”. A seguirla, salendo al piano superiore di questo paesaggio lunare, sarà Dante al quale San Bernardo avrà indicato la strada per incontrare Beatrice. “Da qui in poi tu puoi trovare Dio” – gli ripete. “Tu sei il Pellegrino, il Pellegrino dell’Assoluto. Io sono solo il Cavaliere di Maria”.
L’ASCESA
Nel biancore installativo di piccole amache sospese gocciolanti su pozzanghere d’acqua, il viaggio del poeta si soffermerà nelle sfere rotanti rappresentate da quelle dieci Sante che hanno attraversato la Notte Oscura dell’anima per raggiungere l’estasi beatifica. Ciascuna di esse, bozzolo lattiginoso a terra, poi roteante prendendo vita e rivelandosi in abiti da sposa, avvicinandosi a lui, gli ripeterà versi ardenti dell’amore divino, indicandogli quindi i modi (espressi da san Giovanni della Croce) per “arrivare ad avere il Tutto”, ovvero la pienezza di Dio. La raggiungerà salendo ancora fino a confluire nel buco nero gravitazionale dell’ultima cantica con un movimento coreografico del Coro che intona le Laudi in un pianissimo incantatorio. Coperte da scuri impermeabili geometrici, e ruotando a spirale attorno a Dante, le donne oranti lentamente si allontanano lasciandolo da solo al centro di un cerchio di luce. Luce dentro la quale il poeta si identifica: “Il tempo non c’è più. Sono senza tempo. Sono dentro. Qui tutto scoppia, qui tutto è luce. Guardo e vedo, solo io, guardo e vedo. Vedo me, ma non mi vedo davvero, perché non ho più gli occhi, non ci sono occhi, ma sento, sento me, e la luce sono adesso Io”. Nel buio quasi totale rotto dal suono siderale e dallo sgocciolante liquido amniotico, un altro cerchio luminoso in proiezione, che pare un ventre materno, genererà immagini di sfere, di galassie, di stelle, e con l’immagine della Scapigliata di Leonardo da Vinci (quadro conservato nella Galleria Nazionale di Parma, nel Palazzo della Pilotta) pulsante come un’ecografia, che si andrà disgregandosi. Lasciandoci così nel silenzio di una contemplazione interiore che ridisegna anche in noi, spettatori officianti, il femminile Paradiso dantesco.
‒ Giuseppe Distefano
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