Underground televisivo
Si chiama Darkness ed è l’ultima frontiera dei reality show. Si prendono tre persone, le si conduce in tre punti diversi di un dedalo di caverne e poi… Tutto nel buio più completo, e senza la prospettiva di un premio in denaro.
Non c’è luogo sulla Terra che la televisione di oggi non sia stata in grado di trasformare nel set di un nuovo programma. Tecnicamente stiamo parlando dei cosiddetti survivor show, nati circa vent’anni fa in Svezia con un format poi subito ripreso e sviluppato in tutto il mondo in tante differenti versioni, come l’Isola dei Famosi, visto pure in Italia. È un genere televisivo alla continua ricerca di esperienze estreme e di location in cui poter lasciare un gruppo di persone – spesso persone comuni, molto poco avvezze a quel tipo di esperienze – alle prese con i propri limiti e con le proprie capacità di sopravvivenza. Solo negli ultimi anni, ad esempio, ci sono stati reality show in mezzo al mare in tempesta, su ghiacciai verticali, su isole sperdute nell’oceano e dentro le giungle più inospitali. Ora, esaurita la superficie, è arrivato il momento di scendere sotto terra.
UNA QUESTIONE DI SOPRAVVIVENZA
L’ultima frontiera del reality show di sopravvivenza è infatti quella della sfida al buio assoluto, vista da poco nel format Darkness proposto dal canale Discovery Channel Usa. Il plot è molto semplice: in ogni puntata, tre concorrenti vengono calati in tre punti diversi di un enorme labirinto naturale composto da otto chilometri di cunicoli e caverne nel Missouri, con lo scopo di riuscire a tornare in superficie entro un tempo limite di sei giorni.
A leggere quanto scritto sui media americani prima e dopo la puntata pilota, ci si chiede quale sia diventato ormai il confine tra un certo tipo di programma televisivo e gli esperimenti con le cavie in laboratorio. Quello che abbiamo capito è che la prima, disumana difficoltà che i tre concorrenti hanno dovuto fronteggiare è stata proprio la convivenza con l’oscurità totale e continuativa. A detta degli esperti, sembra infatti che il buio rimanga tuttora, anche solo per questioni di natura biologica, una delle cose che mette più in difficoltà il nostro corpo e la nostra mente. Non è solo la paura. Sono per esempio i nostri occhi a non essere abituati, al contrario di quelli di altri esseri viventi, a rimanere nell’oscurità. Così la mente, in mancanza di stimolazione visiva, per reazione compensa producendo stati di semi-allucinazione.
ALLUCINAZIONI AL BUIO
Negli studi di laboratorio – stavolta crediamo si intendano quelli veri – abbiamo scoperto che alcuni ricercatori hanno notato che per la maggior parte delle persone “basterebbe” un solo giorno di bendaggio per avere questo tipo di esperienza. Sono allucinazioni che seguono generalmente un modello: prima punti di luce, seguiti da forme e colori, e infine ancora più elaborate illusioni come pareti, paesaggi urbani, tramonti e volti. Queste visioni sono tecnicamente “pseudo-allucinazioni”, il che significa che le vediamo pur sapendo che non sono reali, ma non per questo risultano meno disturbanti. Si entra in uno stato in cui si rovesciano le percezioni tra sogno e veglia. “Mi rendevo conto di essere addormentata quando riuscivo a vedere, perché allora sapevo che stavo sognando”, ha detto poi Sarah, una delle tre concorrenti.
Un altro avversario è il freddo della temperatura dell’aria e soprattutto il freddo delle pareti che i concorrenti toccano costantemente per orientarsi e dove si appoggiano per dormire. Proprio il sonno, e più in generale il nostro orologio biologico, è un’altra cosa che, nell’oscurità permanente, la mente non riesce a governare. Ad esempio uno dei concorrenti, il primo giorno, per due volte si era addormentato per circa una quarantina di minuti alla volta. Lui era invece convinto di aver trascorso due normali giornate di 24 ore.
La troupe televisiva di Darkness, con tanto di speleologi, medici e psicologi al seguito, ha seguito e ripreso il tutto, rimanendo sempre a debita distanza e in religioso silenzio, grazie a videocamere a rilevamento termico e a sofisticati monocoli abilitati alla visione notturna che gli permettevano di camminare lungo sentieri spesso impervi con tutta l’attrezzatura tecnica al seguito.
L’ultimo dettaglio degno di nota riguarda nuovamente i concorrenti. Non c’era nessun premio in palio, quindi nessuno dei tre ha deciso di affrontare questa prova estrema per motivi economici. E allora perché lo fanno? Nella risposta ci sono tante verità che forse possono aiutarci a capire chi siamo diventati e dove stiamo andando.
‒ Alessio Giaquinto
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #39
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