Di porta in porta. 62 artisti in mostra a Milano
Palazzo Archinto, Milano ‒ fino al 1° dicembre 2017. Il palazzo milanese ospita una rassegna incentrata sull’idea di attraversamento e accessibilità. Lungo percorsi che lasciano al pubblico ampio spazio di manovra.
Ogni porta dà accesso a qualcosa; di mentale o di fisico; ogni porta attraversata lascia dietro di sé il ricordo di ciò che è stato, ma, inevitabilmente, proietta l’essere umano in un futuro possibile, dove il piacere della scoperta si accompagna al rimpianto per ciò che si è lasciato alle spalle. Andar per porte significa, dunque, iniziare un percorso fatto di attese, di intuizioni, di rivelazioni. E se l’andar per porte si fa titolo e concept di una mostra, è facilmente intuibile che il cammino tracciato per il visitatore possa essere sorprendente e costantemente mutevole. Mai titolo, del resto, fu più azzeccato e letteralmente inteso: a Palazzo Archinto si varcano soglie in continuazione; una dopo l’altra; una dietro l’altra; una dentro l’altra. Ognuna, a sua volta, introduce a un oggetto artistico e ogni oggetto artistico felicemente rimanda e/o richiama atmosfere e sensazioni pregresse. Cinquantatré stanze, sessantadue artisti e più di cento opere: la (con) fusione tra ambiente e presenze contemporanee è totale; gli artisti coinvolti, con forza estetica, ma con etica discrezione, hanno occupato (o preso in prestito per qualche mese) corridoi, stanze, uffici, persino i servizi igienici di quella che era la sede della Golgi-Redaelli (storica azienda per servizi alla persona).
COMMISTIONI E RIMANDI
La forza della mostra risiede proprio in tale commistione: l’antico non prevale sul contemporaneo e, allo stesso modo, il contemporaneo non perde la sua forza nel confronto con l’imponente quadreria e la labirintica struttura architettonica. Si avverte, passeggiando assorti in una contemplazione più estatica che estetica, la presenza di un qualcosa o di un qualcuno che in quei corridoio ha passeggiato, che in quelle stanze ha lavorato, che nei salotti ha riposato; una presenza che, al contempo, è assenza; è vuoto mentale che i lavori in mostra cercano di colmare. L’intero percorso espositivo è una potente riflessione sui drammi umani, esistenziali e sociali con i quali quotidianamente si confronta il nostro stare al mondo. Una visione multi-mediale che dalla fotografia passa alla pittura al video alla scultura all’installazione; uno sguardo che fa cogliere a pieno la contemporaneità e le sue modalità di espressione artistica. Il silenzio è una costante nella visita; un silenzio non richiesto, ma dovuto, quasi in segno di rispetto per quei tanti occhi che osservano e scrutano, anche se congelati nella pittura e imprigionati in una cornice, il visitatore. Non solo le opere, dunque, stabiliscono continui rimandi con il contesto, ma anche per chi va per porte avviene qualcosa di molto simile: da osservatori si diventa, così, soggetti involontari di osservazione. È un continuo e costante gioco di relazioni che si avvia non appena si varcano le prime porte, quella di ingresso al palazzo e quella della portineria: sì, anche la portineria diventa sede espositiva, così come la facciata esterna dell’edificio, le corti interne e gli ampi e affascinanti terrazzi ricoperti da un tappeto di giallo fogliame invernale.
IL RUOLO DEL PUBBLICO
Lo spettatore è invitato a colmare, dunque, tutti quei vuoti semantici di cui le opere si fanno portatrici e, soprattutto, a costruirsi il proprio percorso di lettura (e di rilettura). In tal modo, si assottigliano, fin quasi a scomparire, le distinzioni tra autore/opera e spettatore: ciascuno, infatti, diventa parte indispensabile di un più ampio processo di costruzione di significati e significanti; entrambi contribuiscono alla messa a punto di un immenso piano semiotico deterritorializzato, per dirla alla Lévy, in cui a predominare sono i dispositivi (nel nostro caso le opere) e i processi che essi attivano.
Le opere che invadono gli spazi del primo piano di Palazzo Archinto rompono l’autoreferenzialità che spesso accompagna l’oggetto artistico contemporaneo per lasciare a chi di esse fruisce una possibilità di interpretazione e di intuizione in grado di coinvolgere la dimensione sensibile, emotiva e spirituale.
Quella curata da ArtCityLab, associazione culturale fondata da Rosanna Ciocca e Gianni Romano, è una mostra autentica, sincera; una mostra che si rivolge e parla direttamente allo spettatore invitandolo a riflettere su sé stesso e su ciò che lo circonda; una mostra per la quale non esiste alcun assillo di mercato (motivo che con sempre più veemenza intacca il contemporaneo); una mostra di ricerca; un piccolo lampo di luce in un panorama artistico sempre più cupo e sempre più guidato dall’economia piuttosto che dall’espressione libera e incondizionata. L’arte contemporanea (quella con la a maiuscola) ha un potere incredibile: il potere di attivare o riattivare luoghi abbandonati, dimenticati o destinati all’oblio; ha la capacità di mettersi in mostra, ma anche quella di mettere in mostra gli spazi che la ospitano. Se è vero che nel momento in cui una porta si chiude, si apre un portone, è anche vero ‒ e questa mostra ne è la prova ‒ che una porta porta inevitabilmente a un’altra porta.
‒ Luca Palermo
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