A Miami Beach riapre The Bass. Arte & architettura
Ha appena riaperto a Miami Beach, il museo pubblico The Bass. E ora è completamente rinnovato nelle sue architetture, con il passaggio di testimone da maestro ad allievo, da Arata Isozaki a David Gauld. Ma sono tante anche le novità sul fronte della programmazione.
Diciamolo subito: The Bass a Miami Beach segna una svolta. Basta guardarlo passeggiando lungo il Collins Park, per comprendere l’energia che porta. Il nuovo oggetto d’architettura, costruito dentro, dietro e intorno all’originario edificio déco degli Anni Trenta, ne accoglie in eredità l’autorevolezza neoclassica di forma e materia, e ne rilancia valori e glorie con un linguaggio tutto contemporaneo, pensato apposta per nuovi utenti millennial, con attenzione speciale ai teenager.
“Arte e cultura sono diventati obiettivi prioritari nella nostra città”, ha dichiarato George Lindemann, presidente del comitato direttivo, “e The Bass può avvalersi in tal senso del supporto pubblico della Miami Beach Commission. Non si tratta di mera ristrutturazione edilizia, ma di corrispondenza diretta tra gli spazi fisici e le ambizioni curatoriali del museo, primo spazio espositivo pubblico nella Florida del sud”.
Dal ritmo tripartito in facciata, alla tessitura dei fossili impressi nei massi di travertino, all’effetto corte esterna delle nuove sale interne, tutto riacquista valore, luce e spazio, in un rinnovato dialogo tra monumentale e domestico. Architettura, arte e città sembrano fondersi in equilibrio perfetto, uno a supporto dell’altro, calamite di nuove attività e funzioni civiche, per coinvolgere sotto un sol tetto comunità locale, residenti periodici e migranti di stagione, ognuno con motivazioni sue proprie, riconducibili tutte al bello dell’arte. Progetto ambizioso certo, ma riuscito, pronto a diventare l’icona culturale di Miami Beach.
E le ragioni sono molteplici.
PAROLA A DAVID GAULD, PROGETTISTA INCARICATO
La storia dei cambiamenti è singolare. La prima grande trasformazione del 2001 si deve al progetto di Arata Isozaki e del suo collaboratore David Gauld. L’evento, anno zero dell’architettura contemporanea nella città patria del déco Anni Venti, era destinato a cambiare per sempre la storia culturale di Miami. È da lì che ha avuto inizio il coinvolgimento di grandi architetti per i grandi progetti che hanno trasformato Miami Beach, da OMA a Gehry a West8 a Foster & Partners a Herzog & deMeuron, il quartiere è diventato polo culturale oltre che attrazione d’architettura.
La seconda grande trasformazione, appena conclusa, si deve di nuovo a entrambi gli architetti, ma a ruoli invertiti: Gauld come progettista incaricato e Isozaki, che accetta di tornare in qualità di consulente ormai 86enne, convocato dall’ex allievo. Appurata la necessità di ottimizzare gli spazi del The Bass, il Council di Miami Beach aveva infatti accettato di finanziare l’operazione, a patto di richiamare al lavoro chi per certo conosceva a menadito ogni angolo del museo, affinché le modifiche a farsi si svolgessero per naturale evoluzione di potenzialità ed eventuali improprietà, delle precedenti scelte. Una bella sfida: “Dopo aver raccolto le esigenze di trasformazione da parte dell’ente museale, ho preparato le nuove planimetrie, i rendering e un modello di modifiche proponibili. Ho incontrato Isozaki a Tokyo diverse volte durante l’elaborazione delle proposte, per mostrargli i materiali di progetto e discutere le modifiche con lui. Silvia Cubina ci ha raggiunto in uno di questi viaggi. Isozaki avrebbe espresso il suo pensiero sui cambiamenti e suggerito le rifiniture di dettaglio”.
Il progetto aggiunge circa il 50% degli spazi, per un totale di circa 1.500 mq, con quattro nuove gallerie, un caffè e la zona shop, senza alterare le superfici esistenti. Tra le novità, un’intera area dedicata alla formazione, il Creativity Center, con un proprio ingresso e una grande aula laboratorio, come una capsula totalmente vetrata su tre lati, a diretto contatto con la vita in strada. L’effetto più importante è stato ottenuto liberando spazio nella hall d’ingresso, rimuovendo la lunga rampa di accesso dal fronte laterale realizzata nel vecchio progetto. La scelta ha ridato gerarchia e assialità all’ingresso principale dal fronte sul parco, un forte senso di orientamento ai percorsi e onestà al dialogo tra vecchi e nuovi elementi.
“I principali cambiamenti del nostro progetto sono stati tre”, ha spiegato Gauld. “In primo luogo, rimuovere la rampa ha permesso di aggiungere un nuovo livello nella doppia altezza ottenuta, per realizzare due piani di gallerie nello stesso volume. Nella parte anteriore di questo spazio abbiamo posizionato la nuova scala con un muro in pietra sullo sfondo, utilizzando i materiali già presenti nell’edificio. Altra scelta importante”, prosegue il progettista, “è stata quella di incorporare il cortile tra il palazzo storico di Pancoast e la precedente aggiunta di Isozaki. Abbiamo chiuso questo spazio con un nuovo tetto e pareti in vetro. Il soffitto alto trenta metri era situato appena sopra la parte più alta dell’edificio Pancoast. Infine, costruire un nuovo portico d’ingresso su Park Avenue per lo spazio formativo del Creativity Centre e racchiudere un ex terrazzo affacciato su uno vasca d’acqua riflettente, per farne un’ulteriore aula. Tutte le aree in questa zona dell’edificio sono state completamente riconfigurate per dare spazio al flusso di circolazione, aule, uffici e servizi indipendenti per fare in modo che il dipartimento dell’istruzione funzioni indipendentemente dal museo”.
Ma qual è stata la reazione di Isozaki a queste varianti rilevanti al suo progetto? “Isozaki ha sostenuto tutti i cambiamenti proposti. Lui ha una sua filosofia sui cambiamenti che si verificano negli edifici. In un saggio di più di trent’anni fa, ‘Planning Process’, lo stesso Isozaki ha scritto: ‘Le attività che si svolgono all’interno di un edificio cambiano gradualmente nel tempo. Tutti gli edifici per età o per azione del clima, subiscono alterazioni, vengono distrutti accidentalmente o deliberatamente. Vengono riparati o rinnovati. Pertanto, l’architettura totalmente inalterabile può esistere solo nell’immaginazione’”.
PAROLA A SILVIA CUBINA, DIRETTRICE DEL BASS
Negli ultimi anni, Miami sta cambiando radicalmente la propria immagine da luogo di vacanza a capitale culturale, sviluppando una nuova identità, locale e globale insieme. Qual è la relazione urbana tra il museo e la città?
Il Bass è veramente un museo urbano, ci passi mentre sei di strada per andare a cena o mentre vai al lavoro. Questa è una responsabilità e un’opportunità insieme, perché sfida il museo con l’opportunità (e il compito) di raggiungere coloro che non sono interessati o obbligati a entrare nell’edificio. L’anno scorso abbiamo annunciato un’iniziativa di acquisizione con due opere d’arte pubbliche – Miami Mountain di Ugo Rondinone ed Eternity Now di Sylvie Fleury –, entrambe installate su Collins Park.
Questo è stato un gesto permanente dopo molti anni di programmazione temporanea nel parco che ha avuto molto successo nel coinvolgere i passanti. Naturalmente a Miami Beach i passanti sono turisti internazionali e residenti di molti Paesi, così locale a Miami Beach diventa immediatamente globale! Abbiamo realizzato che il nostro obiettivo era possibile quando abbiamo visto che entrava a visitarci anche chi era di strada di ritorno dal mare con i piedi sporchi di sabbia.
Nella nuova formula, programma artistico e progetto d’architettura corrispondono pienamente. Il Creativity Center sembra comunque rappresentare la forte spinta innovativa in quanto a spazi dedicati e contenuti programmabili.
La bellezza del nostro progetto di ristrutturazione è che è stato pensato come risultato delle esigenze del programma che si è evoluto nel tempo. In altre parole, la nostra programmazione didattica ha superato la disponibilità effettiva del nostro edificio ad accoglierla. Da qui la necessità di aggiornare e ampliare gli spazi per soddisfare esigenze molto specifiche. Il Creativity Centre del Bass è oggi la più grande struttura di istruzione in un museo d’arte della contea di Miami-Dade e, credo, l’unica con un proprio ingresso dedicato. Il Centro è dotato di suoi spazi autonomi per una varietà di programmi di educazione artistica multigenerazionale, tra cui tredici settimane di all-day camp-art, proiezioni cinematografiche, gite scolastiche e workshop di fine settimana – tanto necessari quanto più l’educazione artistica pubblica diminuisce e di contro ne aumenta la domanda. La bellezza di questo spazio è che apre l’opportunità di collaborazioni con organizzazioni più giovani e più sperimentali e siamo lieti di farlo in modo da diventare più creativi nel nostro approccio ai futuri programmi.
Qual è stato l’approccio architettonico alla ristrutturazione?
La maggior parte delle nuove superfici è stata ricavata dalla copertura delle terrazze previste nel precedente progetto. Nonostante il clima tropicale, e proprio a causa di quello, a Miami è difficile gustare lunghi periodi all’aperto, a causa delle piogge o del grande caldo. Nel progetto del 2001 le terrazze erano state immaginate come luoghi di aggregazione, ispirati anche al trend dei progetti museali di quegli anni: chi veniva in visita da New York o dall’Europa si aspettava una terrazza dove ciondolare durante le visite d’arte. Oggi per quegli spazi è stata ottimizzata la programmabilità degli usi e la gradevolezza dell’ambiente, grazie agli interventi di copertura subentrati con il nuovo progetto. Le originarie terrazze si prestano a improvvisarsi corti interne con luce diurna per esposizioni, eventi, conferenze o solo come sala caffè e intrattenimento.
LE MOSTRE E L’EDIFICIO
L’apertura al pubblico è avvenuta il 29 ottobre scorso, affidata a Pascale Marthine Tayou con beautiful e a Ugo Rondinone con good evening beautiful blue. A seguire, in dicembre, grande attesa per Mika Rottenberg per la Art Basel Miami Beach 2017. Il progetto artistico d’apertura si rivela innovativo anche nella costruzione dei percorsi emozionali. La hall d’ingresso, con al centro una grande zona salotto, è concepita come un hub di incontro piuttosto che algida zona di smistamento. A sinistra, la parete Welcome Wall di Tayou dà il benvenuto in sessanta lingue su altrettante insegne led lampeggianti in rosso e blu e introduce ai colori delle uova in alabastro agganciate alle pareti, in un vortice di energia contagiosa, tipica dell’artista africano.
Sul lato opposto, attraverso il portico specchiato dell’area caffè-ristorante, si accede alla corte terrazza, punto di grande pregio dell’intera composizione. È qui che si apprezzano insieme le tre generazioni del museo, nell’incontro fra le tre architetture che hanno formato nel tempo: l’edificio déco in travertino di Pancoast, i volumi eterei di Isozaki e gli elementi di connessione contemporanea di Gauld. Tre pensieri per tre architetture stratificate in una sorta di piazza urbana coperta, ricca di luce diurna.
Ma il vero effetto shock dell’esperienza a The Bass arriva inatteso, costruito ad arte anche quello, destinato a esprimere il senso profondo di innovazione e cambiamento del museo, sulle tecniche di comunicazione dell’arte. Dopo la passeggiata felice tra i colori delle uova di Tayou e l’entusiasmo per il futuro, respirato nei laboratori d’arte, si prosegue verso le gallerie superiori a passo leggero, con lo stesso ritmo spensierato, da vacanza culturale a South Beach. I gialli, l’arancione e i colori del sole della sala dedicata ai clown di Rondinone sembrano per un attimo continuare il gioco scherzoso, mentre al cervello arrivano segnali discordanti. L’opera si chiama Vocabolario della solitudine e, a dispetto delle tinte sgargianti, i quarantacinque clown sono tristi, presi in momenti quotidiani del leggere, dormire, cantare, desiderare, in uno strano equilibrio tra euforia e depressione. Il titolo della sala blu accanto, quella dei video giganti, recita: “È tardi… Come una stanza dove mai nessuno è entrato. Senza porte né finestre. Un posto dove niente succede”.
L’esperienza culturale è conclusa, tra contrasti e valori diversi a scale diverse, tra arte e città, sembra quasi farsi beffa di noi, distratti e sorridenti, lontani per un attimo dalle contraddizioni del mondo. L’esperienza culturale a The Bass ci ricorda che a Miami Beach c’è il sole tutto l’anno, ma che se piove, può piovere tanto.
– Emilia Antonia De Vivo
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