Guglielmo Manenti – L’uomo in rivolta

Informazioni Evento

Luogo
CIVICA RACCOLTA CARMELO CAPPELLO DI PALAZZO ZACCO
via San Vito, 158, Ragusa, Italia
(Clicca qui per la mappa)
Date
Dal al

martedì, mercoledì, giovedì e venerdì ore 8.00 – 14.00, 15.00 – 18.00; sabato ore 9.00 – 13.00, 15.00 – 18.00
Giorno di chiusura: domenica, lunedì e festivi

Vernissage
17/11/2017

ore 18

Biglietti

ingresso libero

Artisti
Guglielmo Manenti
Curatori
Andrea Guastella
Generi
arte contemporanea, personale

La mostra è una riflessione sull’identità in crisi dell’uomo contemporaneo attraverso il commento visivo a tre opere letterarie di assoluto spessore: la Metamorfosi di Kafla, Woyzeck di Büchner e l’opera poetica di Majakovskij.

Comunicato stampa

Si inaugura venerdì 17 novembre 2017, alle ore 18.00, presso la Civica Raccolta “Carmelo Cappello” di Palazzo Zacco a Ragusa, la rassegna di Guglielmo Manenti L’uomo in rivolta, a cura di Andrea Guastella.
La mostra è una riflessione sull’identità in crisi dell’uomo contemporaneo attraverso il commento visivo a tre opere letterarie di assoluto spessore: la Metamorfosi di Kafla, Woyzeck di Büchner e l’opera poetica di Majakovskij.
I visitatori potranno inoltre soffermarsi sul cartone di Guglielmo Manenti Officina Russolo, che sarà proiettato a ciclo continuo nell’aula video di Palazzo Zacco.
Durante la mostra il regista, docente e critico cinematografico Danilo Amione terrà a Palazzo Zacco un incontro su episodi filmici ispirati alle opere letterarie scelte come soggetto dall’artista.
La dottoressa Annapaola Giannelli si soffermerà invece sul rapporto psicologico tra il protagonista delle Metamorfosi di Kafka e la famiglia d’origine.
Le date di questi e altri incontri in preparazione saranno comunicate quanto prima.

Dalle Note al margine su Kafka, Büchner e Majakovskij di Guglielmo Manenti: “Ci sono delle temperature atmosferiche collegate fortemente ad alcune latitudini letterarie che finiscono per diventare il nostro paesaggio da lettori in alcuni momenti formativi vicini all’adolescenza. Libri che riapriamo quando abbiamo bisogno di ritrovare quell’estraneità per allontanarci da tutto. Storie in cui sappiamo di ritrovare una tensione esistenziale nei personaggi e nel loro rapporto con quei paesaggi invernali e desolati, dove tutto sembra portare alla concentrazione interna. Territori che ci sembra di conoscere da sempre, per quanto inquietanti, o privi di grandi caratteristiche, infinite periferie, lande desertiche, e comunque a ripercorrere quelle strade ogni volta troviamo qualcosa di già vissuto. Quel libro aperto in passato che ci ha folgorato nel momento giusto, che ci apre una finestra su un altro mondo una via di fuga su paesaggi nevosi, qualcosa di esotico di estraneo perfetto per farci dimenticare per un tempo limitato dove siamo e magari fuori c’è la calura estiva siciliana. Ci bastano poche righe per capire che possiamo fidarci di quella voce che ci accompagna. E molte descrizioni che sembrano emergere dalla nebbia e che arrivano da posti lontani che immagino come delle cartoline invecchiate spedite da uno sconosciuto da città che non esistono più. Dalla Leopoli Polacca di Schultz, alle bettole fumose di Praga popolate da presenze kafkiane e da un’umanità gioviale e disperata alla Hasek. C’è sempre un personaggio in disparte, un osservatore che sembra registrare per gli altri, un soldato che non si sa da dove è tornato da quali scontri, quali ferite ha riportato, con un volto simile a Chlebnikov. Quei rumori che si sentono da dietro la porta in quel retrobottega di una macchina tipografica che stampa dei volantini da distribuire il giorno dopo.
A ripercorrere i luoghi descritti dagli scrittori che di volta in volta decido di illustrare sembra emergere lentamente una mappa di luoghi fisici e di spostamenti biografici, che se sistemati su una cartina più grande formano una costellazione che copre alcune città che furono quelle dell’impero Austroungarico. Trieste, Vienna, Praga, Polonia del Sud, fino ad arrivare ai confini della Russia.
Un viaggio in un tempo lontano, che non è solo il periodo in cui vissero gli scrittori che scelgo. Ma in loro c’è un rimando a un tempo altro a un prima senza tempo. In cui figure e ambienti archetipici sembrano arrivare da un sogno di Kubin dove un tono tragicocomico sembra risuonare nel vuoto. E uomini solitari persi vagano in ambienti da fiaba noir in un set cinematografico dismesso. Tra foreste di cartapesta ambienti domestici con carte da parate scrostate. In cui un vuoto senza tempo sembra avvolgere tutto. Una sala d’aspetto in cui personaggi beckettiani hanno dimenticato il perché di quell’attesa. Si muovono in maniera meccanica, si sentono inadeguati ripetendo sempre gli stessi errori. Forse il personaggio principale è un Buster Keaton kafkiano, uno spettatore dei primi film di Lynch, un suggeritore della classe morta di Kantor, oppure dei miniaturisti che ripetono le totentanz medievali ai margini della pagina simulando nel tratto Topor, Edward Gorey fino ad arrivare a Grosz e Käthe Kollwitz. La precisione chirurgica del tratto che diventa evanescente nel groviglio di linee finali.
Le parole lette come proiezioni mentali in cui sbobinare visioni, una camera oscura in cui proiettare le parole fumose che ci arrivano da un complice passato. Come assistere sempre allo stesso filmato girato da più registi, film espressionisti in bianco e nero vecchie animazioni dei primordi in cui la proiezioni non si vede bene … ma non è importante, le informazioni che devono arrivare passano, sfumate come avvolte dalla nebbia. Mondi del sottosuolo che agiscono da magnete … dei gorghi di immagini che diventano degli strani attrattori e i puntini della china diventano come polvere di ferro mossa da magnete. Forme che si aprono nella mia mente, di cui divento il primo testimone e che decido con sforzo di riportare su carta per comunicare il mio stupore ad altri. In questi momenti di incontro, di visione, la mente agisce di connessioni, frammenti di film, pezzi musicali, ricordi di scene di strada, illustrazioni di vecchi libri, un farsi rigattiere che cerca di contenere più possibile in uno spazio limitato.. ma che appena le immagini cominciano a muoversi intorno a una lampada centrale ci dimentichiamo di tutte le fatiche precedenti. Un teatrino nero in cui vengono proiettate ombre ai lati sempre mutevoli. Assistiamo a narrazioni frammentarie, sbrindellate fatte di illustrazioni che sembrano pezzi di pellicola buttati e salvati … che più che raccontarci una storia ci incantano per la loro natura archeologica per la loro grana esistenziale.
Il ruolo dell’illustratore è come quello del traduttore che cerca una forma in un’altra lingua cercando di entrare in sintonia con l’autore rispettandone lo spirito. Per poi accorgersi ogni volta di aver fallito e avere trovato altro. L’illustratore lavora con quelle immagini che gli nascono mentalmente dalla lettura di un testo, e in quello spazio intermedio prima di diventare disegno si caricano del vissuto dell’illustratore e in alcuni casi sono loro a decidere i tempi in cui emergere.
Un universo in bianco e nero in cui il pennino e una pozzanghera di china nera aiutano a creare una giusta concentrazione, strumenti che dettano un tempo di lavoro lento. In cui seguiamo il rumore di quel graffio che la punta di metallo incide nella carta. Quella ferita che comincia ad assorbire colore. E linee sottili che si accostano tra di loro formando steli di gelsomino o zampette di insetti o ricami sotto un orologio liberty … linee che possono essere sempre corrette da un infittirsi di segni fino a far diventare le cose rappresentate ombre coprenti costituite da tratteggi. Lo sbaglio imprevisto della goccia che cade diventa segno divinatorio da riprendere da correggere da accettare, come intervento esterno.
Questa produzione in bianco e nero ha sempre avuto per me qualcosa di intimo che si alterna alle tante mie produzioni giornaliere di illustrazioni, dove il colore e i temi affrontati sembrano creare una divisione tra la produzione del giorno e quella notturna … ma so che la divisione non è mai così netta e che i due mondi interagiscono e si alimentano tra di loro … due vasi comunicanti”.

Nato nel 1976, Guglielmo Manenti espone i propri dipinti e disegni fin dal 1996. Ha illustrato numerosi libri in Italia e all’estero e collabora come disegnatore per svariate riviste. Ha inoltre progettato e realizzato scenografie, installazioni, performance e video di animazione. Vive e lavora a Modica.