Mappe dell’esistere. Alessandro Carboni al Wam! Festival di Faenza
Alessandro Carboni, Sotterraneo, Fanny & Alexander, il collettivo faentino di recente formazione OI, Aya Toraiwa, Enrico Fedrigoli, Franco Farinelli: questi i nomi che hanno animato, dal 14 al 29 ottobre, la sesta edizione del Wam! Festival a Faenza. Non solo un festival ma un contenitore che, partendo dall'idea di mappa, è riuscito a dare spazio alla filosofia, alla geografia e a diversi linguaggi artistici.
“Dove sei adesso?”. Da questo interrogativo parte la sesta edizione del Wam! Festival che quest’anno ha adottato la “mappa” come idea chiave per trovare nuove di vie di rappresentazione della realtà attraverso la danza, il teatro, l’arte visiva e la performing art.
Sotto la direzione artistica di Menoventi, Iris e In_Ocula, in collaborazione con il MIC – Museo Internazionale delle Ceramiche, il progetto si è ramificato nella città di Faenza dal 14 al 29 ottobre coinvolgendo piccole realtà locali, artisti italiani e internazionali (Alessandro Carboni, Sotterraneo, Fanny & Alexander, Il collettivo faentino di recente formazione OI, Aya Toraiwa, Enrico Fedrigoli, ecc.), e organizzando incontri significativi come quello con Franco Farinelli, docente all’Università di Bologna e mentore di questa edizione, che nel parlare di geografia crea, appunto, una mappa articolata tra filosofia, arte, economia, politica e scienze cognitive.
Per rispondere all’interrogativo di Wam!, Enrico Fedrigoli con I am not what I am, mostra fotografica a cura di Irene Biolchini, allestita al MUS.T Museo Territorio per tutta la durata del festival, continua un’indagine che dura da oltre trent’anni soffermandosi sul gesto, sull’elemento più piccolo, che metonimicamente diventa contenitore di significati. Tra gli ultimi fotografi in Italia a utilizzare il banco ottico e la camera oscura, Fedrigoli si inabissa in un viaggio più introspettivo che tenta di immortalare le azioni di Consuelo Battiston (Menoventi) e Roberto Magnani (Teatro delle Albe). Strascichi e riverberi di micro movimenti impercettibili alla vista. Scatti che fermano il tempo del gesto attoriale, che lo spezzano, rubando dettagli e attimi fugaci.
OGGETTI E SIMMETRIE
Piombini da pesca attaccati a fili di lana, piedini da sedie, moduli in legno sono invece protagonisti della prima serata del festival che vede in programmazione Inverse power of wavelenghths, uno studio al confine tra installazione e performance che Alessandro Carboni porta in Italia dopo aver ottenuto un dottorato di ricerca in Creative Media presso la City University di Hong Kong. Un artista che, partendo dalla sua passione per la pittura, si è aperto alla performing art e al mondo quotidiano.
La poetica di Carboni nasce dall’osservazione degli spazi, da come il corpo riesca a inserirsi nei luoghi e a viverli mimetizzandosi nel disegno urbano. Un metodo che ha permesso al performer di esporre ed eseguire i suoi progetti in molti Paesi, di insegnare e di partecipare a conferenze tenutesi in diverse istituzioni accademiche e non.
Entrando nella sala del MIC occupata dalla performance di Carboni, si resta già affascinati dalla precisa e simmetrica disposizione degli oggetti scenici che sembrano comporre tre diversi scenari all’interno di un rettangolo immaginario. L’artista sardo attraversa e manipola questi tre mondi in cui predomina il nero, enfatizzato dai suoi stessi indumenti. Mondi che assomigliano a ombre, modellini tridimensionali di paesaggi urbani visti da lontano, mappature tracciate millimetricamente con una biro.
Carboni si accovaccia accanto ai piedini da sedia, li sposta con l’avambraccio dando la sensazione di disegnare, di essere un pennello incolore, che sfrutta il bianco lucido del pavimento per dare nuovi significati alla scena. Una rinascita, si potrebbe dire, una risemantizzazione dello spazio che si muove dal paradosso nato dalla dicotomia che si instaura tra la decostruzione e la costruzione di nuovi mondi.
CORPI IN VIAGGIO
L’artista traccia, percorre e si lascia inglobare dalla scena, muove i fili attaccati ai piombini da pesca con la precisione di un cartografo, abbatte la perfezione geometrica, prospettica, rivaluta, va oltre la mutevolezza delle cose, avvalorando l’arrendevolezza dell’ordine davanti al caos. L’omologazione che disturba quasi quanto l’estremizzazione del disordine, quanto il fracasso rubato allo spazio urbano reale che intervalla i suoni elettronici della colonna sonora della performance, quanto il rumore improvviso dei moduli in legno che Carboni unisce di scatto facendoci sobbalzare.
Nuove configurazioni generate da stretching, allungamenti che spostano gli oggetti chiamati a ridefinire il perimetro del corpo: pian piano il performer e la scena si uniscono, diventano uniche linee dello stesso paesaggio in cui gli elementi di queste città immaginarie si disciolgono nella dissolvenza del caos per dare forma all’uomo.
Così Carboni ricomincia il suo viaggio, riattraversa i tre mondi, e questa volta pare voglia distruggerli senza un reale scopo. La musica cambia, i suoni incalzano amalgamandosi alle voci, agli schiamazzi provenienti da chissà quale città. Una rivoluzione.
Quel rettangolo immaginario non esiste più: solo tre corpi stilizzati, apparentemente pixellati, modulari, e poi il corpo vero, reale, pulsante di vita che si accovaccia e si distende sull’impiantito come se fosse una scultura che dialoga con gli elementi della scena.
Il silenzio. Il performer si alza e va via lasciandoci ad ammirare quelle tre forme, quei tre corpi, quelle diversità, quelle “ri-costruzioni corpografiche” di un mondo che nella sua perfezione ritrova la bellezza delle inesattezze, delle anomalie e delle deformità dell’esistere. I cambiamenti, le metamorfosi che, inevitabilmente, riportano all’uomo.
L’uomo che pare essere il filo conduttore di Wam!: un essere umano che si orienta giornalmente tra le strade, tra le vite, nella vita, nella sua stessa testa e che a un certo punto deve, quindi, chiedersi: “Dove sei adesso?”.
‒ Alessandra Corsini
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